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Sentenza della Cassazione sul caso Diciotti: potere delle bugie o bugie al potere

Si fa un gran parlare della recente sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il diritto di un immigrato (l’unico ad averlo chiesto) ad essere risarcito per essere stato illecitamente trattenuto, per dieci giorni, sulla nave Diciotti: da questo gran parlare non esce una corretta informazione né sulla vicenda, né sulla decisione, ed anzi entrambe vengono deliberatamente distorte ed utilizzate per accrescere le paure e l’avversione dei cittadini italiani.

di Francesca Romano

(Foto di agenzia Dire)

Intanto è giusto ricordare brevemente la vicenda. Nell’estate del 2018 la nave della Guardia Costiera italiana “U. Diciotti”, dopo avere effettuato un soccorso in mare, è rimasta per quattro giorni in navigazione a causa del rifiuto delle autorità italiane (che, per inciso, avevano coordinato il soccorso) di assegnare un porto di sbarco; una volta assegnato il porto di Catania, la nave è rimasta attraccata altri sei giorni perché è stato impedito lo sbarco delle persone salvate. Alla base di tali rifiuti vi era il contrasto insorto tra lo Stato Italiano e Malta prima, sull’attribuzione della competenza al soccorso, e con gli altri Stati europei poi, per la redistribuzione delle persone soccorse; contrasti che avevano condotto a queste “prove di forza”, tutte giocate sulla pelle di chi stava su quella nave, soccorsi e, seppur in diversa misura, soccorritori.

Ora le norme nazionali ed internazionali sul soccorso in mare, tutte richiamate nella sentenza, dicono a chiare lettere che il soccorso si conclude con lo sbarco delle persone salvate e che deve concludersi nel più breve tempo possibile; l’unica discrezionalità che la legge lascia all’autorità è quella dell’individuazione del punto di sbarco più opportuno, “tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate; ferma restando la doverosità dell’indicazione del luogo sicuro in cui concludere l’evento SAR dichiarato, ritardi nella designazione dello stesso potrebbero pertanto essere giustificati (solo) alla luce della necessità di individuarne uno adeguato alle esigenze che, caso per caso, si presentano”.

Per legge, dunque, la discussione politica su chi debba salvare o accogliere le persone salvate non rende legittimo il rifiuto dell’assegnazione del porto e dello sbarco, atti che non possono essere ritardati se non per ragioni che tengano conto della possibilità di assistere adeguatamente le persone stesse. Impedire lo sbarco equivale a impedire il soccorso ed è un atto illegittimo, perché contrario alla legge che l’Italia s’è data.

Evidente che la vicenda indicata non risponde a questi criteri; altrettanto evidente che il comportamento dello Stato Italiano sia stato illegittimo perché contrario alle sue stesse norme; e quando un comportamento illegittimo incide su un diritto fondamentale della persona produce un danno e dà diritto ad un risarcimento. Questo e non altro dice la sentenza.

Le parole d’ordine della disinformazione gridano allo scandalo e presentano la decisione in modo del tutto diverso: secondo gli slogan che vengono ripetuti come un mantra (ma che restano ugualmente falsi) la sentenza assegna un risarcimento a chi commette il reato di immigrazione clandestina e apre così la strada ad un aumento della migrazione e a una valanga di domande di risarcimento, che manderanno in rovina le finanze del Paese. Un’aberrazione.

La ricostruzione è talmente falsa che non c’è nemmeno bisogno di precisare che la vicenda riguarda il soccorso e non la regolarità o meno della migrazione; un soccorso dovuto a chiunque sia in pericolo in mare e che prescinde del tutto dalle condizioni personali dei naufraghi. La conclusione giuridica sarebbe stata esattamente la stessa se al posto dei naufraghi africani vi fossero stati dei naufraghi, che so, australiani o americani, anche se è facile immaginare che in tal caso sarebbe stata la vicenda ad essere molto diversa.

È il classico gioco sporco di nascondere le proprie responsabilità indicando falsamente un altro colpevole. Un gioco che in questo caso diventa sporchissimo, perché mira a ridurre al silenzio uno dei poteri costituzionali di controllo della legalità, soprattutto quando fa il proprio dovere: dire come e perché la legge è stata violata e da chi. Lo Stato ha violato la legge? Deve pagare; e giustizia vorrebbe che ad aprire il portafoglio fosse il responsabile di tale violazione.

So che anche queste parole saranno guardate da alcuni con il sospetto che siano di parte. E allora andatela a leggere la sentenza, che è incredibilmente chiara e ricca di richiami, pensate con la vostra testa. E confrontate quel che c’è scritto con quel che se ne dice; sarà comunque, come diceva un nostro noto scrittore, “bello e istruttivo”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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