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Tunisia: il dibattito attorno ai principi costituzionali

A Tunisi, a un anno dalle prime elezioni democratiche e libere del paese, l’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) ha cominciato la discussione sulla bozza della nuova Costituzione. Dopo la cacciata del dittatore Ben Alì, le manifestazioni contro i residui del vecchio regime della Kasbah 1 e 2 avevano imposto la caduta di due governi provvisori e l’elezione di un organo che redigesse una nuova costituzione, sancendo in questo modo una rottura netta con il passato.

Ale elezioni del 23 ottobre 2011 il primo partito risultò Ennahdha, di ispirazione islamica, premiato soprattutto per la persecuzione subita sotto Bourghiba e Ben Alì. Tuttavia, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi all’ANC, fu obbligato a venire a patti con altri due partiti, Il Congrés pour la Republique e Ettakatol, per formare un governo di coalizione, la cosiddetta Troika. In realtà, il tasso di partecipazione alle votazioni non superò il 55%, già mostrando come l’apparizione sulla scena politica tunisina di oltre cento partiti, spesso formatisi ad hoc e privi di una base reale, assieme alla tematizzazione forzata della campagna elettorale su religione e laicità, avesse allontanato una grandissima parte della popolazione, in particolare i giovani, dalle urne. Paradossalmente, proprio la prima prova di democrazia formale in Tunisia ha marcato un solco netto fra le aspettative ed i bisogni reali di chi la rivoluzione l’aveva vissuta in prima linea e la rappresentanza eletta. Una distanza siderale che permane nel dibattito all’interno dell’ANC sulla nuova carta costituzionale. Ennahdha non era presente nelle rivolte del dicembre 2011 e gennaio 2012, organizzate nelle regioni dell’interno dai giovani disoccupati e dalla sinistra sindacale e nelle città dalle élite progressiste insieme a blogger, femministe ed avvocati. Il risultato elettorale ha spinto il giurista Yadh Ben Achour (che fu alla testa della Haute instance pour la réalisation des objectifs de la révolution, de la réforme politique et de la transition démocratique) a dire: “La figura di Dio, assente nel corso della rivoluzione… si ritrova nelle urne… Un altro popolo si è espresso il giorno delle elezioni del 23 ottobre. Personalmente, lo definirei come il popolo addormentato dei credenti maggioritari”. Aggiungeremo che questo popolo, la cui indubbia sensibilità religiosa è rimasta repressa e latente per decenni, si è sentito in prima linea nel momento in cui la battaglia elettorale sembrava opporre “difensori della religione” a “nemici della religione”, tutti uniti, salvo rare eccezioni, in un assordante silenzio sui diritti economici e sociali.

Lo stesso leit motiv di matrice religiosa continua a pervadere la discussione all’interno dell’ANC ormai da oltre un anno (ricordiamo en passant che i partiti, ad esclusione del Congrés pour la Republique, avevano firmato un patto secondo il quale la durata dei lavori dell’ANC non avrebbe oltrepassato i 12 mesi), focalizzandosi almeno su tre direttrici:

1) La Shari’a (legislazione islamica) come fonte del diritto

2) I diritti della donna e l’eguaglianza tra i sessi

3) Le libertà di coscienza, di espressione e di pensiero

Per quanto concerne il primo punto, nel marzo di quest’anno aveva cominciato a circolare una proposta che definiva la Shari’a come ispirazione essenziale della legislazione. Ma una manifestazione di 25.000 persone (in un paese di 10 milioni di abitanti) indetta contro questo progetto, costringeva Rached Ghannouchi (capo carismatico di Ennahdha) ad annunciarne ufficialmente il ritiro. Ma sarà necessario mantenere una vigilanza costante a questo proposito poiché, proprio di recente, durante la discussione sul 1° articolo della bozza costituzionale (“La Tunisia è uno Stato libero, sovrano, la sua religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo regime la repubblica”), alcuni deputati di Ennahdha hanno affermato che la religione, essendo di Stato, dovrebbe comportare l’eliminazione di tutte le leggi in contraddizione con l’Islam. L’opposizione, da parte sua, insiste nel difendere il consenso trovato attorno al mantenimento di questo articolo della Costituzione del 1959, scaturito dall’esigenza di conservarne lo spirito originario che consiste nel definire l’Islam religione della Tunisia in quanto paese in una accezione identitaria e non come religione dello Stato.

Riguardo la seconda direttrice del dibattito, ossia i diritti delle donne e l’eguaglianza dei sessi, ricordiamo che in Tunisia, ancora prima della promulgazione della costituzione del 1959, fu redatto il Codice dello Statuto personale che aboliva e sanzionava la poligamia, eliminava la possibilità di divorzio unilaterale da parte del marito, principi che assieme ad altri, compongono a tutt’oggi la legislazione più avanzata del mondo arabo su questo tema. Al tentativo di Ennahdha di citare la complementarietà della donna rispetto all’uomo nell’articolo 28 della bozza costituzionale, il 13 agosto 2012, in occasione della “Giornata nazionale della donna”, rispondeva un’imponente manifestazione a Tunisi che dimostrava ancora una volta l’opposizione maggioritaria del paese a qualunque tentativo di cancellare le conquiste femminili. Ma vi sono stati anche tentativi di introdurre la criminalizzazione dell’aborto e dell’adulterio.

Sorprendentemente, nel capitolo riguardante i diritti e le libertà, la bozza in discussione elaborata dalla Troika non accenna minimamente ai diritti economici e sociali per la conquista dei quali è scoppiata la rivoluzione, mentre si vorrebbe introdurre l’obbligo da parte dello Stato a favorire la formazione dei nuclei familiari e a proteggere la stabilità di questi (un tentativo mascherato di rimettere in discussione l’attuale legislazione sul divorzio?). Nessuno peraltro ricorda slogan “rivoluzionari” a proposito della difesa della famiglia!

Non c’è da stupirsi quindi se anche per quanto riguarda il terzo punto fondamentale all’ordine del giorno nel dibattito, libertà di coscienza, di pensiero e di espressione, la spaccatura fra Ennahdha e oppositori (soprattutto la società civile) sia netta. In una recente comunicazione ufficiale dell’organizzazione internazionale per le libertà Article 19, attiva in Tunisia dall’inizio della rivoluzione, si esprime un giudizio negativo su alcune delle enunciazioni della bozza costituzionale. In particolare si criticano “le disposizioni relative all’Instance Indépendante de l’information che non sarebbero in linea con gli standard internazionali i quali limitano la regolazione obbligatoria ai media audio-visivi, mentre il testo proposto include tutti i tipi di media, il che rischia di fare di questo organismo un meccanismo di controllo e di censura”. Per quanto riguarda la criminalizzazione dell’attentato al sacro, sembrerebbe essere stata messa da parte, optando per “dovere da parte dello Stato di proteggere i simboli religiosi” che l’opposizione vorrebbe estendere ai simboli di tutte le confessioni.

Oltre ai punti principali di divergenza che sono stati sopra indicati ne esistono altri importantissimi come il principio di indipendenza della giustizia rispetto al potere esecutivo e l’adesione della Tunisia alle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo che meritano una disanima a parte.

Fuori dal Bardo (sede dell’ANC) rimane una società molto vigile, associazioni non governative e intellettuali di spessore che organizzano incontri e dibattiti sulla costituzione, ma anche grandi fasce della popolazione che si sentono ancora emarginate ed escluse, per le quali la rivoluzione sembra non esserci mai stata. Se infatti è indispensabile arrivare alla redazione di una costituzione all’altezza delle rivendicazioni rivoluzionarie, riportando il discorso sulle vere poste in gioco di una democrazia, resta sconcertante l’incapacità (o la non volontà) del governo della Troika ad affrontare i problemi economici e sociali del paese la cui rabbia sta di nuovo montando.

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