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The Economist: esperimento-ponte sul copyright

Ecco un’altra di quelle iniziative che accorciano il gap tra media e utenti e stimolano la conversazione collettiva, confermando la centralità del giornalismo professionale pur nel fluire aperto dell’informazione partecipata. (Ma non ditelo ai Giornalisti Doc nostrani che magari qualcuno potrebbe distrarsi dalla proficua attività di riportare gli strascichi delle veline alla corte dell’Imperatore o su quelle, di altra natura ma non meno esilaranti, appena diffuse dalla Siae).



Il noto settimanale britannico The Economist propone un dibattito online su copyright e wrongs con una formula stimolante: una mozione di partenza (del giornale: “This house believes that existing copyright laws do more harm than good”) con opening statements pro e contro di qualificati esperti (rispettivamente, William Fisher e Justin Hughes, professori di legge in Usa), e ampio spazio ai commenti dei non-lettori (”Comments from the floor”: oltre 50 nelle prime 24 ore). Nei prossimi giorni i soggetti coinvolti continueranno a dibattere con nuovi post, mentre proseguirà il flusso degli interventi diretti degli utenti. I quali possono anche (solo) votare sulla mozione iniziale: attualmente siamo a 75% yes e 25% no. Il tutto in un contesto gradevole e di facile utilizzo, anche graficamente, e dai toni assai civili pur tra le ‘opinioni forti’ espresse da alcuni cittadini.

Inutile ribadire la centralità del tema in discussione, dentro e fuori Internet - come conferma l’apertura del moderatore, Kenneth Cukier, corrispondente da Tokyo di The Economist: “Copyright strangles creativity. Copyright rewards originality. It is a nuisance to the public that unduly enriches a few people. It is the backbone of our knowledge economy that fuels progress. Hate it, love it, break it, protect it; few people lack strong opinions about copyright and its place in society”. Ma forse qui ancora più importante è la modalità prescelta per fare informazione e conversazione. Sarà mica che simili esperimenti possano aumentare la partecipazione della gente? E offrire piccole ma cruciali soluzioni alla crisi di credibilità dell’informazione odierna?

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