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Tremonti si spiega: "Ho commesso un errore, ma non ho bisogno di rubare agli italiani"

È una giornata campale per il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Tirato in ballo per la casa di cui, sembra, pagava l’affitto in nero, il Ministro si difende, ma non è che convinca poi tanto, nonostante le sue "dimisioni da inquilino". Ieri Segio Romano con un editoriale sul Corriere della Sera aveva chiesto al Ministro dell’economia Giulio Tremonti spiegazioni pubbliche per la casa di Marco Milanese di cui avrebbe usufruito nei suoi soggiorni romani pagando, sembra, l’affitto a nero. Questo, almeno, si evinceva dalle dichiarazioni fatte dallo stesso Milanese, ex braccio destro di Tremonti, ai magistrati.

“I pagamenti in nero sono il male oscuro dell'economia nazionale”, così cominciava l’articolo di Romano che sottolineava come tanti saranno caduti in questo reato ma, prosegue “la colpa è molto più grave se attribuita a persone che hanno l'obbligo istituzionale di esigere correttezza fiscale, di fissare le regole e di punire coloro che non le osservano”. Un Ministro che negli anni si è creato “molti nemici” e anche per questo, sempre secondo il giornalista del Corsera “Il caso del ministro che paga in nero per un appartamento forse addirittura al centro di un'imbrogliata vicenda di favori e appalti rischia di diventare l'arma preferita dei suoi avversari”. Romano chiudeva così la sua richiesta di delucidazioni: “Tremonti dovrebbe rompere la spirale dei sospetti e parlare con franchezza ai suoi connazionali (…) Ci dica che cosa è realmente accaduto e, se ha commesso un errore di giudizio o un peccato di distrazione, non tema di scusarsi pubblicamente. Lo faccia per se stesso e nell'interesse di un Paese che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un ministro dell'Economia serio e credibile”.
 
E, passato solo un giorno, la spiegazione è arrivata. Partiamo dalla fine e dalla forma. Non sono poche le richieste di spiegazioni che i giornali, e non solo, fanno ai politici, soprattutto se questi sono coinvolti in affari poco chiari se non, addirittura, criminosi, ma si sa chiedere è lecito e rispondere è cortesia e così spesso le domande rimangono tali ed evase.
 
La forma, quindi; l’ultimo periodo della lettera che Tremonti ha inviato al Corriere recita: “Chi fa il ministro ha il dovere di rispondere alle domande che gli vengono rivolte. Credo di averlo così fatto”. Almeno di una cosa gli va dato atto, ma torniamo alla sostanza, ovvero le giustificazioni del Ministro.
 
Tremonti comincia con una puntualizzazione che aveva già fatto ovvero che la sua “unica abitazione è a Pavia” e che non ha “mai avuto casa a Roma”. “Per le tre sere a settimana che normalmente - da più di quindici anni - trascorro a Roma, - scrive sempre Tremonti - ho sempre avuto soluzioni temporanee, prevalentemente in albergo e come ministro anche in caserma. Poi ho accettato l'offerta fattami dall'on. Milanese, per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità ed utilizzo”.
 
Caserma abbandonata perché si sentiva controllato, pedinato. Sì, proprio così, in caserma... e così il trasferimento, appunto, è stato d'obbligo. Ma a quel punto è il passaggio di soldi cash di mano in mano che ha insospettito gli inquirenti, ma sempre Tremonti si giustifica di non aver fatto alcun illecito nell'utilizzare quella casa: “Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento”. Illeciti no, quindi, dice il Ministro, ma errori certamente: “Ho fatto errori? Sì, certamente. In primo luogo, se qualcosa posso rimproverarmi, vi è il fatto di non aver lasciato prima l'immobile. L'ho fatto in buona fede, ma sarebbe stato senza dubbio più opportuno, dato che proprio questo è ora causa di speculazioni che avrei potuto e dovuto evitare. Con il «senno di poi», ripeto, ho sbagliato. Come scusante, rispetto a quelli che Sergio Romano definisce «un errore di giudizio» od «un peccato di distrazione», posso solo portare l'impegno durissimo in questi anni non facili, su tanti fronti”.
 
La versione di Tremonti, però non collima con quella dell'imprenditore Tommaso di Lernia, in carcere per corruzione. Quale è il problema di quell'affitto lo spiega bene oggi, sempre sul Corsera Fiorenza Sarzanini:
Racconta Di Lernia davanti al giudice e poi conferma al pubblico ministero Paolo Ielo: «Lorenzo Cola (consulente di Finmeccanica che lo aveva coinvolto nel giro degli appalti, anche lui ancora agli arresti domiciliari, ndr ) mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come "il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti"». Il 7 luglio scorso il ministro ha lasciato intendere di essere stato ospite, ma poi è stato Milanese ad affermare - nella memoria consegnata al Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio - che Tremonti gli dava 1.000 euro a settimana, così raggiungendo la metà dell'affitto fissato in 8.000 euro mensili. Ben diverso è il racconto di Proietti al pubblico ministero di Napoli Vincenzo Piscitelli: «Fui io a far avere a Milanese un appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, la feci a titolo gratuito». Tenendo conto che il canone annuale è di complessivi 96 mila euro, se Proietti dice il vero per due anni quell'appartamento non è costato a Milanese e a Tremonti neanche un centesimo

Un altro dei fatti oscuri fondamentali per comprendere appieno questa storia, però, è quello che sottolinea il vicedirettore di Repubblica Giannini, ovvero la guerra all’interno della Guardia di Finanza e anche all’interno del Pdl di cui Tremonti cominciava a essere, o per meglio dire, sentirsi, vittima: “La verità è che, da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato...". Leggere un Ministro che scrive di non sentirsi sicuro in una Caserma tanto da preferire la casa di un amico non intestata a lui, fa quantomeno riflettere sullo stato delle cose all’interno della istituzioni italiane.
 
Riguardo al “sistema di poteri berlusconiano” Giannini scrive: “L'aveva fatto capire lui stesso, il 17 giugno scorso, nel colloquio con il pm Piscitelli che lo aveva ascoltato come testimone. In quell'occasione Piscitelli fa sentire al ministro un'intercettazione telefonica (registrata nell'inchiesta sulla P4 di Bisignani) tra Berlusconi e il Capo di Stato Maggiore Michele Adinolfi. Ed è allora che - come si legge nell'ordinanza - "il ministro riferisce dell'esistenza di "cordate" nella Guardia di Finanza, che si sono costituite in vista della nomina del prossimo Comandante Generale, precisa come alcuni rappresentanti di quel Corpo siano in stretto contatto con il presidente del Consiglio"”.
 
E allora la vicenda si complica, non più solo l’affitto in nero o pagato da qualcuno in cambio di appalti, infatti, sarebbe il (pur grosso) problema del Ministro - che stamattina ha dichiarato a Uno Mattina: “Io prima di fare il ministro dichiaravo al fisco 5 milioni, 10 miliardi di vecchie lire all'anno. Devo dire che do in beneficenza più di quanto prendo come parlamentare. Non ho bisogno avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani” - ma anche il “sistema di potere berlusconiano” e la resa dei conti all’interno della GdF, al netto, ovviamente, del gossip che poco ci interessa.
 
E dopo la Manovra economica tagli e sangue, che non poche critiche gli ha portato - nonostante nel suo editoriale "a difesa" di Tremonti, oggi Sallusti riconosca a Berlusconi e allo stesso Tremonti ad aver salvato il paese dalla crisi economica, cosa ancora tutta da vedere -, sembra che l’estate calda del Ministro non finirà presto.

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