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Tirana ancora in piazza: Berisha prossimo alla destituzione

Tirana, Italia.

Decine di migliaia in piazza a Tirana. Cordoglio, compostezza, ma compattezza ferma. Governo Berisha prossimo alla delegittimazione.

Sono venuti da tutte le parti, coi pullman, stipati in auto “collettive”, treni, mezzi di fortuna. Sono venuti dal nord e dal sud, da Valona, da Durazzo, da Korça. Sono venuti dal Kosovo. Sono venuti per rendere omaggio ai tre martiri della democrazia, che hanno pagato duramente il loro dissenso al governo – regime – sedicente democratico, totalitario nei fatti, di Sali Berisha. Tre uomini vittime della repressione,freddati dai cecchini della “guardia imperiale”, cosiddetta repubblicana, del presidente, durante gli scontri del 21 Gennaio scorso, nei quali proprio il (sic) “partito democratico” del premier è stato fatto oggetto di una durissima contestazione.

L’ Albania è paese con potenzialità economiche significative, i cui progressi nel settore della “governance” e della creazione di un favorevole “business climate” sono stati peraltro oggetto di apprezzamento nel report annuale del 2010 “Doing Business” redatto dalla Banca Mondiale, e nonostante un recente rallentamento mantiene un certo appeal per quanto riguarda gli investimenti internazionali, soprattutto nel settore dei servizi e della trasformazione.

Eppure a fronte di un quadro macro-economico tutto sommato incoraggiante, ancorché denso di ombre e contraddizioni, i motivi di malcontento crescono in maniera esponenziale, a partire dalla ancora incerta e faticosa frequentazione del concetto di democrazia , in quell’area.

L’ Italia è il principale partner commerciale del paese balcanico, gli è assai più legata di quanto non risulti ai più, sono moltissime le aziende italiane in territorio albanese ma gli intrecci e i parallelismi sono anche di natura storica e culturale, dalle pretese imperiali di epoca fascista alla massiva immigrazione degli anni 80/90.

Del resto l’attuale governo italiano di centro–destra è noto per essere tra i maggiori sponsor politici internazionali del regime di Berisha. Nondimeno, molte delle rivendicazioni espresse dall’ opposizione del socialista Edi Rama sono assimilabili alle istanze provenienti da larga parte dell’ opinione pubblica italiana.

Al passionale Berisha ora il popolo manifesta la propria stanchezza e insofferenza per un governo fortemente sospettato di corruzione e collusione con gruppi e clan che operano ai confini della legalità, in un contesto economico dove il sommerso e il poco lecito hanno ancora un posto di estremo rilievo nell'andamento del Pil, e dove ridistribuzione e partecipazione rimangono allo stato di “optional” o tutt’ al più di “ elargizione magnanima”.

Come al suo mentore italiano, gli viene rimproverato un sistema fatto di clientele, vassallaggi, inettitudine, inerzia, inefficienze, devianze, particolarismi e interessi privati/privatistici, un populismo vacuo e sterile, familismo invece efficace e puntuale, e senso del bene comune precario e personale.

Come quello del suo mentore italiano, il governo albanese involve in sé stesso per “autocombustione”, minato dalle sue stesse fratture e storture, e si avvia alla delegittimazione “de facto”.

Nei Balcani, come del resto nel nord Africa, s’ avanza il furor di popolo. Anche da noi non mancano gli spunti ma restano velleitari, in un sentire flaccido, stanco e frammentato, più volto all’ invettiva e allo strale moralistico che non all’ azione e alla proposta.

Dall’altra parte dell’Adriatico invece, migliaia di albanesi tutt’altro che anestetizzati, tutt’ altro che vinti, in un silenzio solenne assoluto eppur eloquente, oggi uniti, oggi oltre le sempiterne divisioni tribali di questo popolo antichissimo e fascinoso, in piazza come un sol uomo, per la memoria e per la democrazia.

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