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Turchia: qual è il golpe?

Diversi compagni mi hanno chiesto stupiti perché non avevo ancora commentato quel che era accaduto in Turchia. Le ragioni erano molte, a partire dalla necessità di far decantare (e cadere) le prime versioni, a volte false per voluta disinformazione, ma più spesso per la fantasia di molti giornalisti a corto di notizie certe. 

Nel caso della Turchia, devo dire però che dopo il primo giorno la cautela dei media è aumentata, e anche i principali quotidiani hanno espresso dubbi e hanno definito il golpe “fasullo” o “farsesco”. Non ho gli elementi per insinuare che Erdogan abbia direttamente orchestrato la vicenda in modo da innescare una repressione massiccia; ma certo le liste di proscrizione erano già pronte (non soltanto quelle dei pochi ufficiali superiori sgraditi, quanto quelle dei magistrati dell’alta Corte, e anche dei 2800 giudici dei tribunali ordinari, di cui alcuni colpevoli di aver indagato sulle malversazioni di diversi familiari del presidente).

Come Putin, Erdogan aveva già dato più volte prova di saper approfittare di ogni occasione (compresi attentati inquietanti e di incerta provenienza) per liquidare i suoi avversari o concorrenti e per galvanizzare i suoi seguaci.
In ogni caso, a chi fosse stato tentato di simpatizzare per i militari, come tanti sciagurati della cosiddetta “sinistra” hanno fatto ultimamente per il golpe di Al Sissi contro Morsi in Egitto, o in epoca più lontana per la sospensione delle elezioni in Algeria per evitare un successo degli islamisti al secondo turno (nel gennaio 1992), basti ricordare che l’esercito presunto “difensore della laicità” è quello stesso che ha condiviso con Erdogan sia la ripresa della spietata repressione nelle province a maggioranza curda, sia la prolungata complicità con gli jihadisti in Siria e altrove, sia l’infame politica concordata con la Merkel, Tsipras e l’UE di gestione dei respingimenti dei richiedenti asilo. A proposito di Tsipras, merita di essere segnalata la tempestività con cui il suo governo ha accettato di consegnare a Erdogan 7 militari e un civile che avevano creduto di potersi rifugiare in Grecia...

Non ho gli elementi per dire con certezza quanto gli alti comandi e i servizi di sicurezza (e quindi Erdogan, a cui erano fedeli) sapessero dei preparativi di un pugno di ufficiali sprovveduti, ma è certo che non un solo ufficiale di Stato maggiore aveva partecipato a preparativi così grottescamente farseschi di un golpe che occupava il palazzo della TV di Stato ma non toccava le centinaia di catene TV private, né bloccava le comunicazioni via Internet; che bombardava la casa vuota del presidente e l’altrettanto vuoto parlamento, ma ignorava l’aereo personale di Erdogan che lo riportava a Istambul. Come minimo c’è da pensare che i pochi ufficiali golpisti avessero ricevuto informazioni deliberatamente false dai servizi, saldamente legati al presidente.

Anche nel Cile di Allende, tre mesi prima del vero golpe, il 29 giugno 1973 ce ne fu uno che sembrava da operetta (con i carri armati che facevano la fila ai semafori e alle pompe di carburante) e che forse era stato lasciato partire da Pinochet senza inviare in tempo un contrordine, o più probabilmente era stato affidato a ufficiali di terz’ordine, senza direttive precise, per fare una simulazione di golpe, e anche per creare nella sinistra un clima di fiducia nel complesso dell’esercito. Ma quei golpisti da operetta finirono impuniti, mentre alcuni dei giovani e ignari soldati turchi portati a presidiare i ponti “per una esercitazione”, sono stati linciati o sgozzati dalla folla di fanatici seguaci di Erdogan, ma anche assassinati dai reparti militari fedeli al presidente.

La maggioranza della grande stampa italiana più o meno filogovernativa non nasconde i dubbi sulla ricostruzione ufficiale turca delle caratteristiche di questo strano golpe, né può tacere le notizie e le testimonianze sulla spietatezza della repressione (dalle scudisciate ai poveri soldatini ignari, disarmati e terrorizzati dopo la resa, alla retata di giudici evidentemente estranei alla presunta rivolta militare).

Ma nessuno ha il coraggio di chiedere l’annullamento dell’accordo che affida a un regime così clamorosamente antidemocratico la sorte dei richiedenti asilo rifiutati dall’Europa, o la denuncia del ruolo della Nato, ovviamente complice e che non poteva non essere informata di quel che accadeva all’interno di uno dei pezzi più importanti del suo sistema “difensivo”. La NATO ha perfino incassato la sospensione provocatoria della fornitura di energia elettrica alla sua preziosissima base di Incirlik, come strumento di pressione per ottenere la consegna dell’ex amico di Erdogan Fethullah Gűlen, rifugiato da anni negli Stati Uniti.

Erdogan è sgradevolmente brutale, ma è “il nostro miglior amico” nella regione (dopo Israele), pensano i nostri governanti e i loro colleghi dell’UE e della NATO.

Una buona ragione per combatterlo e per combatterli. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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