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The Place di Paolo Genovese

Niente male questo film di Paolo Genovese, dato che lui è lo sceneggiatore lo ha ben pensato, deve avere qualche dote di psicologo o, comunque, buon osservatore dei comportamenti umani (Perfetti sconosciuti lo dimostrava). Guarda le azioni dei suoi personaggi, fa che agiscano apparentemente in modo libero alla ricerca di un risultato. Le loro azioni possono diventare violente o sconsiderate, tutto sta a quanto tengono al perseguimento dei loro interessi. The Place è un bar-caffetteria-ristorante, la tenutaria ne è Sabrina Ferilli, dolce, paziente e buona scrutatrice. Scruta moltissimo infatti Valerio Mastandrea nel ruolo di psicologo, consulente, indagatore, diavolo, motivatore, trafficante di anime, uno che forse realizza i sogni della gente, un santone: in tutti questi modi viene visto dalle persone che in The Place vengono a cercarlo e lo interpellano, lui sempre allo stesso tavolo, a volte stà consumando una breve colazione. Ognuno racconta il suo scopo, la sua speranza, qualcosa da ottenere e il “motivatore” dà ad ognuno dei compiti consultando un quaderno pieno di sue annotazioni; i compiti dovrebbero essere il mezzo perché le anime dolenti che a lui si rivolgono ottengano ciò che cercano, ma i compiti non sembrano entrarci nulla con gli scopi dei suoi “pazienti”, a volte si tratta di target strampalati. Non pagano la seduta costoro, questo consulente sembra stare al solito tavolo tutti i santi giorni per guarire un'umanità disperata.

 

Nel film Mia Madre di Nanni Moretti veniva detto, dal personaggio “regista” Margherita Buy, che “l'attore non si annulli nel suo personaggio, resti attore”: nel caso di Mastandrea in The Place attore e personaggio coincidono, poche parole, essenziale, asciutto, non particolarmente amichevole, nessuna insistenza nei compiti che assegna, mai indulge a sorrisi o toni accesi. Le persone che a lui si rivolgono sono libere di seguire le sue istruzioni e anche no, ma i compiti dati sono secondo il motivatore necessari se lo scopo è importante o vitale: “non affido incarichi impossibili a nessuno”. Chiede ad ognuno come si sente, se è contento di avere un obiettivo, dice che i loro pensieri sono le cose importanti, sembra che li aiuti a realizzare i propri sogni, sa leggere nei loro desideri.

 

In realtà – e questo potrebbe essere il senso di questo film-opera teatrale (la location è solo una) – questo “psicologo” mette ognuno di fronte a sé stesso, fa' riflettere il “paziente” su quanto il suo scopo è davvero importante o, ancora, fà scoprire ad ognuno il vero obiettivo: nei fatti, quando ci diamo delle motivazioni, ve n'è una vera e una buona. La buona è quella che diciamo pubblicamente, la vera è quella per cui davvero agiamo.

 

E' la scrutatrice-barista però che lo osserva a sua volta, con parole molto semplici mette lui di fronte a sé stesso. Sei infelice?, e lui non vuol rispondere, E' come chiedere l'età! dice. E lei ancora: Sei triste, tu mi incuriosisci, sembri stanco come se non dormissi da anni... non ti pesa questa cosa?... E' molto bello come ascolti le persone...tutte vanno via convinte (motivate)...tu realizzi i sogni della gente. Indaga sulla sua situazione familiare, se ha qualcuno. Dovermi occupare di qualcuno mi spaventa. E' affranto e stanco alla fine, quando la barista gli si siede accanto una sera dopo le pulizie del bar, è un uomo solo e i mali del mondo pesano. Pare quasi che due solitudini si uniscano. Film interessante, opera corale di tanti buoni attori sulla cresta dell'onda italiana.

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