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Sos cultura. Ma è necessario investire

E' possibile che la spending review in Italia colpisca sempre di più il settore culturale? Sì, da noi tutto è possibile, anche questo. Basti pensare alla prima di Romeo e Giulietta, (spettacolo rimasto in cartellone fino al 7 ottobre) diretto da Patrice Bart, annullato la settimana scorsa per sciopero del corpo di ballo del Teatro dell'Opera di Roma.

Una protesta che tra l'altro era stata ampiamente annunciata ma che naturalmente ha creato comunque non pochi disagi. Dunque la scure dei tagli si fa sentire ancora, e maggiormente in un settore quale quello della cultura che invece dovrebbe essere sempre supportato poiché rappresenta la linfa vitale di una nazione evoluta. 

In particolare in un paese come è il nostro che è stato culla dell'arte con la "a" maiuscola. 


Non è pura recriminazione o un volgere lo sguardo al passato in senso nostalgico, ma è piuttosto la manifestazione di una preoccupazione per la strada che stiamo percorrendo. Quella che porta dritta verso l'abbrutimento mentale. Gli effetti di questo impoverimento a livello culturale e linguistico sono tangibili. Le nuove generazioni, votate alle app, stanno impoverendo notevolmente il loro vocabolario e la programmazione che il piccolo schermo propone, non aiuta, anzi. Eppure non ci vuole molto a capire che la "cultura" non solo è cibo per la mente ma potrebbe, ed è potenzialmente, anche una grande fonte d'introito. "In che senso" direte voi? Leggendo qualche giorno addietro Internazionale, mi sono imbattuta in un articolo a cura di Annamaria Testa "Creatività e cultura una questione da porci" dove si faceva riferimento ai fatturati prodotti nel corso degli anni dall'industria della cultura.

In tale contesto veniva menzionato il rapporto Ue intitolato "L'economia della cultura in Europa" datato 2006 e si faceva riferimento proprio all'impatto economico complessivo delle attività culturali e creative in generale. Stiamo parlando di editoria, moda, design, cinema e fotografia, radio e tv, web, teatro, arti visive e più in generale il turismo culturale. I dati oggetto di studio facevano riferimento al triennio antecedente con cifre stimabili intorno ai 654 miliardi di euro. Oltre il doppio dell'intera industria automobilistica (271 miliardi). Sei anni dopo e precisamente nel febbraio 2012, a seguito di un convegno organizzato dal Sole 24 Ore il quadro cambia decisamente tanto che l'Italia è ultima in Europa per numero d'imprese culturali e creative in essere. Bel anzi brutto cambio di rotta. Ancora più recente e pesante la condizione che del nostro Paese emerge dal documento stilato il 24 settembre scorso dalla Commissione europea pubblica, a cura della Eenc citato sempre dalla giornalista e intitolato Culture and the structural funds in Italy il quale esordisce con questa considerazione: "L'Italia sembra naturalmente portata a dare alla cultura un ruolo centrale nelle strategie di sviluppo, per la ricchezza del suo patrimonio culturale e per il ruolo eccezionale che la cultura ha nel definire la sua identità di nazione... Ma il dibattito politico ancora soffre di una interpretazione scadente e ingannevole del ruolo della cultura e della creatività... il paese non ha una strategia nazionale... l'azione politica appare male orientata e/o inefficace rispetto alle reali priorità di sviluppo".

In assenza di politiche territoriali capaci di riconoscere il potenziale che c'è ed è vivo in alcune zone del vecchio stivale, ed in mancanza di incentivi alle imprese culturali e creative, l'unica soluzione possibile sembra esser quella di sfidare la crisi attraverso partnership tra diverse aziende!

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