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Un "pensiero nuovo" di uguaglianza e libertà

La vera libertà per l'uomo significa possibilità di vivere una vita veramente umana (Rodolfo Mondolfo)

Della tradizione ebraica noi conosciamo l’ideologia, comunque la si interpreti, del “popolo eletto”. Ma quello che più conta è che la logica ebraica, il “noi siamo noi; gli altri sono altri” insita nel discorso dell’elezione, si accompagnava all’affermazione che tutti i ‘giusti’, cioè tutti gli esseri umani capaci di mantenere in sé tratti fondamentali di “umanità”, erano ritenuti degni di “salvezza”. Una religione-cultura etnicamente esclusivista come quella ebraica conteneva in sé, e veicolava, un messaggio universalista: tutti gli esseri umani, non necessariamente quelli appartenenti al popolo ebraico, erano considerati degni di salvezza.

Da questo ambito culturale, si sa, emerse il cristianesimo. Ma con la nascita del cristianesimo come religione a sé, separata ed autonoma dall’alveo giudaico da cui storicamente proveniva, avvenne una rottura radicale con il latente universalismo ebraico, provocata dall’ideologia nuova (più esattamente “quasi” nuova) del peccato originale di cui, se non fosse per le affermazioni teoriche dello psichiatra Massimo Fagioli, non avremmo ancora còlto in maniera seria ed approfondita la devastante portata culturale.

Nel momento in cui la trasgressione di Adamo venne letta ed interpretata come momento primo di corruzione della natura umana originaria, attraverso la trasmissibilità della colpa dal primo uomo alle generazioni a seguire, si è elaborata anche l’unica possibilità di salvezza. Con il battesimo l’uomo può “rinascere” spiritualmente, lavando via dalla propria anima la colpa del primo uomo che la macchiava in modo altrimenti indelebile.

Ma il battesimo non era (e non è) soltanto il rito di purificazione per antonomasia; era (ed è) anche la tessera di iscrizione alla cristianità. Entrare nella comunità cristiana era quindi l’unica possibilità di salvezza. In questo senso è un’ideologia “quasi” nuova; la stessa logica si trovava già nella comunità essenica (o scismatica dell’essenismo) di Qumran.

Se l’unica salvezza sta nella cristianità (Extra Ecclesiam nulla salus) è evidente che qui si è fondata una forma mentis radicalmente diversa da quella giudaica precedente: adesso solo gli aderenti ad una precisa comunità possono essere salvi, solo i cristiani sono degni di salvezza. Che va letto concretamente con “solo i cristiani hanno dignità umana”, perché chi è segnato dal peccato originale ha perduto l'imago dei con cui fu creato e non è più annoverabile fra gli esseri umani.

Dal giudaico “noi siamo noi e gli altri sono altri” si passa ad un ben più drammatico ““noi siamo noi e gli altri... non sono”. Semplicemente “non” sono. Non sono esseri umani, sono de-generi, fuori dal genere umano.

Radice antica di una prassi persecutoria ben più recente e logica fonte di ogni discriminazione e delle drammatiche vicende che hanno caratterizzato tutta la storia della civiltà occidentale cristianizzata nel confronto con gli “altri da sé”: indios, nativi nordamericani, indigeni africani, aborigeni australiani e così via, fino al razzismo, al colonialismo, all’imperialismo, all’esportazione della democrazia a suon di cannonate. Senza scordare i quindici o venti secoli di persecuzioni degli eretici fino allo sterminio nazista di ebrei, rom, omosessuali e “degeneri” di vario tipo a cui si è già alluso.

La struttura fondamentale dell’universalismo cristiano, che paradossalmente si accompagna al più spietato esclusivismo, ha trovato un tardo epigono nel marxismo stesso. Quando il filosofo di Treviri tentò un approccio antropologico andò incontro alla più tragica ‘falsa interpretazione’ dell’essere umano: egli è tale, disse, quando inizia a produrre da sé i propri mezzi di sussistenza, separandosi così dall’animalità incapace di piegare la natura ai propri bisogni.

A questa antropologia falsa rispose e risponde tuttora con estrema veemenza verbale e teorica Massimo Fagioli con la sua provocatoria domanda “e la donna? E il bambino?”, Vale a dire: coloro che per motivi diversi non producono strumenti, non sono forse esseri umani?

Mettendo a nudo il “peccato originale” del pensiero di Marx, Fagioli ne evidenzia implicitamente l’assoluta continuità con l’antropologia cristiana: “Noi siamo noi, gli altri... non sono”. Il bambino e la donna "non sono".

Non sono esseri umani, perché il “noi” di Marx si riferisce esclusivamente al maschio adulto, razionalmente cosciente e manualmente fattivo, laddove la teoria di Fagioli invece, affermando l’essenza umana, la verità umana, nella formazione del primo pensiero - pensiero per immagini - alla nascita propone una rivoluzione del pensiero che non ha precedenti nella storia umana: il “noi siamo noi” diventa così, oltre che universalista, anche assolutamente inclusivo perché non concepisce che alcun essere umano possa essere considerato aprioristicamente “fuori” dall’umanità.

Il fallimento dell’antropologia marxista è stato fortemente evidenziato dallo psichiatra in particolare in “Bambino, donna e trasformazione dell’uomo”, un testo del 1980 che già dal titolo “include” il bambino e la donna, pretendendo dall’uomo, dal maschio della specie, una necessaria trasformazione di sé e del proprio ruolo nella storia.

Non tutti i marxisti però sono stati così “ottusamente” marxisti, cioè così succubi della cultura cristiana dell’esclusione (o del falso universalismo, se preferite). Alcuni hanno avuto la capacità di individuare la necessità di un umanesimo nuovo, capace di distinguersi dal falso umanitarismo cristiano del “siamo tutti uguali... in Cristo”.

È il caso di un intellettuale italiano poco conosciuto, Rodolfo Mondolfo, su cui ha scritto recentemente un’appassionata studiosa fiorentina, Elisabetta Amalfitano, docente di filosofia e ricercatrice.

Il suo libro “Dalla parte dell’essere umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo” è stato presentato venerdì in anteprima, alla libreria Ibs.it di Firenze, in un incontro avvincente dai toni a tratti polemici, ma sempre molto coinvolgenti. Anche per le ricadute estremamente attuali che una ricerca di questo tipo comporta.

Per comunisti e protagonisti del Sessantotto “il ‘vero’ marxismo è quello che colloca al centro l’economico e la struttura storica e sociale”, ci avverte l’autrice, lasciandoci intuire che l’antropologia marxista fortemente criticata da Fagioli, è stata riproposta pedissequamente sia dalla ortodossia comunista che dal sessantotto, fase storica culminata con la sanguinosa prassi delle armi o, viceversa, con il ritorno di masse giovanili a raduni ecumenici provvisti di regolare imprimatur vaticano.

Segno inequivocabile di una sostanziale incapacità di rielaborazione intelligente del pensiero marxista e di reiterata negazione della novità teorica fagioliana.

Invece “il protagonista assoluto dell’esperienza biografica e intellettuale di Mondolfo” scrive Elisabetta Amalfitano “è l’essere umano” il che ci porta - continua - a “discutere di una possibile ‘filosofia’ del socialismo del XXI secolo. Un socialismo che, dopo il crollo del comunismo e la crisi del capitalismo, è chiamato a prendere nuove strade affrontando finalmente il tentativo, che Bobbio definiva “gigantesco”, di coniugare uguaglianza e libertà”.

Parole che suonano "di sinistra" esattamente come nettamente "di sinistra" suona la teoria di Fagioli - intervistato dall'autrice nell'ultimo capitolo del libro - mentre l'antropologia marxista, nel suo "universalismo" che esclude a priori gli esseri umani non razionali e produttivi dalla definizione di 'umano', dichiara una latente alleanza con culture sostanzialmente razziste.

E, ancora, parole estremamente seducenti, capaci di ipotizzare, finalmente, l'uscita da una scissione che ha travagliato la storia di ogni esperienza di quella sinistra che di “nuove strade” e di un “pensiero nuovo” ha indubbiamente un estremo bisogno.

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