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Siria: citizen journalist condannato a morte. Aveva concesso un’intervista ad Al-Jazeera

Il giornalista partecipativo siriano Abdelmawla Mohammed al-Hariri è stato condannato a morte. L'accusa del governo di Damasco è di "alto tradimento e contatti con parti straniere". Fu arrestato lo scorso 16 aprile subito dopo aver concesso un'intervista alla tv araba Al-Jazeera: aveva parlato della situazione nella sua città, Deraa, culla della rivolta contro il regime scoppiata nel marzo 2011, denunciando la situazione di sicurezza disastrosa per i cittadini dell'area e invocando l'intervento internazionale per fermare la durissima repressione operata dal regime.

L'associazione Reporter Without Borders è stata la prima a denunciare l'avvenimento: "Il governo di Bashar al-Assad - ha detto il portavoce - ha mostrato la portata della sua brutalità e crudeltà. Reporter senza Frontiere chiede che questo verdetto spregevole venga annullato e che il giornalista venga immediatamente liberato". L'appello di Reporter Without Borders è stato raccolto e rilanciato su un sito di petizioni internazionali, anche se molto probabilmente solo una decisa presa di posizione dell'Onu potrebbe scongiurare il peggio.

Secondo il Centro SKeyes per la libertà di stampa, Hariri è stato sottoposto a torture terribili subito dopo il suo arresto, al punto tale che ora sarebbe semi-paralizzato: "Al giornalista è stata spezzata la spina dorsale e sono state negate le necessarie cure mediche". Ora l'uomo si troverebbe in una prigione a nord di Damasco.

Hariri concedeva regolarmente interviste per Al-Jazeera sulla situazione della zona di Deraa, nel sud della Siria: secondo il governo, tuttavia, il giornalista avrebbe confessato di lavorare per "destabilizzare la situazione siriana". In realtà la confessione è stata estorta con i metodi di cui abbiamo parlato sopra: spezzando la schiena di Hariri.

Questa è una delle ultime interviste del giornalista. E' datata 15 aprile, un giorno prima del suo arresto.

La situazione della stampa siriana è assai grave. Il governo pratica regolarmente la più spietata repressione contro giornalisti indipendenti, blogger e citizen journalist. Ben tredici sono stati uccisi: quattro di essi erano reporter stranieri.

Ma ciò che più inquieta è la facilità con i quali vengono fatti sparire: uomini vicini al governo li seguono, li arrestano e spesso li torturano. Ben trenta lavoratori dell'informazione, professionisti o "volontari", si trovano in questo momento dietro le sbarre. 

L'accesso ai media stranieri è praticamente precluso: i pochi che ricevono il permesso di ingresso vengono scelti con cura e perennemente affiancati da uomini del Mukhabarat , i servizi segreti siriani, che naturalmente ne influenzano rigidamente l'agenda: vietato ogni contatto con i ribelli. C'è poi chi decide di entrare nel Paese illegalmente, mettendo seriemente a repentaglio la propria vita. Lo scorso mese di marzo il Ministro dell'Informazione ha minacciato apertamente media, specialmente dei Paesi arabi, che inviavano clandestinamente giornalisti sul territorio siriano.

Il flusso di informazioni da parte dei ribelli, tuttavia, non può essere facilmente interrotto. Il governo di Damasco ha disposto un apposito "Cyber esercito" che monitora continuamente le notizie dei social network, interferendo con le news diffuse via twitter con hashtag #Siria. Tuttavia quello del governo, fortunatamente, appare come un tentativo velleitario. 

Ieri sera, ad esempio, il quotidiano internazionale, anche in lingua araba, RT, ha diffuso la notizia, precedentemente lanciata da fonti vicine ai servizi segreti israeliani, secondo cui sarebbero in arrivo in Siria cargo di missili anticarro di terza generazione (9K115 Metis-2-M e Kornet-E) forniti dal governo degli Stati Uniti. La notizia è stata immediatamente intercettata dal Cyber Esercito del governo siriano, che si è affrettato ad accusare America ed Europa di aver organizzato gli ultimi attacchi terroristici avvenuti a Damasco.

Insomma, così funziona la guerra informativa tra Bashar al-Assad e il resto del mondo. In questo quadro la condanna a morte del giornalista Abdelmawla Mohammed al-Hariri va vista come un chiaro avvertimento a chiunque voglia raccontare la verità sulla situazione siriana.

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