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Un po’ mafia, un po’ stato

L’attuale vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, il 19 luglio 1992, giorno della strage di Via D’Amelio, era il Ministro dell’Interno. 17 anni dopo ancora non si conoscono i mandanti dell’attentato che quel giorno uccise Paolo Borsellino e i 5 agenti della sua scorta. Oggi a distanza di tanti anni, è venuto alla luce che il magistrato palermitano, circa una ventina di giorni prima di morire, avesse saputo di alcune trattative tra la Mafia e lo Stato.


Nicola Mancino ha dichiarato: "Nel ’92 nessuno mi parlò di trattative tra Stato e Mafia". Non ne sapeva niente di questa Cosa Nostra, non ne aveva mai sentito parlare. Ricordate bene questa dichiarazione, tenetela bene a mente, perchè tra altri 17 anni, o tra altri 170 anni potreste risentirla.

Ad esempio alcuni giorni fa il Consiglio dei Ministri ha deciso che per quanto riguarda il "Caso Fondi", il comune laziale inzuppato di camorra, è meglio intraprendere la via democratica. Il Comune si è sciolto, non per merito del Goveno, ma in seguito alle dimissioni del Sindaco e della sua maggioranza targata PDL. "Le prossime elezioni si terranno a marzo e il popolo sovrano sceglierà la nuova amministrazione comunale", ha dichiarato il Ministro dell’Interno Maroni, quello che si vanta di arrestare 8-10 mafiosi al giorno, tanto per intenderci".

Mai pronunciare Mafia e Stato.
I politici locali e nazionali questo lo sanno bene.
Sono due parole pericolose, è un binomio fastidioso.

Quasi un ossimoro. Un ossimoro che forse non esiste più, si è trasformato in un’analogia, tanto è il grado di connivenza al quale un po’ sottostiamo, un po’ scodinzoliamo.

Vorrei sapere ad esempio Mafia e Stato dov’erano nel caso di "Giampi" Tarantini, l’imprenditore pugliese, fornitore ufficiale di escort presidenziali, che ha dichiarato che nella sua villa in Sardegna, ai suoi ospiti offriva sempre un po’ di coca gratis, coca che custodiva nella cassaforte della sua camera da letto. Giampi aveva lo Stato in salotto, e la Mafia in cassaforte.


Ma esiste un boss, un camorrista, ora pentito, che io identico come esempio massimo di fusione tra Stato e Mafia: O’ SINDAC.



Questo suo soprannome
mi ha sempre colpito, Ciro Sarno di "bene" ne deve aver fatto veramente parecchio: pare che questo nomignolo gli venne attribuito dopo il terremoto del 1980, O’Sindac in seguito alla grande catastrofe si occupò personalmente di distribuire le case occupate di Ponticelli. Ciro Sarno si comportò da vero sindaco, da fautore di giustizia sociale, da grande amministatore della Res Pubblica, solo per non aver fatto "piglià coller a nisciun". Alcuni giorni fa ho letto che anche lui, il sommo amministratore, dopo 17 anni di carcere passati (pensate un po’) a studiare per laurearsi in giurisprudenza, ha deciso di pentirsi. I primi nomi che ha fatto? Alfredo Vito e Dino Bargi, due politici, che ovvietà.
 

Ciro Sarno ha dichiarato di aver contribuito a far eleggere nel 1992 "Mister Centomila" Alfredo Vito, pe la seconda volta candidato al Parlamento. Un Sindaco per un Parlamentare, o un Parlamentare per un Sindaco, la leggenda vuole che tra Mafia e Stato, in fondo, chi è per chi, non è importante.

Ad esempio un altro episodio di camorra impegnata in politica, o viceversa, sempre secondo un altro pentito, Giuseppe Misso, detto O’Nasone, fu il caso di Roberto Conte, che nella primavera del 2000 prese 8999 voti alle elezioni regionali in Campania.


 

"Politica e Mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo":

parole di Paolo Borsellino, uno che 17 anni fa, venti giorni prima di morire, seppe di morire, ma non per colpa di chi.

Della Mafia, o dello Stato.

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