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Sempre più i giornalisti online incarcerati nel mondo

Abdel Karim Suleiman, an Egyptian blogger, is one of 56 online journalists jailed worldwide. (Reuters)

“Reflecting the rising influence of online reporting and commentary, more Internet journalists are jailed worldwide today than journalists working in any other medium.” Lo annuncia il rapporto annuale curato dal Committe to Protect Journalists (CPJ), il quale specifica che il “45 percent of all media workers jailed worldwide are bloggers, Web-based reporters, or online editors” - pur se la cifra complessiva dei giornalisti incarcerati nel mondo è diminuita di due unità, rispetto ai 125 del 2007. La classifica è guidata dalla Cina, con 22 giornalisti attualmente in galera, seguita da Cuba (21), Burma (14), Eritrea (13), Uzbekistan (6).

Se certo è preoccupante avere qualcuno dietro le sbarre per il solo diritto a fare informazione, ancor più lo è sapere che il triste primato ora spetta a chi produce variamente informazione online. Non a caso tra le varie inziative tese a tutelare queste attività, recentemente è stata lanciata la Global Network Initiative, comprendete CPJ, aziende Internet quali Yahoo e Google, gruppi a sostegno dei diritti umani, entità governative e altri soggetti onde stabilire delle linee-guida internazionali contro le repressioni governative online.

Peccato che la notizia non sembra ricevere grande attenzione tra gli stessi media, soprattutto nel nostro mondo occidentale: già, tanto sono gli “altri” i colpevoli. Di certo non compare nella paginona di Google News, e una ricerca ad hoc produce risultati striminziti. (Non oso neppure provare nell’ambito italico, ma tanto si sa, io sono prevenuto :). Se n’è invece appena occupata DemocracyNow!, con un servizio inclusivo di breve intervista con Antony Loewenstein, autore di “The Blogging Revolution“, libro apparso un paio di mesi fa in cui documenta in presa diretta le persecuzioni e censure continue subite dai blogger in Paesi come Iran, Egitto, Siria, Saudi Arabia Saudita, Cuba e Cina.

Eppure un importante contributo verso la soluzione di simili scenari è proprio parlarne e discuterne, riprendere e rilanciare la notizia, online e offline - vabbè, per ora affidiamoci al tam-tam del web….

Commenti all'articolo

  • Di http//illupodeicieli.leonardo.it (---.---.---.229) 8 dicembre 2008 13:07

    Mi dispiace per queste persone che ,per avere documentato o soltanto espresso la loro opinione, sono state incarcerate, vengono di fatto dimenticate e fatte morire,se non anche giustiziate, e sono vittime di delinquenti. Ammetto che come blogger mi mantengo, forse vigliaccamente, nel politicamente corretto: dico di avere paura e non me ne vergogno: non mi è ancora chiaro se posso esprimere il mio dissenso verso un capo del governo o amministratore pubblico, senza incorrere in una denuncia, un arresto, un pignoramento che serva come anticipo per eventuali danni morali. Non so se e fino a che punto possa esprimere ,per esempio , solidarietà ai palestinesi, agli iracheni,ai gruppi no-tav o chi combatte contro gli inceneritori, o per chi all’estero o in Italia manifesta contro il governo in carica ,perchè nei primi casi potrei essere additato come un fiancheggiatore di terroristi, visto che se protesti contro un governo "amico" contro chi manda in guerra delle persone, allora vuol dire che sei contro l’occidente. Aggiungo che potrebbe essere, come è già accaduto, oscurato il blog o il sito con tutto ciò che,a livello legale ne consegue. Le leggi in tal senso, per ora blande forse, non promettono niente di buono: dico che è come negli Usa dove con i vari Patrioct Act si è messa una solida base per un regime dittatoriale o semi dittatoriale, come in Russia e anche da noi. Del resto se uno "mima" il gesto di sparare...cosa ti puoi aspettare? Se un altro diceva "è l’Europa che ce lo chiede" e qualche altro lo dice ancora , cosa ti puoi aspettare?Copiamo solo il peggio e anche per le leggi non c’è differenza, importiamo le peggiori e le applichiamo ...contro i più deboli logicamente.

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