• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Un anno di r-involuzione araba

Un anno di r-involuzione araba

Nuovi governi, per delle rivoluzioni incompiute, con vecchi metodi di persuasione, per instaurare una sorta di ordine, mentre i volti di un’autorità corrotta vengono depennati e le epurazioni sono state perpetrate tra le file del ceto impiegatizio, mentre i benestanti corruttibili rimangono al loro posto.

Le “Rivoluzioni”, e in gran parte sui “cambiamenti” in Egitto, hanno ispirato una miriade di libri, cronache giornalistiche e di narrazione, raccogliendo le voci dai blogger, come ad esempio nel I Diari della Rivoluzione (Fandango). Mentre Limes, nel primo numero del 2012, si interessa ai diversi scenari nel Medio oriente e alle reiterate minacce iraniane all’Occidente, con il pericolo del nucleare e i tagli delle forniture petrolifere, anticipando l’applicazione del boicottaggio europeo, “suggerendo” la necessità di dare innanzitutto una soluzione al “protocollo Iran”, prima di affrontare la questione siriana. Il periodico di geopolitica fa riflettere anche sulle ControRivoluzioni in corso, argomento affrontato da Limes anche nell’ultimo numero del 2011, analizzando gli sviluppi tra i Fratelli musulmani e i salafiti, non solo nelle recenti elezioni in Egitto, e il modello turco che si allontana, ma anche come aprire ai religiosi più rigorosi.
 
Il confronto tra moderati ed estremisti, in Egitto come in Tunisia e Libia, rende incerto il futuro di ogni governo, della sua laicità e la stabilità della democrazia. In Libia, ad un anno dalle prime manifestazioni, il futuro è ancora tutto da scrivere, offrendosi come immagine sfocata, senza dei contorni ben delineati, mostrandosi più pericolosa ora che sotto Gheddafi, con le scorrerie delle diverse milizie, rendendo il paese una miriade di piccoli feudi, con prigioni e “tribunali” fuori da ogni controllo delle organizzazioni umanitarie e dal governo centrale, come è documentato dal primo e dall’ancor più drammatico ultimo rapporto di Amnesty International. Basta essere sospettati di aver avuto simpatie per Gheddafi per essere rinchiusi in spazi adibiti a luoghi di detenzione e tortura. Sembra impossibile evitare al termine di ogni guerra civile la “resa dei conti” tra opposte fazioni o per regolare faide ancor più, se mai fosse possibile, meschine.
 
Diritti umani violati, come nei 41 anni della dittatura di Muammar Gheddafi, e le autorità libiche non riescono ad offrire alla popolazione un senso di sicurezza e all’Onu una parvenza di legalità.
 
La Libia non ha trovato ancora una stabilità e la profanazione delle tombe dei soldati del Commonwealth e di quelli italiani, anche se il Consiglio Nazionale Transitorio (Cnt) ha porto le scuse, è una dimostrazione, come l’accusa rivolta a due giornalisti britannici di essere delle spie, grazie anche al video messo sul web che li immortala con armi, dimostra la mancanza di un potere centrale, ma anche accusata da Mosca di addestrare gli insorti siriani.
 
Un potere centrale che sembra aver terminato il suo compito. Dopo che le tribù e gli abitanti della Cirenaica e della Tripolitania, come quelli del Fezzan, si sono trovati uniti contro l’egemonia geddafiana, è ora la volta delle milizie e degli individualismi, prospettando per la Libia un futuro federale sul modello iracheno.
 
Le rivolte, nate da uno scontento per la mancanza dei generi di prima necessità, si sono risolte in pochi mesi, perché le crisi economiche creano coesione e determinazione tra la popolazione. È il rivendicare la libertà che non trova un altrettanto consenso tra la cittadinanza. Le persone aspirano a una vita scandita da un susseguirsi di ordinate ore e di poter soddisfare le primarie necessità, come esplica Corrado Augias nel suo Il Disagio della libertà (Rizzoli), limitando l’esperienza all’Italia degli ultimi novant’anni, ma che può essere l’aspirazione, se non di tutti, della maggioranza dei popoli. Con il libro Tumulti Scene dal nuovo disordine planetario, di Augusto Illuminati, Tania Rispoli (DeriveApprodi), si analizzano le motivazioni delle diverse rivolte e insurrezioni in varie epoche, dalle concezioni aristoteliche sino ai giorni nostri, per affermare che lo scontento è il moto propulsore di ogni aspirazione di cambiamento.
 
Uno scontento motivato dalle condizioni economiche è un forte stimolo per il cambiamento, com’è successo in Tunisia e in Egitto, ma anche aspirare alla libertà è un’esortazione a ribellarsi, come è accaduto in Libia e ora in Siria, ma con maggior travaglio.
 
Quando una parte della popolazione è insorta contro Gheddafi, altrettanti erano i sostenitori di quel regime violento e l’insurrezione si è trasformata in guerra civile, come sta avvenendo in Siria, dove i fucili fronteggiano i blindati, con dei disertori riuniti nella Free Syrian Army e che possono contare su sporadici carichi di armi attraverso il valico di Rabia, nella provincia irachena di Mosul.
 
Una guerra civile, ma anche una guerra per procura, tra i sciiti, ai quali appartiene la minoranza alawita, e i sunniti, tra l’Iran e l’Arabia Saudita con i Paesi del Golfo, ma anche la possibilità che si possa ampliare ad un test dell’Occidente sull’efficacia del sistema antiaereo fornito dai russi ai siriani.
 
La Siria non è una grande produttrice di petrolio, ma è sulla rotta degli idrocarburi, come lo era con la Via della Seta, ed è troppo vicina all’Iran, pure se l’Iraq fa da cuscinetto. Può contare sulle influenti protezioni, come quella della Russia e della Cina, per non sottostare ai continui richiami dell’Onu e dell’Europa, al rispetto della vita umana.
 
La Russia e la Cina spalleggiano Bashar al-Assad non solo per puri calcoli politici, ma anche per una visione umanitaria condivisa verso l’informazione fuori dagli schemi di regime, sino ad invidiarlo per libertà di attuare una strage di giornalisti in Siria. Ogni antenna parabolica per le trasmissioni è un bersaglio primario come ad Homs.
 
La caduta di Bashar al-Assad metterebbe in discussione un sicuro approdo alle navi militari russe e iraniane, nel Mediterraneo, oltre ad isolare hezbollah in Libano e far perdere agli ayatollah un alleato, anche se poco affidabile, nell’area.
 
Il mancato rispetto di qualsiasi diritto in Siria è stato oggetto del rapporto We live as in war dell’organizzazione Human rights watch e ora anche di Amnesty International con il rapporto sulla missione della Lega araba che conferma le atrocità perpetrate contro l’umanità.
 
Non è solo una dittatura, ma un “fedele” nemico d’Israele che tiene sotto controllo la stabilità del Medio Oriente, volendo continuare ad influenzare la politica libanese, anche se il leader di Hamas, Ismail Haniya, non ha preso sole le distanze dal governo siriano, ma si è apertamente schierato con i “sovversivi”.
 
Tra le file dell’opposizione siriana non si conta solo il popolo sunnita, maggioritario, stanco di essere governato dalla minoranza alawita, o ex militari, ma ora anche le defezioni del viceministro siriano del Petrolio, Abdo Hussameddine, annunciando con un messaggio video su Youtube la sua adesione all'opposizione al regime di Bashar al Assad, seguita da alti ufficiali che si sono rifugiati all’estero.
 
I risultati elettorali ottenuti dagli schieramenti islamici in Tunisia e in Egitto, ma anche in Marocco, rendono le proteste di numerose nazioni, nonostante la documentazione sul web di Syrian Revolution, timidamente calibrate, come dimostra la recente conferenza di una sessantina di paesi e istituzioni, amiche della Siria, riunitesi a Tunisi per superare gli ostacoli russi e cinesi in seno alle Nazioni Unite. Una riunione, come anche quelle del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che non riescono ad andare oltre la richiesta per un cessate il fuoco e un piano di aiuti umanitari, mentre dimostrano una diversificazione di punti di vista sul come intervenire o non intervenire.
 
Una divisione che rispecchia anche la realtà dell’opposizione, tra quelli che vogliono risolvere orgogliosamente da soli la situazione e chi chiede l’intervento militare esterno, così come c’è chi vuole fornire armi, ad esempio i paesi del Golfo e magari intervenire, e chi confida nelle sanzioni, alcune nazioni hanno anche ritirato la propria rappresentanza diplomatica, magari riuscendo a convincere la Russia nella necessità di sostenere il cambiamento modello yemenita, di antica memoria gattopardiana, esortando un cambio al vertice per acclamazione con un unico candidato, intanto Assad annuncia, per maggio, le elezioni legislative.
 
La Siria è nel mezzo di una lunga, interminabile, sanguinosa rivoluzione, sospesa sulle convenienze geopolitiche che si sbloccherà solo con la presa di posizione dell’Occidente verso l’Iran. L’Occidente non può confidare nelle epocali rivalità islamiche, il conflitto iracheno iraniano ne è uno degli esempi più cruenti, per sopravvivere, ma deve riscattarsi dalle energie fossili.
 
Andare oltre gli idrocarburi, anche se l’Arabia Saudita si offre a sopperire alle mancate forniture di greggio provenienti dall’Iran, dovute alle periodiche minacce degli Ayatollah, non ultime quelle di bloccare lo Stretto di Ormuz, come se non bastasse la pirateria nel Golfo di Aden per accedere al Mar Rosso e raggiungere il Mediterraneo dallo Stretto di Suez.
 
Tra i sospetti che l’Occidente cova verso il programma nucleare iraniano e le minacce nel limitare il traffico navale, la Ue vara nuove sanzionatorie al regime di Teheran per il congelamento dei beni della banca centrale iraniana, ma che saranno applicate solo in estate, per aiutare la Grecia come l’Italia, a trovare nuove fonti di rifornimento. 
 
Il Non ci rappresentano (Tropea) è un libro di Pilar Velasco, sulle rivendicazioni degli scontenti dell’Occidente, ma può essere il manifesto condiviso anche dagli indignati del Mondo Arabo, perché non è solo una rivendicazione di genere “economico”, ma anche una richiesta di democrazia ugualitaria.
 
Ultimo in ordine di tempo è il convegno svoltosi a Roma e promosso dalla Comunità di S. Egidio, a fine febbraio, sulla Primavera Araba. Verso un nuovo patto nazionale. Ad introdurre l’incontro Andrea Riccardi, attuale Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, e ha visto la presenza di vari esponenti nel Mondo Arabo, tranne della Palestina, come il tunisino Rachid Gannouchi o intellettuali come Samir Franjieh, ma l’intervento più atteso era quello di Haytham al Manna, unico leader all’estero del Coordinamento Nazionale Siriano per il Cambiamento Democratico, una delle componenti del variegato panorama dell’opposizione, che rifiuta a priori qualunque intervento militare, no fly zone o corridoi umanitari che siano. Una nuova occasione per la Comunità di S. Egidio di svolgere un ruolo nella diplomazia internazionale, meno formale e più ad ampio raggio. Forse questo il motivo che gran parte degli organi d’informazione hanno marginalizzato l’evento.
La situazione siriana oscura il rinfocolare della violenza tra le fazioni palestinesi lontane dall’idea di pacificazione e Israele che aspetta solo l’occasione per eseguire i suoi vendicativi raid aerei, come risposta ai razzi e colpi di mortaio che da Gaza partono per colpire le località meridionali israeliane, con il rituale balletto di chi ha cominciato prima.
 
Una riflessione sul futuro dei cambiamenti nel Mondo Arabo è anche il tema del recente libro Il sogno infranto – la nuova primavera araba di Souad Sbai (A. Curcio Editore) e l’imporsi sulla scena politica degli islamismi, come nelle elezioni tenutesi a febbraio in Kuwait con l’affermazione dei salafiti o con i sempre più frequenti atti di violenza in Tunisia. Souad Sbai, deputata del parlamento italiano nelle file del Pdl, rimane delusa dalla politica italiana fortemente sbilanciata nel dialogare con organizzazioni arabe di accento maschile, escludendo la realtà femminile più partecipativa al dialogo e ai cambiamenti.
 
L’Occidente dovrebbe impegnarsi di più nell’analizzare la realtà di una fede esasperata che si fa sempre più protagonista nell’islam dei cambiamenti, diventando l’unica certezza per le persone che aspirano al delegare la propria vita a una teocrazia votata al pensiero unico, in questo un certo islam ha delle similitudini materialiste dell’Occidente, permutando la libertà con pane e assistenza.
Un ribollire dove Al Qaida cerca, in tutto il Mondo arabo, di legittimare la sua presenza in ogni azione di protesta o di ribellione, ma sono i continui attentati nello Yemen e i rapimenti nei territori sahariani, oltre a scorrazzare in Somalia, ad operare in franchising, come in Siria con o in prima persona.
 
Il 23 febbraio, presso il Teatro-Biblioteca Quarticciolo a Roma, La Primavera araba vista dagli scrittori è stato il tema di un incontro con Isabella Camera d'Afflitto (Università La Sapienza di Roma), nell’ambito della Festa Araba, per l’inaugurazione della sezione di libri in lingua araba, che si potranno prendere in prestito gratuitamente con una semplice iscrizione in biblioteca, rivolta agli adulti e ai ragazzi, promossa dal Servizio Intercultura delle Biblioteche di Roma.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.75) 18 marzo 2012 01:05

    Il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha elaborato e sottoposto a referendum (il 26 febbraio scorso) una bozza di nuova costituzione (testo in inglese: http://www.sana.sy/eng/337/2012/02/...) la quale comprende due punti qualificanti principali: la fine del sistema a partito unico, il Baath, al potere dal 1963, e il limite di due mandati presidenziali consecutivi. 

    Di fatto la nuova costituzione consentirà il multipartitismo, la tutela delle confessioni religiose e delle minoranze, l’elezione a suffragio universale del presidente della repubblica, il quale non potrà essere rieletto per più di due mandati. Dunque sancisce la fine del mandato illimitato in virtù del quale gli Assad governano la Siria dal colpo di stato del 1970.

    La proposta è stata approvata dai cittadini siriani, con l’89,4% dei si, in una tornata referendaria che, nonostante l’appello degli insorti al boicottaggio e i disordini, ha visto la partecipazione del 54% degli aventi diritto.

    Tuttavia, nonostante le profonde riforme in senso democratico e pluralistico che introduce, il referendum è stato immediatamente rigettato dalle potenze occidentali.

    Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha definito il referendum "uno stratagemma cinico" e ha esortato i siriani che continuano a sostenere Assad a rivoltarsi contro di lui. Una "farsa" e un "voto farsa" è stato definito dal ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle. Da parte loro il francese Alain Juppé, il britannico William Hague, e numerosi altri ministri degli esteri, hanno dichiarato che il referendum non aveva alcuna credibilita a causa della incessante repressione." (http://tg.la7.it/esteri/video-i516469). Intanto l’Arabia Saudita fornisce armi agli insorti e Francia e Regno Unito inviano "istruttori" sul campo.

    Ebbene, questo è incomprensibile. Come è possibile che praticamente tutti gli esponenti delle democrazie occidentali rigettino il referendum costituzionale siriano bollandolo come una farsa?
    Un democratico non può mai considerare una consultazione elettorale come una farsa, visto che è il momento qualificante della democrazia, a meno che non sia convinto che essendo stata viziata da gravi brogli il suo risultato sia falso. 

    Ma se questo fosse il caso del referendum siriano, se Bashar al-Assad avesse truccato le votazioni, lo avrebbe fatto a suo danno, visto che la nuova costituzione sancisce la fine del potere illimitato del suo partito e del suo personale. Perché avrebbe dovuto farlo? E, soprattutto, anche se per ipotesi il referendum fosse stato almeno in parte pilotato dal regime, perché le potenze occidentali vorrebbero rifiutare il suo esito, visto che introducendo importati riforme in senso pluralistico e democratico, dovrebbe essere di loro gradimento e a vantaggio del popolo siriano?

    Perché il segretario di stato statunitense preferisce invitare all’insurrezione, e preferisce che siano supportati gli insorti, piuttosto che accettare una modalità di transizione del potere pacifica e democratica, ben sapendo che molto probabilmente l’alternativa alla transizione democratica sarebbe la guerra civile e il bagno di sangue pagato da tutto il popolo siriano?

    La mia ipotesi, quella che ritengo la più probabile, è che i cosiddetti "Amici della Siria" non vogliano una transizione democratica, ordinata, pacifica, che mantenga l’integrità dello stato siriano. Anzi: vogliono evitarla, a costo di innumerevoli vittime tra la popolazione civile, la cui incolumità dicono essere la loro unica preoccupazione.

    In Iraq avvenne che Bush e Blair decisero l’attacco prima che si avesse il tempo di far decidere Saddam Hussein per l’esilio. Cosa che avrebbe risparmiato agli iracheni innumerevoli lutti e miserie. In Libia non si è lasciato scampo a Gheddafi, nonostante i tentativi di mediare una soluzione che risparmiasse lutti e rovine ai libici.
    In Siria sembra si voglia ripetere lo stesso format, come fosse una trasmissione televisiva. Alcuni dicono che non c’è da fidarsi della buona fede di Assad, che una volta allentatasi la pressione tornerebbe a riprendersi il potere che aveva concesso. Ma perché non metterlo alla prova? Possibile che venga giudicato più facile e conveniente un intervento militare che inviare osservatori durante le elezioni e pretendere dal regime che la consultazione sia regolare?

    Intanto la campagna mediatica procede incessante e pervasiva a battere sempre sulle stesse "verità".

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares