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«Toccami» (Annotazioni brevi tra sociologie, filosofie, psicologie, e routine contemporanee italiane) -parte I

Toccami.
E sentirai chi sei - chi sono.
Toccami.
E capiremo.
 
 
«Toccami» è una delle richieste che più vengono negate.
Negate nelle esternazioni quanto nelle elaborazioni interiori.
Negate dalle dimensioni sociali, tra fedi, credi individuali ed etiche moderne.
 
«Toccami» è l’ammissione di un bisogno tutt’altro che preciso o scontato.
A determinarne l’effettivo significato intervengono variabili complesse come il contesto, toni, parole, aspettative e corpi.
 
C’è una scena, nel film ‘Parlami d’amore’ di Silvio Muccino dove Sasha (Muccino per l’appunto) dice a Benedetta (Carolina Crescentini): “Toccami”. Che è richiesta travestita da ordine. “Toccami!” diventa sfida, un modo per dimostrare che lui non prova più niente. Non (la) sente.
 
Ma «Toccami» è arma potentissima.
Facilmente associabile a circostanze e situazioni erotiche, sessuali, seduttive. Può tuttavia inserirsi in contesti diversi. Tra bisogni della carne ma non necessariamente vincolati al solo piacere.
«Toccami» dice Sasha, sottintendendo ‘senti che non ti sento’. Ma può essere anche il contrario. Dire «Toccami» per chiedere di essere percepito, per ‘costringere’ l’altro a riconoscerne la presenza, l’esserci tra aderenze e diversità.
 
«Toccami» può diventare anche la semplice richiesta d’un appiglio, unendo le pelli ci si aggrappa l’uno all’altro o unilateralmente. Allora il dirlo sottintende: ‘lasciami restare vicino a te’, non farmi sentire solo.
 
Della potenza, dell’importanza di pelle e tocchi si sono occupate menti illustri come Anzieu, Deleuze, Derrida, Freud, Le Breton, Nancy.
 
Toccare, si crede, è, toccando ciò che si tocca, lasciarsi toccare dal toccato, dal tatto della cosa, oggettiva o no, o dalla «carne» che si tocca e che diventa allora toccante tanto quanto toccata[…] Il toccare, si crede, equivalere al lasciarsi toccare da ciò che si tocca. Significa dunque toccare, con pertinenza, il toccare, il modo simultaneamente toccante e toccato. […]
(Jacques Derrida – Toccare, Jean-Luc Nancy, 2000)
 
Ma non è soltanto la pelle e le sue innumerevoli capacità, non è il toccare come azione più o meno intima, dimensione del privato quanto del pubblico.
È la richiesta.
È dirlo, che fa la differenza. Che sposta traiettorie, angolazioni, percezioni.
Dirlo a qualcuno.
Dirlo ad alta voce. 
Dirlo con le consapevolezze piene del Sé, mentre l’Io si ribella, imbavagliato da morali, etiche, fedi e credi.
 
Dirlo è atto identitario.
Tradizionalmente si associa alla nudità, al mostrare il corpo senza barriere, poi all’intimità fisica, l’apertura o – almeno – una delle aperture maggiori, una delle più fonde e intense manifestazioni di ciò che si è, di un ‘Io’ disposto a mettersi in gioco (ma non per questo esentato da potenziali mascheramenti, costruzioni del personaggio o necessità di inspessirne alcuni tratti).
 
Dire «Toccami» però, può essere ben più identitario di spogliarsi o fare l’amore. Ogni atto sessuale prevede contatti, evidentemente le due dimensioni si mescolano.
Ma chiederlo, chiederlo senza necessariamente alludere ad altri gesti, altre aspettative oltre l’ ‘ascolto’ e il ‘percepire’ pelle-contro-pelle; chiederlo è già manifesta apertura-nuda.
Si può partecipare a un rapporto sessuale (uno qualunque) e non provare alcunché o qualcosa in particolare.
Evidentemente si può anche toccare e restare intrappolati in negazioni di sensi e affezioni.
 
Eppure, come ogni richiesta, lo sforzo di manifestarla, l’attesa della risposta, rendono quell’unica parola meno casuale, meno superficiale, meno insipida di altre. Se poi dalla parola si passa al gesto, al tocco; la pelle che è organo complesso, diramato, poliedrico e meno vincolato a disaffezioni e volontà di negar(si)e a telecomando; la pelle difficilmente cela, costruisce, scherma ciò che è.
 
Solo la pelle può essere nuda. Il corpo nudo non è aperto: né ferito, né operato, né dissezionato. Non dà l’accesso a nient’altro che a sé. Non invita a frugare alla ricerca di energie segrete o di fonti nascoste. È esso stesso segreto e nascosto, ostentatamente nascosto e misteriosamente sottratto allo sguardo stesso al quale si offre nudo.
(Jean-Luc Nancy, Indizi sul corpo, 2009)
 
Rispondere negativamente a un «Toccami» è comunicazione pesante, trasmette messaggi potenti.
Nelle relazioni sociali, in ogni tipo di relazione, l’assenza di tocco è urlo assordante. Non abbracciare, non sfiorare, non carezzare, evitare sfregamenti, contatti di ogni tipo è messaggio che si fatica a fraintendere. La pelle destinata a rimanere in attesa, destinata a non sentire altro che sé e gli stimoli esterni ma non un’altra pelle, resta mancante di ‘qualcosa’. E di quel ‘qualcosa’ il corpo si nutre facilmente, quel ‘qualcosa mancante’ entra nelle capacità di (non) provare affezioni, tra comportamenti e dinamiche di menti e carni.
 
Gli spazi, esteriori e interiori, non fanno che esprimere il ‘pelle a pelle’ dello scambio tra madre e figlio, o al contrario i maltrattamenti, gli oblii, i rifiuti.
(Papetti, Tisseron, 1996)
 
La psicosomatica della pelle – o meglio, la fisiosemantica – dimostra che le affezioni cutanee sono malattie causate dall’assenza di contatto, e l’insorgere dell’eczema infantile colma le lacune del contatto tra pelle e pelle. Il bambino si fa carico da sé del proprio rivestimento cutaneo, ma manifesta al tempo stesso – in modo ambiguo – la propria incapacità di essere e la capacità di sopperire agli stimoli di cui viene privato.
(Le Breton, 1990-2003)
 
Le barriere di contatto hanno una tripla funzione di separazione tra conscio e inconscio, tra memoria e percezione, tra quantità e qualità.
La loro topografia è quella di un involucro a due facce dissimmetrico con una faccia rivolta agli stimoli del mondo esterno, trasmessi dai neuroni e che sta al riparo di uno scudo para-quantità; l’altra interna, rivolta verso la periferia interna del corpo.
(Didier Anzieu, L’Io-pelle, 1985)
 
< Non toccarmi> è una frase che tocca, che non può non toccare, anche quando isolata dal ogni contesto. Essa enuncia qualcosa intorno al toccare in generale, o tocca il punto sensibile del toccare: quel punto sensibile che il toccare costruisce per eccellenza (è <il> punto insomma, del sensibile) e che forma in esso il punto sensibile. Questo punto è precisamente il punto in cui il toccare non tocca, non deve toccare per esercitare il suo tocco (la sua arte, il suo tatto, la sua grazia): il punto o lo spazio privo di dimensioni che separa ciò che il toccare accosta, la linea che divide il toccare dal toccato e dunque il tocco da se stesso. 
(Jean-Luc Nancy, Noli me tangere, 2005)
 
 
[segue]
 

Nello scaffale

Jacques Derrida – Toccare, Jean-Luc Nancy, 2000, edizione Marietti del 2007.
Jean-Luc Nancy, Indizi sul corpo, 2009, Ananke. 
Jean-Luc Nancy, Noli me tangere, 2003, prima edizione Bollati Boringhieri del 2005. 
David Le Breton, La pelle e la traccia, 2003, edizione Meltemi del 2005. 
Didier Anzieu, L’Io-pelle, 1985, edizione Borla del 2005.
Paola Borgna, Sociologia del corpo, Laterza, 2005.
Carlo Alberto Defanti, Soglie – Medicina e fine della vita, Bollati Boringhieri, 2007.

 

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Fotografia di Bg. Bruxelles, 29/01/2009.

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