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Superbonus e keynesiani da moto perpetuo

Nel 2023, per l'Italia, più deficit ma meno debito. Non si tratta del paradiso artificiale di molti keynesiani da cantiere ma soprattutto del forte calo dei prezzi dell'energia.

Nei giorni scorsi, Istat ha comunicato i dati del 2023 su Pil e indebitamento delle amministrazioni pubbliche. Il Pil “in volume”, cioè espresso in termini reali, cresce dello 0,9 per cento, meglio delle previsioni governative. Il deficit invece, in conseguenza della giostra infernale del Superbonus, schizza al 7,2 per cento, a fronte di attese, scritte dal governo a fine settembre nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (NaDef) di 5,3 per cento programmatico, cioè conseguenza di azioni di policy introdotte dall’esecutivo.

PIÙ DEFICIT, MENO DEBITO? CALMA

La notizia positiva viene invece dal rapporto debito-Pil, che chiude il 2023 al 137,3 per cento contro il 140,5 per cento col quale si era chiuso il 2022.

Come leggere questi dati? Intanto, il deficit schizza di quasi due punti di Pil, che sarebbero quasi 40 miliardi di euro. Ci sarà modo -forse- di capire quali sono le responsabilità di questa mancata previsione di sforamento. Per ora, pare si registrino “tensioni” tra il ministro Giancarlo Giorgetti e la struttura del Ragioniere Generale dello Stato.

Resta indisputabile l’impatto pesantissimo che i bonus edilizi hanno avuto e avranno sui nostri conti pubblici. A poco e nulla servirà compiacersi per la crescita conseguita in questi anni in conseguenza della misura, perché il conto è atteso arrivare a scaricarsi sul rapporto debito-Pil dei prossimi tre anni almeno.

Tuttavia, i piccoli e grandi fan della politica economica del “gratuitamente per i cittadini, non per lo Stato” (copyright dell’Avvocato del Popolo) hanno subito colto l’occasione per guardare con occhi sognanti quella riduzione del rapporto debito-Pil. Abbiamo così letto eccitate constatazioni del tipo “avete visto? Si fa più deficit e l’indebitamento scende, eureka!”. Che poi è davvero la pietra filosofale dei keynesiani da avanspettacolo che popolano questo paese. Quelli che, nello stesso canovaccio, vedevano il Superbonus come strumento fondamentale per aver evitato in pandemia il collasso del paese.

Sarebbe troppo facile replicare che qui la resa dei conti è solo rinviata, già a partire da quest’anno. Concentriamoci invece su alcuni fenomeni alla base di quella riduzione del rapporto di indebitamento. Primo fra tutti, la crescita del Pil nominale. Che è stata superiore alle attese, e non di poco. Nella NaDef il governo ipotizzava una crescita nominale 2023 del 5,3 per cento, il consuntivo è stato di ben il 6,2 per cento.

Se il Pil nominale cresce oltre le attese, a parità di ogni altra condizione, il rapporto di indebitamento ovviamente flette. È esattamente quello che è accaduto nel nostro caso. Ma perché il Pil nominale si è gonfiato più del previsto? Alcuni commentatori “benedicono” l’inflazione più elevata ma le cose sono un filo più complesse e in realtà coinvolgono non l’aumento dei prezzi bensì il suo opposto, per una voce del Pil.

CRESCITA DA SHOCK ENERGETICO POSITIVO

Di quale voce parliamo? Delle importazioni. E di cosa è accaduto al loro prezzo nel 2023. Già, cosa è accaduto? Una cosa molto importante: un vero e proprio crollo di quello dell’energia, per petrolio e, soprattutto, gas. Come sappiamo, i prezzi alle importazioni entrano nel deflatore del Pil con segno invertito. Quindi, se calano, ciò significa che il deflatore del Pil (cioè l’inflazione interna) aumenta. E se il deflatore del Pil aumenta, anche il Pil nominale cresce di più.

Ebbene, nel 2023 il deflatore dei prezzi all’importazione è sceso di ben il 5,7 per cento. Un dato consuntivo, comunicato giorni addietro da Istat, che va oltre le attese del governo. Nella NaDef, licenziata a fine settembre, si poteva leggere:

L’inversione di tendenza dei prezzi dei beni energetici si è riflessa sulla dinamica del deflatore delle importazioni, che si è ridotto del 4,3 per cento t/t nel primo trimestre e del 2,3 per cento nel secondo. Il deflatore del PIL, dopo aver rallentato nel primo trimestre (all’1,3 per cento, dal 3,0 per cento del quarto trimestre del 2022), ha registrato una variazione lievemente negativa nel secondo (-0,1 per cento t/t).

In parole povere, la discesa dei prezzi energetici è stata tale da determinare un miglioramento delle nostre ragioni di scambio e gonfiare il deflatore del Pil per l’intero anno. Il governo nella NaDef stimava il deflatore delle importazioni 2023, a scenario tedenziale, al -5,3 per cento; il dato effettivo è stato migliore per quattro decimi di punto percentuale.

Anche in conseguenza di ciò, oltre che dell’andamento dei deflatori di altre componenti del Pil, quello globale ha finito l’anno a +5,3 per cento anziché a +4,5 previsto dal governo. Questo ha determinato la spinta al Pil nominale e, a parità di ogni altra condizione, la discesa del rapporto debito-Pil. Circa metà di tale balzo del deflatore del Pil è imputabile al calo dei prezzi all’importazione, cioè all’energia. Uno shock positivo energetico, e di conseguenza un miglioramento delle ragioni di scambio, ha spinto la nostra crescita, nominale e reale. Non a caso i conti con l’estero, differenza tra export ed import, hanno fornito nel 2023 contributo positivo alla crescita, pari allo 0,3 per cento.

Come ha scritto Istat la settimana scorsa:

Nel 2023 si è registrato un miglioramento nella ragione di scambio con l’estero, quale risultante di una crescita del deflatore delle esportazioni di beni e servizi (+1,8%) a fronte di un calo del deflatore delle importazioni (-5,7%).

Lo so, materia ostica ed esoterica. Ma serve fare uno sforzo per evitare di balzare a conclusioni da pensiero magico, del tipo “il deficit da Superbonus ha contribuito a fare scendere il rapporto debito-Pil, urrà!” A parte il fatto, come detto, che il debito aggiuntivo si materializzerà più avanti, la verità è che nel 2023 l’Italia ha beneficiato soprattutto di un contro-shock energetico, che ha spinto la sua crescita oltre le attese. Tenete gli occhi su questa variabile ricordando che, nel 2022, con l’esplosione dei prezzi del gas, il deflatore del nostro Pil è cresciuto solo del 3 per cento. Appunto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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