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Shalabayeva: l’incredibile storia del passaporto vero/falso

Comunicato stampa sul sito del Ministero dell’Interno: “Caso Shalabayeva. L'Interpol del Centroafrica: il passaporto risulta falsificato”. Data 24 luglio 2013.

Si cita una dichiarazione dell'ufficio Interpol del Centroafrica, che definisce "falso" il passaporto centrafricano esibito da Alma Shalabayeva al momento dell'irruzione della polizia nella villa di Casal Palocco.

E la stampa ripete la notizia così, che l'opinione pubblica si formi su questa certezza.

Ma già il 17 luglio Marco Perduca, ex senatore radicale eletto nelle liste del PD, in un articolo pubblicato sull’Huffington Post, diceva: “La relazione di Pansa afferma che il passaporto diplomatico della Shalabayeva risultava palesemente falso. Nelle stesse ore in cui i funzionari di P.S. ritenevano che alcune pagine del documento della Repubblica centrafricana fossero mancanti e che altre fossero state abrase per correggere degli errori d'inglese, l'Ambasciata della Repubblica Centrafricana di Ginevra inviava alle autorità italiane un documento in cui confermavano che la signora aveva un passaporto diplomatico di quel paese dal 2010”.

Infatti Perduca allega ben tre documenti della Repubblica Centrafricana, che riporto in fondo raccogliendo il suo invito di oggi: due dall’ambasciata di Ginevra del 30 e del 31 maggio, e uno da quella di Bruxelles datato anch’esso 31 maggio, in cui si dichiara che alla cittadina centrafricana Alma Ayan (alias Alma Shalabayeva) è stato legalmente rilasciato un passaporto diplomatico del paese. Valido e originale.

Il 31 maggio è il giorno in cui il Ministro degli Esteri viene informato dei fatti da una Ong privata, quando già da giorni l’ambasciatore kazako girava per gli uffici del Viminale e della Questura dando disposizioni a cui i funzionari rispondevano con inusuale rapidità, fino all’esecuzione dell’espulsione alle 19 dello stesso giorno.

Domanda: come è possibile che il Prefetto Pansa il 16 luglio abbia sostenuto che la signora Shalabayeva era in possesso di un documento centrafricano “palesemente falsificato” quando già dal 30 maggio - un mese e mezzo prima - l’ambasciata della Repubblica Centrafricana aveva attestato l’originalità di quel documento? E come mai le autorità di polizia hanno insistito su questo particolare della falsificazione, non a caso l’unico elemento che sostiene e giustifica l’espulsione della signora kazaka (ma certamente non della sorprendente celerità dell’operazione) ?

E come è possibile che il Ministero dell’Interno, ancora il 24 luglio, nonostante la comunicazione centrafricana del 30 maggio e l’articolo dell’ex senatore radicale del 17 luglio, pubblichi sul suo sito una affermazione che dovrebbe essere considerata quantomeno "non certa"?

Queste sono le domande “tecniche” a cui evidentemente si deve dare risposta definitiva perché delle due l'una: o la Repubblica Centrafricana afferma il falso, oppure lo fa l'Interpol (trascinando il Ministero dell'Interno nell'ennesima figuraccia). Tertium non datur.

Poi ci sono le domande politiche.

Come è possibile che ancora oggi una testata come l’Huffington Post, a proposito della relazione di Emma Bonino, titoli “Emma come Angelino” senza che nell’articolo ci sia una sola motivazione capace di giustificare il titolo stesso? E perché nella maggior parte dei commenti si continua a sostenere che, dal momento che sia Bonino che Alfano affermano di "non aver saputo", allora non possono essere che - entrambi - ugualmente colpevoli?

Perché questa superficialità di analisi viene continuamente riproposta, come abbiamo visto anche in titoli non giustificati, quando è sempre più evidente che le colpe e le responsabilità del Ministero dell’Interno, fino ai suoi massimi livelli politici, sono lampanti mentre quelle del Ministro degli Esteri sono tutt’altro che dimostrate?

Ribadisco la mia ipotesi: la vita di Emma Bonino, interamente dedicata con passione e costanza a difesa e salvaguardia dei diritti umani e civili, ovunque nel mondo, serve a dare una copertura "etica" al Ministro dell’Interno Angelino Alfano che, dalla sua ha solo un passato di democristiano fedelissimo di Totò “vasa vasa” Cuffaro, condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. E scusate se è poco.

Per questo ho rivolto, nei giorni scorsi, e più di una volta, alla storica leader radicale l’invito - accorato e solidale, non accusatorio - ad andarsene sbattendo la porta di questo governo. E si dice che lei abbia valutato effettivamente le dimissioni in queste giornate di fuoco, consapevole forse che quando un vivo viene legato ad un morto, è il vivo a fare una brutta fine.

Ma ha resistito alla tentazione e forse ha ragione lei. Andarsene senza aver fatto tutto il possibile per salvaguardare Alma Shalabayeva e sua figlia, che altri hanno illegittimamente consegnato come ostaggi al peggior nemico del loro marito e padre, avrebbe comunque determinato un insopportabile vulnus alla sua integrità morale.

Cosa che la figlia maggiore della Shalabayeva dimostra di aver capito bene: ''Sono anche consapevole - aggiunge - dell'impegno personale del ministro Bonino e sono certa che sta facendo il possibile per trovare una soluzione diplomatica per il rientro di mia madre e di mia sorella dal Kazakhstan, e per il quale ribadisco il ringraziamento e il riconoscimento della mia famiglia''.

Così è rimasta a combattere, alla faccia di chi continua a ripetere l’ignobile mantra del “tutti uguali”, soffiando continuamente sul fuoco e dimostrando di fregarsene altamente della verità e della Shalabayeva, ma sperando solo, molto cinicamente, di far cadere il governo. Cioè di portare a casa un risultato politico.

Azione comprensibile e per certi versi anche condivisibile, ma a due condizioni. Primo: che esista un governo alternativo, senza il quale si tratterebbe solo di velleitarismo demenzialmente distruttivo; secondo che non lo si faccia sulla pelle di una donna e di una bambina.

 

Foto logo: Eui/Flickr

 

 

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