• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Un ebook per ricordare il terremoto e il crollo della scuola di S. Giuliano (...)

Un ebook per ricordare il terremoto e il crollo della scuola di S. Giuliano di Puglia

AgoraVox propone i primi due capitoli dell'ebook "L'Italia peggiore" di Pino Ciociola edito da @orsatti63 (qui il link per scaricarlo). L'ebook è uscito in occasione del X anniversario (era il 31 ottobre 2012) del terremoto e del crollo della scuola a San Giuliano di Puglia.

TERREMOTO: CAMPOBASSO, SCOSSA IN PIENO CENTRO

Campobasso, 31 ott. – (Adnkronos) – Una scossa di terremoto di ingente entità è stata avvertita intorno alle 

11,30 nel capoluogo molisano. Al momento la situazione non è ancora ben chiara anche se tutti gli edifici pubblici si sono svuotati e la gente si è riversata per le strade. Non è stata ancora comunicata l'intensità del sisma anche se si presume forte dal momento che alcune campane hanno suonato a causa del movimento tellurico. Le linee telefoniche dei cellulari sono al momento isolate. (Acb/Rs/Adnkronos)

31–OTT–02

11:56

TERREMOTO: BAMBINI INTRAPPOLATI IN SCUOLA ELEMENTARE

Campobasso, 31 ott. – (Adnkronos) – Mentre cominciano ad affluire i dati certi sul sisma verificatosi in Molise giunge notizia che il movimento sussultorio dell'ottavo grado della scala Mercalli ha causato il crollo di una scuola elementare a San Giuliano di Puglia (Cb) lasciando intrappolati 50 bambini. Sul posto si sta recando una squadra dei vigili del fuoco. (Acb/Zn/Adnkronos)

31–OTT–02

13:07

-----------------------

Pioggia e vento e silenzio. Nel cimitero nessuno. Non fosse, poco più avanti, per una donna anziana. Vestita di nero, di quelle che s’incontrano al Sud, seduta di fronte alle tombe dei bambini, la testa bassa, il bastone fra le mani. Dondola il corpo lentamente avanti e indietro, intonando sottovoce una cantilena in dialetto molisano nella quale si ripete, mille e mille volte, «cuore di mamma». Improvvisamente s’interrompe. Alza la testa e a voce più forte, ma rivolgendosi a se stessa, dice: «Aveva bisogno di angeli!». E ricomincia quella tremenda cantilena. Dalla mattina del 31 ottobre 2002, un giovedì, gli orologi sulla torre nel centro di San Giuliano di Puglia sono fermi sulle undici e trentadue, perché la gente non vuole siano mai più toccati. L’ora in cui la “Francesco Jovine” si sbriciolò completamente, unico edificio interamente crollato nei quarantaquattro comuni scossi dal terremoto. La scuola che massacrò una maestra e ventisette bimbi, ferendone tanti altri. Cinque anni prima, l’Istituto di Geofisica aveva rilasciato a questo edificio scolastico un certificato che ne attestava la «bassa vulnerabilità sismica»: un bel documento timbrato e firmato che, più avanti, apparve una sorta di macabro sberleffo, specie sapendo che il territorio di San Giuliano era ad “alto rischio sismico”. 

E questo fu addirittura ancora poco o nulla. Avrebbe fatto sapere il capo della Procura di Larino, Nicola Magrone, al termine della sua inchiesta, che «neppure un canile si dovrebbe costruire come venne costruita la scuola di San Giuliano». Però qui «amministratori, tecnici, appaltatori non davano conto a nessuno. Nessuno veniva posto in condizioni anche solo di sapere». Ed «anche di disarmanti, banali, piccole e grandi distrazioni fu lastricata la via dei bambini e della maestra verso la tomba». Quella scuola fu «il massimo esempio dell'Italia peggiore».

TERREMOTO

La prima scossa che dieci anni fa colpì Molise e Puglia ebbe il suo epicentro proprio tra i comuni di San Giuliano, Colletorto, Bonefro, Castellino del Biferno e Provvidenti (provincia di Campobasso). E la prima scossa fu anche la botta più violenta – alla quale ne seguirono tante altre per mesi –, quella delle undici e trentadue, che ebbe una magnitudo di 5,4 gradi della scala Richter. La "Jovine" si accartocciò d’improvviso andando in briciole: sotto le macerie rimasero sepolte sessantadue persone, bambini, insegnanti e bidelli. La Cnn e la Bbc quel giorno aprirono i loro telegiornali su questo. Ventisei piccoli e una insegnante morirono subito, un altro bimbo si spense dopo un mese all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma. I loro funerali furono un’infinita teoria di bare bianche. L’ultima tanto lunga, in Italia, si era vista il 16 luglio 1947, quando in un naufragio a pochi metri dalla riva a largo di Albenga morirono quarantaquattro bambini dai cinque agli otto anni.

“Mettetevi sotto i ban…” Clementina Simone, una delle maestre, era seduta e stava spiegando ai suoi alunni la lezione del giorno: «Avvertii un forte rumore e il pavimento che si muoveva – raccontò –. Gridai ai bambini di mettersi sotto i banchi, io stessa m’infilai sotto la cattedra e mentre lo facevo vidi il muro alla mia sinistra, vicino alla finestra, che si stava sbriciolando in tanti pezzetti. Ma fu tutto così veloce che riuscii a dire soltanto “mettetevi sotto i ban…”, senza riuscire a finire di pronunciare “chi”, che il solaio era già crollato».

Successe tutto nel giro di tre, quattro, cinque secondi. «È un crollo anomalo», si accorsero e segnalarono immediatamente Vigili del fuoco e uomini della Protezione civile, che scavando senza fermarsi un giorno e mezzo e una notte strapparono alle macerie anche trentaquattro bimbi vivi, l’ultimo dei quali dopo trentasei ore.Complessivamente, dopo il sisma fra Molise e Puglia, i feriti furono un centinaio e quasi tremila gli sfollati solamente nella provincia di Campobasso. Eppure dal 1998 San Giuliano di Puglia era stato ufficialmente classificato dalla Protezione civile quale “zona ad elevato rischio sismico”.

UN PRESEPE IMPAZZITO

La notte dopo la scossa, questo borgo di milleduecento persone in un angolo di Molise (a dispetto del suo nome), ad una sessantina di chilometri da Campobasso, sembrò essere un presepe impazzito di luci scomposte e di ferite. Una grande croce accesa dal neon blu lo domina nel suo punto quasi più alto: col buio, da giù, è la prima cosa che incontrò e incontra lo sguardo. Non parve esserci stato un terremoto, ma un bombardamento. Incrociai, quella notte, tanti anziani, abbandonati sulle sedie, la coperta sulle gambe, gli occhi gonfi. I più giovani, specie uomini, camminavano, quasi correvano, per le strade, cercando di capire cosa si potesse prendere dalle case e salvare. Mentre giravano senza sosta una ventina di carabinieri in mimetica con la mitraglietta in mano. Sciacalli qui, almeno quella notte, non se ne videro. Guido Bertolaso era capo del Dipartimento della Protezione civile. Arrivò dalla Sicilia qualche ora dopo la scossa. Rimase sulle macerie della “Jovine” trentasei ore, fino alla fine delle operazioni per tirare fuori i bimbi vivi e quelli morti. «Incredibile – mi spiegò, poi –. In–cre–di–bile! Io non sono un ingegnere, però sinceramente non credo che ci voglia... Ma sono sicuro che la magistratura andrà in fondo a questa storia». Aggiunse anni dopo, intervistato dalla trasmissione Report: «Immediatamente tutti noi pensammo che quanto accaduto non potesse essere imputato a causa naturale, quindi all’evento sismico». L’ultimo raggio di luce sbucò da quanto restava della scuola alle quattro e mezza del venerdì mattina. Angelo, otto anni. Piangeva di paura e dolore, aveva diverse fratture, ma era bimbetto tosto: in ambulanza, mentre lo portavano all’ospedale di Termoli, divorò un pezzo di cioccolata e sorrise.

«Ci sono volute diciassette ore – disse il vigile del fuoco che lo salvò –. Non so ripetere le mie sensazioni quando l’ho abbracciato, spero tanto di non doverle provare mai più. Il bambino non parlava, piangeva, era sfinito, aveva gli occhi sbarrati, ma era vivo». Prima di lui avevano tirato via dal buio di muri e calcinacci e soffitti crollati altri bambini, una insegnante e due bidelle. Molti ne portarono a lungo le conseguenze, tragiche, fisiche e non soltanto. Alcuni le portano per il resto della loro vita. Durante lo scavo a mani nude (per non provocare altri crolli), capimmo, a un certo punto, che erano finite le speranze per chi ancora fosse lì sotto. Fu quando portarono via i cani addestrati per la ricerca nelle macerie, verso le cinque di mattina, segno che solo un miracolo avrebbe fatto ritrovare qualcuno vivo.Ricordo, sempre quel venerdì, all’ora di pranzo, quattro vigili del fuoco spossati e seduti in disparte su un pezzo di muretto: sporchi, bianchi di cemento sfarinato sulle divise, sul volto e nei capelli, gli occhi gonfi di stanchezza e polvere, avevano lavorato senza fermarsi un pomeriggio, una notte e una mattinata per salvare bambini e adesso avevano avuto un cambio. Uno di loro teneva il casco nelle mani, fra le gambe. La testa china.

(Si ringrazia Pietro Orsatti)

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares