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Tsipras: è davvero una vittoria?

di Riccardo ACHILLI

In una tornata elettorale altamente prevedibile, il vero vincitore in Grecia è l’astensionismo, che, rispetto al precedente voto politico aumenta di circa 700.000 unità, ben sette punti percentuali di crescita. Quasi tutti i partiti contribuiscono a tale aumento di astensionismo, ad eccezione di Alba Dorata, che guadagna 4.000 voti, Pasok e Dimar, che messi insieme prendono 35.000 voti in più, mascherando solo in termini formali la crisi di ciò che fu il Pasok, ed i centristi di EK, che prendono quasi 80.000 voti.

Syriza, al netto dei voti presi dagli scissionisti di Unità Popolare, perde 82.000 voti rispetto alle precedenti elezioni, a fronte di soli 50.000 voti persi dal diretto concorrente Nea Dimokratia, anche ipotizzando che l’aumento di voti del raggruppamento Pasok-Dimar sia interamente costituito da ex elettori di Syriza (ipotesi di scuola, altamente improbabile vista la deriva moderata di Tsipras), di fatto è proprio il partito di Tsipras che contribuisce maggiormente all’aumento del bacino di astensionisti. Inoltre, considerando anche i voti presi da Unità Popolare, il bacino totale di ex elettori usciti da Syriza in polemica con la linea di Tsipras ammonta a 247.000 unità, una emorragia pari a ben l’11% del bacino elettorale raccolto da Tsipras appena 8 mesi fa.

Di fatto, un significativo calo di popolarità elettorale per il premier greco.

Evidentemente, ciò che è successo è che, al netto di una quota di elettori stanchi di essere chiamati troppo spesso al voto, un aumento così significativo dell’astensionismo, alimentato dai partiti tradizionali e pro europei, di cui Syriza fa parte, e principalmente proprio da ex elettori di Syriza, deriva dalla delusione per una promessa tradita, e dalla constatazione che, al netto delle proposte politiche più estreme, nessun partito è oggi in grado di proporre una alternativa alla accettazione delle politiche di austerità.

Chi è riuscito a superare la delusione ed è andato a votare ha primariamente fatto un ragionamento del tutto banale, prevedibilissimo da mesi: a fronte dei principali partiti che, tutti, proponevano la stessa minestra velenosa del memorandum, l’elettorato greco ha votato per quello che, ovviamente a parole, prometteva di fare qualche sforzo in piu per provare, ovviamente invano, a strappare qualche inutile decimale di flessibilità alla Ue.

Come dire, fra chi promette di uccidere in modo doloroso e senza anestesia, e chi promette di uccidere in modo dolce e lento e con qualche cura palliativa per accompagnare l’agonia fino al decesso, umanamente si tende a scegliere il secondo.

Tsipras viene evidentemente giudicato, fra i vari esecutori del programma neoliberista, quello più umano.

Va poi rilevato, secondariamente, che una parte minore di elettorato ha premiato proposte radicali, come quella dei nazisti di Alba Dorata, o, in linea con un comportamento tipico, riscontrato anche in Italia, ed indotto dalla comunicazione politica, ha votato per proposte percepite come delle novità, come ad esempio la nuova coalizione Pasok-Dimar, che potrebbe aver illuso qualche elettore nostalgico circa una possibile nuova svolta a sinistra, sia pur moderata, del Pasok.

In questo quadro, Tsipras non può gioire.

Con la sua base di consenso erosa, se è vero che centra il suo obiettivo principale, ovvero cancellare politicamente gli scissionisti di Unità Popolare, rimasti, se pur di pochissimo, fuori dal Parlamento, si ritrova però con una maggioranza parlamentare molto più debole.

Il suo partito perde 4 seggi, e complessivamente la coalizione con Anel passa da 162 a 155 seggi, appena 4 sopra il minimo. Si ritrova quindi con un governo molto più fragile ed esposto a ricatti di singoli parlamentari, nonostante l’epurazione degli scissionisti perpetrata scientificamente, convocando elezioni anticipate con un preavviso minimo che non ha dato loro il tempo di organizzarsi.

Ed inevitabilmente dovrà allargare la coalizione ad altri partiti, come il Dimar-Pasok, o adesso o fra qualche mese, diventando quindi un classico premier di larghe intese, e portando a termine la metamorfosi che lo ha trasformato in un qualsiasi Bersani con i capelli, ovvero in un garante degli accordi presi con la Trojka, sotto dissimulate sembianze di sinistra moderata e responsabile.

Nessun aiuto gli arriverà da vaghe Podemos, dato che alla fine ognuno si preoccupera’ del proprio paese, al di là di retoriche promesse di coalizione anti austerity, e i problemi economici spagnoli sono significativamente diversi da quelli greci.

Il nostro dovrà solo sperare in una improbabile ripresa economica che sia sufficientemente forte e duratura da creare spazi per allentare l’austerità, ma ovviamente è come sperare di trovare una pentola piena di monete alla fine dell’arcobaleno.

E nel frattempo navigare mediocremente facendo passare per promessa elettorale ciò che invece sarà un fatto inevitabile ed indipendente dalla sua azione politica, ovvero la riduzione del debito pubblico greco, che prima o poi avverrà da sola, a prescindere dalla volontà dei diversi attori, come avvenuto nel 2012, per il semplice motivo che il debito greco non è rimborsabile.

In fondo, finirà per fare ciò che avrebbe fatto il leader di Nea Dimokratia, se questa formazione fosse arrivata prima, e non è un caso se, a differenza delle elezioni di gennaio e del referendum di luglio, i leader della Trojka o della destra tedesca non si siano fatti sentire per cercare di orientare il voto greco.

Hanno capito che Tsipras è amico loro, né più né meno di un qualsiasi Samaras, o Venizelos. Non vale la pena di agitarsi troppo per gli esiti del voto greco, un vincitore, per loro, vale l’altro.

Piuttosto, occorre interrogarsi sul perché la sinistra non riesce ad intercettare il voto dei delusi. Certo, in poche settimane è impossibile organizzare una proposta politica in grado di arrivare al 3%, e come detto dianzi questo è il prodotto della furbesca corsa al voto di Tsipras, che ha impedito agli scissionisti di preparare in modo ottimale la campagna elettorale.

Però c’è un altro elemento. Se Kke, Unità Popolare ed Antarsia avessero trovato una forma di unità di azione basata sulla primaria lotta contro l’euro, superando le chiusure settarie ed ideologiche, oggi starebbero in parlamento con il 9,4%, una percentuale sufficiente a dare visibilità alla battaglia per “un piano B”, ed incunearsi in una eventuale crisi di governo di Tsipras, esercitando un effetto attrattivo su elettori, militanti e dirigenti ancora dentro Syriza.

Ma l’idiozia settaria è un male che affligge tutte le sinistre.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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