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Un marzo da incorniciare per la ricca stagione di Musikàmera

Ensemble Odhecaton ; Amir Ganz e Alexander Paley ; Quintetto Bartholdy ; Andras Schiff ; Mauro Loguercio e Emanuela Piemonti nelle sale Apollinee della Fenice.

 

Nel significativo spazio dedicato alla musica antica, ha brillato l’ensemble Odhecaton, diretto da Paolo da Col, bibliotecario del Conservatorio veneziano Benedetto Marcello.

Fondato nel 1998 – il suo nome deriva da Harmonice Musices Odhecaton, il primo libro a stampa di musica polifonica (Venezia, Ottaviano Petrucci, 1501) – il repertorio è rappresentato principalmente dalla produzione musicale europea tra 1400 e 1700.

A Venezia ha eseguito una serie di mottetti e canzoni di sei compositori, a partire da Guillaume Dufay (?1397 ca. - Cambrai, 1474), del quale quest’anno ricorrono i 550 anni dalla morte.

Il primo mottetto, Nuper Rosarum Flores, fu concepito per celebrare la costruzione della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze e fu scritto in maniera che le proporzioni architettoniche si ritrovassero anche nella composizione.

Si tratta di un mottetto isoritmico, basato sul concetto della isoritmia, cioè vincolato nelle sue parti a una costante formula ritmica. Le proporzioni delle varie sezioni musicali sono strettamente legate fra loro e, in questo caso, alla stessa sttruttura della chiesa.

Tra le canzoni ascoltate, ricordo la stupenda Vergene bella, che di sol vestita, dalla prima Stanza della canzone XLIX di Francesco Petrarca.

Di Heinrich Isaac (?1450 ca. - Firenze, 1518) Odhecaton ha eseguito il mottetto Qui dabit capiti neo aquam, per la morte di Lorenzo il Magnifico. Il compositore venne chiamato nel 1484 a Firenze da Lorenzo de’ Medici, alla cui corte rimase fino al 1496, in qualità di cantore e compositore.

Simpatica la canzone Scaramella (soldato sgangherato) va alla guerra di Loyset Compère (Hainaut, 1450 ca. - Saint Quentin, 1518), un compositore fiammingo allievo di Johannes Ockeghem (1425 ca. - 1496 ca.), che ebbe grande fama presso i contemporanei.

Ma il più grande autore di questo periodo rimane senza ombra di dubbio il franco-fiammingo Josquin Desprez (Beaurevoir, Piccardia, 1450 ca. - Condé-sur-l’Escaut, Valenciennes, 1521 ?).

L’Ensemble ha eseguito una serie di chanson scherzose, amorose, dolcissime, di un musicista che fu punto d’incontro e di fusione della perfezione contrappuntistica fiamminga con la nascente sensibilità armonistica italiana.

Nella scaletta non poteva mancare Adrian Willaert (Bruges o Roeselare, 1490 ca. - Venezia, 1562), il padre della musica del Cinquecento veneziano, fortemente voluto alla guida – dal 1527 fino alla morte – della Cappella ducale della Basilica di San Marco dal doge Andrea Gritti. Alla sua scuola si formarono compositori e teorici del valore di Andrea Gabrieli, organista dal 1564 alla morte (1586) nella Basilica di San Marco; Gioseffo Zarlino, Maestro di Cappella in San Marco dal 1565 alla morte (1590) ; Girolamo Parabosco, organista in San Marco dal 1551 al 1557 ; Cipriano de Rore, cantore in San Marco.

Odhecaton, dell’inclito fiammingo, ha intonato Dulces Exuviae e la canzone Vecchie letrose.

Conclusione affidata a Nesciens mater di Jean Mouton (Hollingue, 1459 ca. - Saint Quentin, 1522), compositore e sacerdote franco-fiammingo, apprezzato per la maestria contrappuntistica, senza dimenticare che fu l’insegnante di Willaert.

Eccezionale il Recital dell’ensemble. Voci intonate in ogni episodio, sapientemente dirette da Paolo De Col, mentre la vocalità si espandeva in maniera acusticamente fresca e perfetta lungo l’intera sala Apollinea.

Il secondo dei tre appuntamenti di Novecento storico italiano, oggi una sezione all’interno del cartellone di Musikamera, un tempo una rassegna a sé stante, organizzata dall’Associazione culturale Archivio Musicale Guido Alberto Fano onlus, ha presentato un programma di opere di quattro compositori, eseguiti da un valente duo : Amiran Ganz, violinista nato a Montevideo, ma da parecchi anni residente a Venezia ; Alexander Paley, pianista moldavo.

La serata si è aperta con la Sonata in Sol minore op. 22 (1874) di Giuseppe Martucci (1874 - 1909), il maestro, stimatissimo, di Guido Alberto Fano, considerato il maggiore dei compositori italiani della così detta “generazione del ponte”, ossia musicisti della seconda metà dell’Ottocento e di inizio Novecento, determinati a emanciparsi dal predominio dell’opera e a ridare alla musica strumentale italiana il suo giusto valore.

In tre movimenti, stupisce il maturo lirismo e la drammaticità di un compositore appena diciottenne.

Anche G.A.Fano (1875 – 1961) aveva quasi 18 anni quando compose il suo primo pezzo, non esclusivamente pianistico, la Fantasia Sonata in La minore (1892), in tre movimenti, dedicata a Cesare Pollini. Entrò nel dimenticatoio per quasi mezzo secolo, finché nel 1941 Fano vi rimise le mani per riscrivere il terzo, vivacissimo movimento (Misterioso e moderatamente mosso).

Brevi, ma di pregevole fattura, a seguire, i due studi (1946 – 47) di Luigi Dallapiccola (1904 – 1975). Il primo, intitolato Sarabanda, fa riferimento all’antica danza arabo-moresca, quasi sempre presente nelle varie Suite di J.S.Bach.

Il secondo studio, Fanfara e fuga, esempio calzante di musica dodecafonica, ha una serie di indicazioni che ne definiscono i valori espressivi : tumultuoso ; furioso ; marcato ; pesante ; forte, sempre martellato ; Recitando, ma in tempo.

Il concerto si è concluso con la Sonata in Si minore P110 (1917), in tre movimenti, di Ottorino Respighi (1879 – 1936), l’autore più accattivante della generazione dell’80.

Interessante, il tema della Passacaglia, l’ultimo movimento, in tempo di Allegro moderato ma energico, che presenta ben 20 variazioni.

Applausi convinti, uniti ad elogi (“veramente bravi!”), hanno indotto i musicisti ad eseguire due brevi parafrasi di Mario Castelnuovo Tedesco per il barbiere di Siviglia.

Nel 2009, in occasione dei 200 anni dalla nascita di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847), cinque musicisti tedeschi decisero di dar vita stabilmente a un quintetto d’archi, aggiungendo, al canonico quartetto, una seconda viola, e venendo a scoprire che esistono molti lavori di grande interesse che non vengono quasi mai proposti in concerto.

Il Quintetto Bartholdy, questo il suo nome, ha eseguito, replicandolo la sera successiva, due movimenti di un quintetto d’archi che Alexander von Zemlinsky (Vienna,1871 – Larchmont, New York, 1942) compose fra il 1894 e il 1896, lasciandolo però incompiuto.

La musica del compositore e direttore d’orchestra austriaco – figura di fondamentale importanza nel mondo musicale viennese a cavallo fra Otto e Novecento – fu molto legata a quella di Gustav Mahler, che fu suo sostenitore e vicina per molti aspetti a quella del giovane Arnold Schoenberg, che sposò in prime nozze Mathilde, sorella di Zemlinsky.

A seguire, il Bartholdy ha interpretato l’unico quintetto originale nella letteratura beethoveniana, il Quintetto per archi n.1 in Do maggiore, op.29 (1801), in quattro movimenti. L’unicità è forse spiegabile col fatto che nel Settecento il quintetto era considerato un genere secondario, vale a dire meno puro e impegnato del quartetto d’archi, che rimane la formula più aristocratica nell’ambito della musica da camera.

Dopo una breve pausa i valorosi musicisti, ognuno portatore di un suono corposo e scintillante assieme ad una sensazione di freschezza, hanno concluso il loro recital eseguento il Quintetto per archi n.1 in La maggiore, op.18 (1826), composto da Mendelssohn all’età di 17 anni.

Articolato in quattro movimenti, dopo sei anni il compositore, insoddisfatto, sostituì il Minuetto originario con un Intermezzo lento – dedicato alla memoria di un caro amico, il violinista Eduard Rietz, morto più che ventenne nel 1825 – dal carattere emotivo piuttosto che elegiaco.

Applauditissimi, i musicisti – Anke Dill, violino ; Ulf Schneider, violino ; Barbara Westphal, viola ; Volker Jacobsen, viola ; Gustav Rivinius, violoncello – hanno eseguito come bis un estratto dal Quintetto per archi n.2 in Si bemolle maggiore, op. 87, sempre di Mendelssohn.

E finalmente giunse la due giorni, attesissima, con i biglietti ormai esauriti da tempo, di Andras Schiff (Budapest, 21 dicembre 1953), che ha voluto suonare nell’intima sala Apollinea il Fortepiano, strumento originale di Julius Bluthner n.600, Lipsia 1859, arrivato appositamente da Berlino.

Il giorno precedente, Schiff aveva ricevuto il premio annuale Una vita per la musica, - creato nel 1979 da Bruno Tosi (1937 – 2012) per celebrare le personalità più illustri della scena musicale internazionale – cominciando a intrattenere una conversazione con il pubblico che sarebbe continuata la mattina dopo con gli studenti del Conservatorio veneziano – interessantissima secondo quanto mi ha raccontato Angelo Zanin, violoncellista dello storico Quartetto di Venezia – e nel corso dei concerti .

Ogni concerto aveva un programma differente, presentato dal pianista stesso, brano dopo brano.

La prima sera – in cui chi scrive non era presente – ha esordito con un Preludio e fuga in Do maggiore dal Clavicembalo ben temperato di J.S.Bach e da un Ricercare a tre da L’offerta musicale, sempre di Bach. La Fantasia in Do minore di Mozart ha preceduto la Variazione in Fa minore di F.J. Haydn. Tre Intermezzi, op.117 di Johannes Brahms e la Sonata op.109 di Beethoven hanno concluso il recital, ovviamente applauditissimo.

La sera successiva sono cambiati in parte gli autori, fermo restando il genio di Eisenach, - del quale all’esordio Schiff ha interpretato l’ Invenzione a tre voci n. 9 in Fa minore ; il Capriccio, BWV 992 ; la Fantasia Cromatica e fuga – e il magistrale Beethoven alla fine - Sonata op.31, n.1, conosciuta come La tempesta.

Il concerto è sembrato una piacevole chiacchierata sul significato della musica, con alcune caratteristiche di ogni autore, spiegate da un musicista che ha studiato a fondo, e continua a farlo, ogni compositore su cui si è perfezionato.

Il pubblico rimane in silenzio – colpi di tosse a parte – quasi a voler assaporare perfino il respiro del Maestro. Le esecuzioni sono limpidissime, il suono della tastiera è più caldo e meno potente di quello del pianoforte a coda, senz’altro preferibile per la sala scelta.

Tra Bach e Beethoven, Schiff ha eseguito Davidsbundlertanze, op. 6 (1837) di Robert Schumann e Variations sérieuses, op. 54 (1841), capolavoro pianistico di Felix Mendelssohn.

Come sempre, concentrato e in ottima forma, ha conquistato la platea, desiderosa che il recital non avesse fine. Sono però seguiti diversi bis, accolti tra gli applausi e un’accoglienza amorosa da padrone di casa nel dopo concerto, con consigli agli studenti convenuti, scambi di opinione sui musicisti e il consueto rituale delle foto con lo smartphone. Accanto a lui, quasi a proteggerlo, la devota moglie, anche lei musicista, la violinista Yuko Shiokawa (Tokyo, 1 giugno 1946).

Non mi ha convinto l’esecuzione della Sinfonia n.9 in Re minore, op.125 “Corale” (1824) di Ludwig van Beethoven, trascritta per violino e pianoforte da Hans Sitt (Praga, 1850 – Lipsia, 1922), non ostante un’esecuzione inappuntabile da parte di Mauro Loguercio, violinista che suona uno strumento Pietro Guarnieri, fabbricato a Venezia nel 1724 e di Emanuela Piemonti, pianista e titolare della cattedra di musica da camera presso il Conservatorio G. Verdi di Milano.

Per tutto l’Ottocento o quasi, la Nona Sinfonia conobbe un’alterna fortuna. Da una parte il pubblico rimaneva soggiogato dal fascino quasi misterioso della composizione ; dall’altra non riusciva a comprendere interamente la grandezza e le novità musicali ampiamente espresse. Nel dicembre 1822 la Philarmonic Society di Londra commissionò ufficialmente a Beethoven la stesura della Nona Sinfonia, tant’è che il compositore dedicò l’intero 1823 a realizzare compiutamente il lavoro al quale per così lungo tempo aveva pensato.

La Sinfonia, con il coro finale sull’Ode alla gioia di Friedrich Schiller (1759 – 1805) – Gioia, bella scintilla divina, figlia dell’Eliseo, ebbri del tuo fuoco, o celeste, noi entriamo nel tuo santuario: La tua magia riunisce ciò che la moda ha crudelmente separato, tutti gli uomini diventano fratelli là dove indugia il tuo volo – per grande orchestra, quattro soli e coro a quattro voci, venne dedicata a Federico Guglielmo III° di Prussia. La prima assoluta ebbe luogo a Vienna la sera del 7 maggio 1824 nella sala del Teatro di Porta Carinzia.

La trascrizione ascoltata è durata circa 65 minuti, riscuotendo alla fine numerosi applausi.

I musicisti hanno eseguito, come bis, un movimento di un’altra sinfonia, rivelando che l’etichetta Brilliant Classics, per la quale alla Fazioli Concert Hall di Sacile hanno inciso la Nona, ha chiesto loro di inciderle tutte. “Ci vorrà un lustro”, hanno risposto i due solisti.

 

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