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Sicurezza sul lavoro: l’Europa accusa l’Italia

 

Il 21 novembre scorso è stato notificato all'Italia il parere motivato della Commissione europea, in merito alla procedura d'infrazione 2010/4227, sollevata in seguito alla denuncia di Marco Bazzoni, Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). La procedura d'infrazione riguarda la non conformità delle normative nazionali di recepimento della direttiva 89/391/CEE sull'attuazione di misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Le ipotesi d’inosservanza della Direttiva europea erano sei. Le giustificazioni presentate dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro, con la nota dell'8 dicembre 2011, sono state respinte per due ipotesi:
- deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega (in violazione dell'art. 5 della Direttiva europea);
- proroga dei termini prescritti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per una nuova impresa o per modifiche sostanziali apportate a un'impresa esistente (in violazione dell'art. 9 della Direttiva europea).

Riguardo alla deresponsabilizzazione del datore di lavoro, sotto accusa sono gli art. 16 e 30 del TU, Dlgs 81/08.

L'art. 16, al comma 3 che recita: "La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. (L'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4. ...)".

La Commissione osserva che la Direttiva europea prevede la possibilità di escludere la responsabilità del datore di lavoro, solo in presenza di circostanze imprevedibili. Certamente la semplice decisione di delegare alcune funzioni, non può essere annoverata fra le circostanze imprevedibili.

La Commissione, inoltre, rileva che la citata delega di funzioni non definisce la qualità e l'intensità della vigilanza e l'eventuale difetto di vigilanza non risulta passibile di effettive sanzioni!

Le autorità italiane, arrampicandosi sugli specchi, affermano che l'art. 16 del TU prevede per la delega l'osservanza di "condizioni non certo formali ma sostanziali, il cui rispetto va verificato dal Magistrato in sede di verifica dell'efficacia della delega stessa, verifica di particolare importanza ai fini della responsabilità del datore di lavoro, la quale verrà esclusa, unicamente, ove si verifichi che la delega è stata rilasciata in presenza di tutti, senza eccezione alcuna, i criteri di cui all'articolo 16 del "testo unico" di salute e sicurezza sul lavoro". Questo significa che solo dopo un infortunio, possibilmente mortale, si farà la verifica dell'efficacia della delega e il Magistrato dovrà occuparsi, perdendo tempo, dello scaricabarile di responsabilità fra delegato e delegante, sollevando entrambi dall'onere della prova.

Infatti, a Giudizio della Commissione, "la disciplina della delega implica che l'onere della prova incombe alla controparte del datore di lavoro (i lavoratori), cui spetta dimostrare che il datore di lavoro non ha vigilato adeguatamente sull'attività del delegato e che solo in questo caso, il datore di lavoro è responsabile".
Argomenta la Commissione che "questo equivale ad attribuire al datore di lavoro una presunzione di adempimento dei suoi obblighi, che è d'ostacolo alla tutela dei lavoratori".

Per essere più efficace, la Commissione, ha espresso riserve liquidatorie riferendosi all'art. 30 del TU (richiamato dall'art. 16), che al comma 4 recita: "Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico".

A giudizio della Commissione, l'adozione di questo modello non comporta l'obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro, né il principio di responsabilità dello stesso. Questa disposizione, al contrario, stabilisce l'esclusione di responsabilità del datore di lavoro che adotta un modello di questo tipo, a meno che "la controparte, ossia il lavoratore - che è, per definizione, nella posizione più debole - non dimostri che il datore di lavoro non ha applicato le misure necessarie in materia di salute e sicurezza". Inoltre, l'obbligo di riesame del modello sussiste "solo ex post, quando le violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene del lavoro sono già avventute, o dopo che i mutamenti nell'organizzazione in relazione al progresso scientifico e tecnologico sono stati riconosciuti”. Questo, afferma e liquida la Commissione, costituisce una violazione della Direttiva quadro, all'art. 5, che ammette l'esclusione o la diminuzione delle responsabilità dei datori di lavoro solo "per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata". La violazione significativa deve essere impedita e contrastata, non si può aspettare che sia evidente per procedere al riesame di un modello che "assicura in ogni caso al datore di lavoro la presunzione di conformità".

La Commissione non si fa incantare dalla citazione di codici, codicilli e sentenze (interpretate grossolanamente): "... l'adozione di un modello è tale da far presumere l'adempimento dell'obbligo di vigilanza in capo al soggetto delegante sul corretto espletamento delle attività delegate". Questo significa che può essere ritenuto responsabile il delegato e non il delegante e che, se il lavoratore non dimostri in giudizio il contrario, il datore di lavoro non è responsabile.

Riguardo alla proroga dei termini prescritti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per una nuova impresa o per modifiche sostanziali apportate a un'impresa esistente, l'attenzione della Commisione si concentra sugli art. 28 e 29 del TU.

L'art. 28, comma 3bis, recita: "In caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documento entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività".

L'art. 29, comma 3, recita: "La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali".

La Commissione non ha dubbi, gli intervalli indicati nei due articoli richiamati, lasciano i lavoratori e i loro rappresentanti senza documento di valutazione dei rischi e poco importa che la valutazione del rischio stessa sia stata effettivamente realizzata in precedenza.

Nel documento di valutazione dei rischi devono essere menzionati i seguenti aspetti, a norma dell'art. 28 del TU, che non sarebbero coperti nei periodi sopra citati:

"a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. (...)
b) l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a);
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
d) l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonchè dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f) l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Nella direttiva quadro (art. 9 lettera a), non si trova spazio per le interpretazioni: il datore di lavoro ha l'obbligo di "disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza durante il lavoro, inclusi i rischi riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari ." Risulta, altresì, impossibile differire nel tempo l'adempimento di tale obbligo, che trae origine dalla necessità di proteggere i lavoratori.

Non è possibile negare, come ragiona la Commissione, che l'esonero dall'obbligo di redigere un documento di valutazione dei rischi, durante le prime settimane, può indurre certi datori di lavoro a omettere di elaborare una valutazione dei rischi o di elaborarla meno accuratamente di quanto avrebbe fatto se avesse dovuto redigere un documento cartaceo contenente i risultati della valutazione.

L'inizio dell'attività di un'impresa e i momenti seguenti mutamenti significativi nella sua organizzazione, insiste la Commissione, sono estremamente delicati per quanto riguarda l'esposizione al rischio, giacché i lavoratori non hanno dimestichezza con l'organizzazione e col suo funzionamento e può quindi darsi che non pensino a prendere le precauzioni necessarie. È perciò particolarmente inopportuno lasciare in queste situazioni i lavoratori privi di un documento di valutazione dei rischi.

Anche in questo caso, le autorità italiane si sono arrampicate sugli specchi e azzardato interpretazioni, nel tentativo di risparmiare alle imprese adempimenti che possono salvare la vita dei lavoratori, piuttosto che tutelare gli stessi lavoratori dai rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro.

La Commissione non si è lasciata raggirare e ha concluso che la mancata redazione del documento di valutazione dei rischi configura violazione del diritto dell'UE da parte della Repubblica Italiana.

In conclusione, la Commissione europea, avendo posto la Repubblica Italiana in condizione di presentare osservazioni e tenuto conto della risposta del governo italiano dell'8 dicembre 2011, in forza dell'articolo 258, primo comma del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, concede due mesi (dal 21 novembre 2012) per eliminare dall'ordinamento giuridico, disposizioni che esonerano il datore di lavoro dalla sua responsabilità in materia di salute e sicurezza in caso di delega e subdelega e differiscono nel tempo l'obbligo di redigere un documento di valutazione dei rischi, nel caso di nuove imprese o di modifiche significative nell'attività di un'impresa, poichè le autorità italiane non hanno rispettato gli articoli 5 e 9 della direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.

Il messaggio della Commissione europea è inequivocabile: non c'è crisi economica che tenga, sulla tutela della sicurezza e della salute negli ambienti di lavoro non possono esserci tentennamenti o furberie.
Sarà interessante vedere come risolverà la questione il "governo tecnico" che, nascondendosi dietro l'Europa, ha emanato norme con il palese scopo di peggiorare le condizioni dei lavoratori, cancellando diritti e spingendoli nella povertà. Vedremo come reagirà la ministra Fornero, adesso che l'ordine dell'Europa è chiaramente quello di occuparsi di salvare la vita ai lavoratori.

Se il governo non ottempererà all'invito perentorio della Commissione europea, l'Italia potrebbe essere condannata al pagamento di una sanzione di 700 mila euro per ogni giorno di ritardo. Vedremo se il governo dei "professori", sarà capace dello stesso rigore che tanto cinicamente somministra ai lavoratori.
Sarà, anche, necessario che in caso di sanzione, i responsabili delle inadempienze siano condannati dalla Corte dei Conti al risarcimento del danno erariale.

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