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Israele. Sessismo in punta di Torah

Meah Sharim, Beit Shemesh. Due nomi di località israeliane da poco saliti agli onori della cronaca per motivi che svelano una pessima realtà del paese ebraico.

Il primo indica un quartiere nei sobborghi ovest di Gerusalemme, il secondo è il nome di una cittadina di 80.000 abitanti a circa 40 km dalla stessa capitale di Israele. A Meah Sharim, una piccola comunità di estremisti ultraortodossi, ha tentato da tempo di imporre una prassi discriminatoria nel quartiere, come l’uso di marciapiedi diversificati per uomini e per donne, porte separate nei negozi ed anche sale d’aspetto diverse nell’ospedale locale.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la tentata imposizione di settori diversificati per maschi e femmine sulla linea di autobus urbani che collegano il centro città con il quartiere. Dietro le donne e davanti gli uomini, rigorosamente separati, secondo la volontà di alcuni settori oltranzisti dell'ebraismo religioso che da qualche anno si sono fatti più arroganti grazie al peso politico dei loro partitini nella coalizione del governo di destra.

Intendiamoci, un amico che vive in India mi ha scritto che anche lì la tradizione vuole che nei bus ci sia una sostanziale, anche se non formalizzata, divisione tra settore maschile e settore femminile, è prassi più diffusa di quanto sembri, per non parlare di Iran o del wahabismo saudita; ma in Israele fa più impressione per la caparbietà con cui lo stato ebraico afferma e difende la sua immagine di "unica Democrazia" reale del Medio Oriente. Caparbietà confermata dalle vibranti proteste seguite ai fatti, compreso l'intervento diretto sulla questione delle discriminazioni contro le donne dei massimi esponenti di Stato, Governo (con parecchie ambiguità) e opposizione, per una volta in sincrono.

Non è evidentemente una frase vuota se è vero che quando una coraggiosa ragazza di nome Tanya Rosenblit ha deciso di rifiutare i diktat dei talebani della Torah, prendendosi una valanga di improperi, l’intervento della polizia è stato provvidenziale per allontanare gli energumeni e proteggerla nel suo viaggio, orgogliosamente percorso seduta nel lato "sbagliato" dell’autobus. E pochi giorni dopo la polizia israeliana ha arrestato un ultra-ortodosso accusato da una soldatessa di averla insultata pesantemente perché si era rifiutata di andare a sedersi nei posti posteriori su un bus di Gerusalemme.

La democraticità di un paese si vede anche quando la legge fondamentale dello stato che vieta discriminazioni sulla base di sesso, etnia o religione, viene fatta rispettare dalla forza pubblica. In altri paesi i sistemi giuridici anziché condannare le discriminazioni, le sanciscono e l’intervento della polizia avrebbe portato all’arresto della contestatrice. Fu quello che accadde a Rosa Parks nell’Alabama degli anni ’50 ed è quello che accade ancora oggi alle donne in alcuni paesi islamici.

Molto più preoccupante e doloroso il caso di una bambina di Beit Shemesh, Naama Margolis, figlia di ebrei americani ortodossi, insultata pesantemente - e spaventata al punto da non voler più andare a scuola – perché non vestita adeguatamente secondo la logica delirante di un gruppo di abitanti del quartiere, una vera e propria gang, di ebrei che si pongono ben al di là della stessa rigida "ortodossia" ebraica a cui pare appartenere la famiglia della bambina accusata di "immodestia".

Gli ottusi attivisti delle due località sono chiamati sikrikim che sarebbe il termine che noi traduciamo con "sicari" (i portatori di "sica" un corto pugnale usato duemila anni fa contro gli occupanti Romani). La questione è preoccupante perché sembra che si tratti di una "setta" (non so se è il termine esatto, ma lo uso lo stesso) di qualche centinaia di persone che non si limita a isolarsi e a studiare i testi senza occuparsi minimamente della società e dei suoi problemi quotidiani come fanno di solito, e hanno fatto per secoli, i rabbini ortodossi, ma “agiscono”, passando all’atto aggressivo.

Sono violenti nel loro tentativo di imporre il punto di vista religioso a tutta la società (che sarebbe poi la loro personale interpretazione dei testi se è vero che il Rabbino capo di Israele ha affermato, prendendo le distanze da loro, che la segregazione di genere "distrugge i fondamenti della Torah"). In questo essere attivi e non facili ad essere intimoriti come tutti gli esaltati, costituiscono un pericolo serio (e prolifico) che lo Stato non può assolutamente sottovalutare se non vuole mettere a rischio quel rifiuto delle discriminazioni su base religiosa, etnica o di genere che la Dichiarazione di Indipendenza esprime con assoluta chiarezza.

Un po' perché in alternativa ci sta già pensando qualcun altro ad aprire pericolose faide e poi perché i sikrikim sono pure antisionisti, cioè fondamentalmente convinti che la creazione dello Stato di Israele sia stata un’operazione blasfema. Nella tradizione ebraica infatti il Messia, termine che nell’ebraismo ha un senso più "terreno" che metafisico, deve manifestarsi e condurre il popolo ebraico in Terra Santa; qualcuno invece ha voluto creare uno stato per gli ebrei ben prima che il Messia si manifestasse: orribile bestemmia, evidentemente che li porta ad avere tutte le giustificazioni teologiche per infischiarsene altamente delle leggi dello Stato.

Di uno Stato in cui, secondo un'indagine statistica di qualche anno fa ben il 48% della popolazione, pur affermando in larga misura la propria identità culturale ebraica, sostiene di essere non-religiosa o addirittura antireligiosa.

Insomma, che siano di questa o di quella religione, che si chiamino parabolani o talebani o sikrikim, Dio (si fa per dire) ce ne scampi. O ce ne scampi lo stato democratico prima che sia troppo tardi, anche se la strada percorsa dalla cultura occidentale con il suo molto discutibile "superamento" razionale della religiosità potrebbe non essere né l’unica né la migliore delle strade percorribili dall'umanità. Ma questo è un altro discorso.

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