Un disperato condono concordato
Governo e maggioranza tentano disperatamente di attaccare un condono al concordato preventivo, col rischio che gli autonomi percepiscano il concetto di protezione governativa in un'accezione problematica. Ma la tigre fiscale resta di carta.

Poiché la disperazione aguzza l’ingegno (di governo e maggioranza), apprendiamo che, con emendamenti al decreto Omnibus in discussione al Senato, di cui uno a firma di esponenti dei tre maggiori partiti della maggioranza, viene introdotto una sorta di “ravvedimento” che consentirebbe ai lavoratori autonomi che entro il prossimo 31 ottobre aderiranno al concordato preventivo biennale, di far emergere i maggiori redditi non dichiarati al Fisco nel quinquennio precedente, quello che va dal 2018 al 2023.
Cercasi imponibile disperatamente
Periodo, non a caso, ancora teoricamente accertabile dall’Agenzia delle Entrate. Analogamente a quanto deciso per il prossimo biennio d’imposta, anche il ravvedimento prevede il pagamento dei redditi “emergenti” con una flat tax legata al voto delle pagelle fiscali, gli Isa (indicatori sintetici di affidabilità). Chi ha un voto elevato, tra 8 e 10, pagherebbe solo il 10 per cento. Con punteggio tra 6 e 8, l’aliquota sale al 12 per cento e tocca il 15 per cento per chi è sotto il voto Isa di 6. Per aderire alla sanatoria, occorre versare il dovuto entro il marzo del prossimo anno ma sono previste comode rate a 24 mesi pagando un interesse del 2 per cento.
Quindi, traduciamo: il governo e la maggioranza cercano disperatamente di fare emergere imponibile dagli autonomi (la categoria che proteggono e difendono con le unghie e con i denti), per recuperare risorse necessarie per tenere in piedi la cosiddetta riforma fiscale, quella che ogni anno costringe a cercare disperatamente coperture. Le ultime settimane hanno sentito intonare la canzoncina intitolata “aiutiamo il ceto medio” (quello dell’omonimo dito), e quindi è nata l’ideuzza di ridurre dal 35 al 33 per cento l’aliquota sino a 50 mila euro, quella oltre la quale stanno gli schifosi plutocrati della Nazione, ed estenderla sino a 60 mila euro.
Come segnalo da quando questa indecorosa vicenda è nata, e a parte l’assurdità di una riforma che costringe ogni anno a trovare disperatamente le coperture, dato che per il concordato preventivo non butta benissimo (altra evidenza palmare), è iniziato il tentativo di blandire gli autonomi e indurli a mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio, dando qualcosa. In cambio, per l’emersione del nero (pardon, per la materializzazione della sapienza imprenditoriale degli autonomi), flat tax per tutti. Offre il governo, pagano i forzati dell’Irpef sopra i 50 mila euro.
Ora, poiché evidentemente neppure la flat tax per far emergere nero nel prossimo biennio d’imposta basta a produrre l’auspicato e sospirato gettito, ecco la levata d’ingegno: una sanatoria, ravvedimento, condono, chiamatelo come volete, per i cinque esercizi d’imposta precedenti. Un altro piccolo sforzo, e niente accertamento. “Che bei mini-redditi avete dichiarato negli ultimi cinque anni: sarebbe un peccato se accadesse loro qualcosa”.
Un differente tipo di protezione
Ecco, a questo punto, però, direi che l’approccio è cambiato. Nel senso che chiedere soldi con aliquote agevolate per fare emergere nero per i prossimi due esercizi d’imposta è un conto; chiederli per i cinque anni precedenti è tutt’altro discorso, ne converrete. Cioè, gli autonomi devono pagare, per avere la protezione dall’accertamento.
Come sappiamo, la credibilità della minaccia di accertamento poggia sulla disponibilità di risorse, umane e materiali dell’Agenzia delle Entrate. Se in pochi aderiranno al concordato, il rischio è quello di dover accertare in massa ma non aver risorse per farlo. Quindi, minaccia cartonata, e tanti saluti alla faccia feroce di Maurizio Leo. Se aderissero in molti, la minaccia sarebbe più credibile.
Ma cosa accadrebbe se un autonomo decidesse di aderire al concordato solo per il futuro e non per il pregresso? Che resterebbe accertabile, immagino. Ma se le cose stanno così, l’autonomo potrebbe anche decidere di non aderire neppure per il futuro, ritenendo il pacchetto “all-inclusive” (futuro e passato) troppo oneroso, a meno di fare emergere una pizza con gli amici. Cioè l’esito inutile, per le casse pubbliche e per quelle degli autonomi.
Se quindi tale pacchetto risultasse troppo oneroso, e vi fosse “renitenza” massiva, ecco che la minaccia di accertare tutti finirebbe contro un muro. Pensateci, questa è teoria dei giochi. O meglio, dei giochini fiscali, tra un governo che cerca disperatamente soldi e la categoria dei suoi grandi protetti che potrebbe irritarsi per questa svolta da macchina del tempo. Con tutto quello che ne conseguirebbe in termini di conseguenze non volute. Se dalla protezione amorevole passiamo alla protezione nell’accezione estorsiva, si pone un problema politico non da poco. Soprattutto per chi da Palazzo Chigi (stra)parla di “pizzo di stato“. Avete presente la frase “Timeo Danaos et dona ferentes“? Ecco, una cosa così. Ma niente paura: al fisco mancano personale e risorse, potete prendervi il rischio.
Ma soprattutto, io sarò tonto ma non mi quadra un punto: perché cercare di far emergere imponibile una tantum per finanziare una riforma fiscale presunta permanente? Ah, saperlo. Resta l’altra domanda: quanto tempo passerà prima di leggere e sentire la proposta-peperonata di una voluntary disclosure su contanti e cassette di sicurezza, “per chiudere col passato, ora che stiamo facendo la grande riforma”?
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