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Thyssen Krupp. Quando i morti chiedono "Giustizia"

Con una sentenza definita da più parti "storica" ieri la Corte di Assise di Torino ha condannato con l'accusa di omicidio volontario l'ad della Thyssen, Harald Espenhahn, a 16 anni e mezzo di reclusione, e a pene non inferiori a dieci anni altri cinque dirigenti della "fabbrica della morte".

Era il 6 dicembre del 2007 quando sei ragazzi di età compresa tra i 26 e i 36 anni iniziano il loro turno di lavoro alla Thyssen Krupp di Torino - l'acciaieria tedesca di Torino - con loro Rocco Marzo, il caposquadra.

Il turno inizia alle 22, si entra in fabbrica assieme, forse si prende un caffè alle macchinette, si parla, si chiacchiera, forse c'è gia chi pensa alle prossime festività natalizie, c'è chi pensa al regalo da fare ai propri figli per il 13 dicembre - Santa Lucia - festività attesa in Piemonte come per tutto il Nord Italia dai bambini come se fosse la befana.

C'è chi pensa a come spendere la tredicesima mensilità tra mutuo, e bollette, e conguagli da pagare entro fine anno.

Ognuna di quelle sette persone ha da poco lasciato la sua casa, ha salutato i propri cari, ha baciato sua moglie, e poi è uscito per andare a fare la cosa più normale del mondo - andare a lavorare.

Alle 22 il turno inizia, tutti sono al loro posto, sulle loro linee di produzione, ognuno di quei sette pensa a come mandare avanti un'azienda i cui vertici hanno gia deciso da tempo di smantellare e spostare la produzione nell'altro stabilimento Thyssen di Terni.

Tutto procede come al solito fino all'una e mezza, quando si sente la voce di un ragazzo che urla - "aiuto, non voglio morire" - un urlo straziante che non ti aspetteresti mai di sentire in un luogo di lavoro, un urlo che puoi sentire in un lager.

C'è un incendio alla linea 5, l'olio per raffreddare i laminati contenuto in una vasca trasborda e prende fuoco investendo di colpo Antonio Schiavone di 36 anni, sposato e con tre figli di età compresa tra i sei anni e i due mesi - morirà sul colpo.

Con lui bruciano come torce umane Roberto, Angelo, Bruno, Rosario, Giuseppe e Rocco - chi dopo poche ore e chi a distanza di giorni.

Un inferno di fuoco investe quei sette operai della fabbrica dei ragazzi.

I soccorsi vengono ritardati dagli estintori vuoti, dalle misure di sicurezza inesistenti, dal rischio volontariamente assunto da responsabili aziendali "irresponsabili" che avevano messo in conto la tragedia, che l'avevano messa in bilancio come minor spesa, come utile indiretto.

Ieri a quei dirigenti e all'amministratore delegato della Thyssen è stato presentato il conto dalla Giustizia italiana, di una Giustizia efficiente ed efficace, di una Giustizia fatta di tanti magistrati competenti così diversi da quello che forze eversive e di governo stanno propinando proprio in queste ore a cittadini/sudditi male informati.

"Giustizia è fatta".

"No, Giustizia non è fatta" - perchè sette uomini sono morti, sette vite sono state spezzate, sette famiglie sono state condannate a vivere con la morte nel cuore ogni singolo istante della loro vita.

Giustizia non sarà fatta fin tanto che avremo un Ministro di questa Repubblica che giudica la sicurezza sul lavoro - "un lusso che non ci possiamo permettere".

Giustizia non sarà fatta fino a che avremo tre morti al giorno sul lavoro, che chiamano "morti bianche", ma che andrebbero chiamate con il loro nome - "omicidi volontari"

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