Siamo uno spot per l’esercito
Dopo tutto vivo in una città governata da un sindaco - dal coerentissimo passato nella destra più "radical" del Msi - eletto soprattutto grazie alla potentissima lobby dei tassisti romani. Si dice che rappresentino 50.000 voti i nostri taxi. Me li ricordo, due anni fa, i leader della rivolta dei tassinari accogliere con saluti romani l’allora parlamentare Gianni Alemanno, gli avambracci con tanto di tatuaggio della X Mas in bella evidenza. Era l’inizio della campagna elettorale.
Insomma questa sera mi sento un po’ di umore "rompicoglioni andante" e quindi, comprate le sigarette, mi avvicino ai nostri gloriosi militi scaccia barboni. Ho voglia di fare due chiacchere, due domande. E anche loro hanno voglia di chiaccherare. Uno è un reduce dell’Afghanistan, l’altro forse parirà per il Libano. Il loro collega legge fumetti, cuffie in testa, dentro al blindato. Sono perplessi, un po’ annoiati, soprattutto si sentono degli "imboscati". «Stiamo qui a non fare nulla, siamo uno spot dell’esercito». Uno spot! Ma un’azione, un arresto, un controllo di documenti? Uno di loro racconta che li hanno messi qualche giorno fa in assetto di guerra al capolinea degli autobus elettrici a piazza S. Giovanni (famosissimo ritrovo di stupratpori, terroristi, rapinatori etc etc) in pieno giorno. «Altro che professionisti, mi sentivo un fesso».
Chssà che mi aspettavo. Saluto, vado a casa. Allontanandomi mi giro e li fotografo con il telefonino. Così, per avere un souvenir. Come le foto che fanno i turisti giappoinesi con i gladiatori finti al colosseo. E’ o non è solo uno spot?
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