Sudan, un’altra adultera condannata alla lapidazione

Condannata a morte per adulterio. Metodo d’esecuzione: lapidazione.

È la terribile fine che rischia di fare Layla Ibrahim Issa Jumul, giovane donna sudanese appena 23enne originaria del Sud Kordofan, detenuta nella prigione femminile di Omdurman insieme al figlio di sei mesi non riconosciuto dal marito.

E proprio dal marito è arrivata l’accusa di adulterio che la corte penale di Mayo ha riconosciuto basandosi sulla sola confessione della donna, senza fornirle assistenza legale e probabilmente ignorando che la Costituzione sudanese del 2005 vieta l’esecuzione delle donne durante la gravidanza e l’allattamento. 

Il caso di Layla arriva a poche settimane di distanza da quello, raccontato in questo blog, di Intisar Sharif Abdallah, 20 anni, anche lei condannata a morte per lapidazione con l’accusa di adulterio.

Anche qui, un processo iniquo e una confessione estorta sotto coercizione. Grazie a una forte pressione internazionale, nel processo d’appello le accuse contro Intisar Sharif Abdallah sono cadute e la donna è stata rilasciata il 3 luglio scorso.

Uno degli obiettivi delle organizzazioni per i diritti umani è che l’articolo 146 del codice penale sudanese, che punisce con la lapidazione le relazioni extramatrimoniali, sia abolito. Altrimenti, ci saranno tante altre donne nella stessa situazione di Layla, in attesa che un tribunale d’appello decisa di evitarle la morte a colpi di pietra.

Ma ora, c’è proprio Layla da salvare! Qui l’appello promosso da Italians for Darfur.

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