Sud Sudan, civili in fuga annegati, cibo per i profughi saccheggiato
L’ultima, tragica, conseguenza del conflitto scoppiato il 15 dicembre nel Sud Sudan risale a martedì: tra 200 e 300 civili – molti dei quali donne e bambini – annegati nel Nilo Bianco a causa del naufragio dell’imbarcazione con la quale cercavano di mettersi in salvo dai combattimenti scoppiati nella città di Malakal, capitale dello stato dell’Alto Nilo, ora al centro della contesa.
Come se non bastasse, il World Food Programme ha denunciato il saccheggio del 10 per cento del cibo immagazzinato per venire incontro all’emergenza umanitaria, cibo che avrebbe potuto sfamare 180.000 persone per un mese.
La crisi ha raggiunto dimensioni ampie: più di 350.000 profughi interni, solo la metà dei quali raggiunti da qualche forma di assistenza, e 43.000 rifugiati oltreconfine, soprattutto in Uganda, dove le agenzie umanitarie cercano di tenere divisi gli appartenenti alle due comunità in conflitto, i nuer e i dinka.
Ora è la stagione della semina, un periodo fondamentale per il futuro di un paese povero in cui il 78 per cento è composto da contadini. Già prima che iniziasse il conflitto, quattro milioni e mezzo su 11 milioni di abitanti erano alla fame. Ora che i campi non sono da semina ma da battaglia, la situazione è destinata a peggiorare.
Anche perché i negoziati per raggiungere un cessate-il-fuoco, in corso in Etiopia, sono a un punto fermo e il conflitto rischia di estendersi col coinvolgimento dell’Uganda: lo stesso governo di Kampala ha confermato la presenza di suoi soldati sul terreno, accanto alle truppe fedeli al presidente Kiir, ma secondo alcune fonti l’aviazione ugandese ha effettuato negli ultimi giorni una serie di bombardamenti sulle zone controllate dai ribelli.
Foto: DFID/Flickr
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