La "Giornata della Terra" è stata il 22 aprile ma tutti i giorni la nostra Terra ha bisogno che ognuno di noi s'impegni a cambiare il proprio stile di vita e, al tempo stesso, a richiamare chi ci governa al suo dovere verso l'umanità e la vita nel suo insieme.
Il tempo stringe, ci avvertono gli scienziati, e bisogna agire concretamente per ridurre il riscaldamento globale ed impedire la catastrofe. Anche il vecchio girotondo può servire a svegliarci...
Chi non ricorda il classico girotondo che si faceva da bambini e che terminava proprio con queste parole? Beh, allora erano pronunciate festosamente, ma non si può negare che oggi esse risuonino piuttosto inquietanti, con quel loro apocalittico riferimento: casca il mondo, casca la terra. Recentemente, peraltro, ho appreso dalla mia ultimogenita – amante del dark – che quell’ingenuo girotondo infantile avrebbe avuto in effetti un’origine assai poco allegra, traducendo una diffusa “nursery rhime” inglese dell’Ottocento (Ring-a-ring-a-roses), a sua volta ispirata alla grande pestilenza che colpì duramente quel paese alla metà del XVII secolo.
Ma lasciamo stare la peste del ‘600 e veniamo ai giorni nostri in cui – anziché delle “roses” (cioè le macchie rosa che comparivano sulla pelle degli appestati, preludendo ai bubboni) - faremmo bene a preoccuparci del grave e costante arrossamento che stiamo provocando al nostro pianeta, continuando a surriscaldarne l’atmosfera in modo irresponsabile. Certo, non è che così facendo davvero “casca la Terra” ma non c’è dubbio che ne stiamo fatalmente compromettendo la vivibilità, avviandoci spensieratamente verso una catastrofe annunciata.
Il 22 aprile la “Giornata della Terra” e, ancora una volta, da varie parti si lanciano accorati appelli a salvare il pianeta azzurro da questa terribile minaccia. Fra i moniti più autorevoli va sicuramente annoverato quello della
Commissione di scienziati nominata dall’ONU, che
ha affermato senza tanti giri di parole:
“Solo una spinta a livello globale nei prossimi 25 anni potrà evitare i disastrosi effetti del cambiamento climatico”. Non è che qui in Italia se ne sia parlato e scritto molto, ma lo si apprende leggendo un articolo sul
Time del 13 aprile scorso, disponibile anche sull’
edizione online della nota rivista. L’IPCC (Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico), ha infatti ribadito che, per contenere i peggiori effetti di questo fenomeno, è indispensabile che i
governi adottino misure sempre più efficaci a ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Questo autorevole
consesso scientifico (non certo composto da sfegatati ambientalisti) ha
sottolineato che: “Le emissioni globali di gas serra devono essere ridotte del 40% al 70% rispetto al 2010 entro la metà del secolo, al fine di porre un limite al fatto che la
temperatura media globale aumenti di 2°C (o 3,6°F), al di sopra dei livelli preindustriali. Un aumento della temperatura superiore a 2ºC provoca effetti drastici, compreso il crollo di lastre di ghiaccio, l’estinzione massiva di piante e animali, scarsità di cibo e di acqua ed eventi meteorologici estremi”.
Il rapporto predisposto dall’IPCC, fra l’altro, ammonisce i responsabili degli Stati, chiamati a decidere nel merito, che l’inazione sarebbe davvero fatale visto che – nel periodo 2000-2010 – le emissioni sono cresciute assai più velocemente che nei tre decenni precedenti. Non si tratta delle minacciose previsioni di apocalittici "profeti di sventura", ma di pura e semplice constatazione della realtà che però dovrebbe renderci tutti/e più attivi e reattivi di fronte all’inerzia e ai colpevoli ritardi di chi ci governa. Ed è sempre il Time Magazine, nell’edizione cartacea europea del 14 aprile, a lanciare l’allarme, pubblicando una breve scheda nella quale si sintetizzano i cinque punti-chiave del citato IPCC.
1) Danni ambientali. Il cambiamento climatico ha già pesantemente alterato gli standard migratori, fatto fuori alcune specie e reso più difficile la coltivazione dei cereali, per non parlare dello scioglimento dei ghiacciai e della progressiva scomparsa del Mar Glaciale Artico.
2) Ripercussioni sociali. Si evidenzia che la conflittualità sociale è destinata a crescere laddove le persone sono costrette a fronteggiare una pesante riduzione delle risorse. Si chiarisce poi che “tale violenza, a sua volta, renderà ancora più difficile dare risposte al riscaldamento globale”.
3) Crisi economica. Se non si riuscirà ad impedire l’aumento globale della temperatura di 2 gradi centigradi – ammonisce la Commissione – anche la produzione mondiale ne risentirà, con un tasso di calo previsto intorno al 2% all’anno.
4) Impatto sui poveri. È evidente, si osserva, che i paesi “in via di sviluppo” saranno colpiti più duramente, nella misura in cui i suddetti cambiamenti climatici ne peggioreranno le condizioni di povertà. Essi infatti si troveranno a combattere contro un ulteriore aggravamento di fenomeni già presenti, come malnutrizione, sete, malattie ed alti tassi di mortalità.
5) Riduzione del danno. Il fatto è che denunciare gli effetti deleteri del cambiamento climatico non basta. Il rapporto quindi ribadisce che tutto dipende da come si saprà rispondere al riscaldamento globale, per ridurre il danno ed evitare che le cose vadano sempre peggio. Non so quanto le raccomandazioni di quegli scienziati – il cui studio è stato promosso dalle Nazioni Unite – riuscirà davvero a smuoverci dalla nostra pigra e rassegnata routine. Sappiamo però che senza una sostanziale riduzione delle emissioni tossiche per la nostra atmosfera non c’è scampo. È per questo che, come ha efficacemente commentato il Prof. Edenhofer, co-presidente dell’IPCC e noto scienziato tedesco: “We need to move away from business as usual”, espressione traducibile approssimativamente “È necessario che ci smuoviamo dal nostro abituale modo di essere”.
Eh già, perché la cosa più difficile è proprio uscire dal nostro solito tenore di vita, rinunciando alla vecchia e comoda equazione “più è meglio” e convertendoci finalmente a scelte alternative ed a stili di vita che siano socialmente responsabili e compatibili con le esigenze ambientali. L’etica della responsabilità non è certo patrimonio esclusivo dei credenti, ma è comunque importante che dalle Chiese si alzi la voce contro un modello di sviluppo che ci sta portando alla catastrofe, coinvolgendo l’intera biosfera in quest’assurdo suicidio dell’umanità. Ecco perché fa piacere constatare che anche Papa Francesco, nella sua recente esortazione apostolica, ha richiamato i credenti in Cristo ad una netta svolta in senso ecologico: “Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli…” (Evangelii Gaudium, n. 183 – p, 145-5).
Ecco: amare la Terra. Non soltanto tutelarne gli equilibri per non colpire il nostro interesse. Credo che sia giunto il tempo che i Cristiani imparino ad uscire da un’asfittica prospettiva antropocentrica e comincino ad interrogarsi sulla loro responsabilità verso la dantesca “aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XXII,151). Amare la Terra vuol dire impedire con tutte le nostre forze che egoismo, avidità ma anche la pigrizia, ci lascino proseguire sulla solita strada, adoperandoci in prima persona per essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo, per citare le profetiche parole del Mahatma Gandhi.
E allora diamoci da fare affinché cresca e si diffonda sempre più la consapevolezza di questa drammatica situazione, anche facendo appello ai cittadini perché sappiano richiamare chi li governa al rispetto delle scelte che possono e devono farci invertire la rotta. A tal proposito, anche la
Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità – il network associativo di cui faccio parte – ha cercato di operare in tal senso. Ha infatti lanciato su Change.org una
petizione al Consiglio UE affinché deliberasse l’
adozione degli obiettivi 60-50-50 (rispettivamente per la riduzione emissioni di CO2, l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili e la diminuzione dei consumi energetici). Dopo il rinvio delle decisioni degli organismi europei, ed in vista delle prossime scadenze internazionali, – fra cui il summit dell’ONU sul clima – abbiamo però ritenuto necessario attivare una
nuova e aggiornata petizione anche a livello internazionale.
Firmarla è solo il primo passo per un cambiamento che ci riguarda tutti e dipende da ciascuno di noi. Perché la posta in gioco è molto alta e non possiamo più permetterci di fare infantili girotondi per rinviare all’infinito decisioni improcrastinabili. E’ un impegno che dobbiamo assumerci, tutti. Prima che, fuor di metafora, “caschi la Terra”.
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