Scrivere è un lavoro come gli altri?
Gli autori che riescono ad affermarsi sul mercato diventano automaticamente tali. Ma dietro ad ogni successo ci sono centinaia di scrittori che pubblicano senza ricevere un soldo di compenso, triturati da una macchina, quella dell'editoria, che li considera come l'ultimo anello della catena.
Ma scrivere non è forse un lavoro come gli altri? Come puo' un autore difendersi e negoziare le condizioni migliori?
C'è spazio per un sindacato degli scrittori?
Autori affermati, in erba o ancora in cerca di gloria, tutti sanno bene quanto sia difficile il mestiere dello scrittore.
I rapporti con il mondo dell'editoria sono complessi, ulteriormente aggravati dal quadro generale che da un lato svalorizza il lavoro e dall'altro sminuisce la Kultura come strumento di emancipazione e cambiamento, relegandola al suo ruolo di intrattenimento, che pure possiede e svolge bene, intendiamoci.
I valori vincenti nella nostra società sono altri e il mestiere o se preferite il lavoro di scrittore è ben lungi dall'essere pienamente riconosciuto. A meno che non diventi un autore di bestsellers, ma questa è un'altra storia.
La prima domanda 1# Qual è secondo voi la definizione più appropriata?
Il mestiere di scrittore
Per la maggior parte delle persone e troppo spesso anche per noi stessi, quello dello scrittore non appare come un vero e proprio lavoro, sebbene impegni moltissime ore e richieda professionalità, calma, proprietà di linguaggio e strumenti molto differenziati, insieme a tanta disponibilità e una buona riserva di risorse.
Nella migliore delle ipotesi si pensa al mestiere di scrittore come a un piacevole hobby. Nella peggiore diventa una tragica perdita di tempo.
Ma è proprio così?
Il ruolo (e il peso) delle parole nella nostra società
Chi governa le parole, governa il mondo
È la recente, efficacissima, affermazione fatta da Michela Murgia in merito agli orribili strali che taluni partiti stanno scagliando contro i migranti, al solo scopo di accendere la miccia sociale dell'intolleranza che si nutre di miseria, culturale e materiale.
È andata in onda su La7 il 10 febbraio, giorno della grande manifestazione antifascista contro l'odio e l'intolleranza a Macerata, ma è praticamente irrintracciabile sul web. Peccato, ve l'avrei linkata volentieri, perché sono parole sagge che spero di riuscire a riascoltare.
Mi hanno fatto riflettere sul ruolo delle parole e di chi le pronuncia, particolarmente importante per chi si esprime attraverso la scrittura.
Com'è noto,
Verba volant, scripta manent
Chi racconta una storia, o un fatto di cronaca in un articolo di giornale, chi usa le parole per descrivere, testimoniare, esprimere un'emozione, ha una responsabilità gigantesca nel contribuire a costruire o demolire una comunità, una società nel suo complesso.
Usare le parole con sapienza e competenza significa svolgere un ruolo prezioso in una comunità come la nostra che ha bisogno come il pane di parole ispiranti, di sogni da condividere, di prospettive da immaginare per costruire un mondo migliore.
Michela Murgia svolge appieno quel ruolo decisivo che ogni scrittore dovrebbe svolgere: il mentore che ci mette di fronte a ciò che non vediamo da soli e ce lo svela, come svelerebbe la trama di una favola.
Nell'epoca dei grandi numeri si scorge qualche bella storia ma sempre meno qualcosa capace davvero di quell'ispirazione che ti faccia chiudere il libro, abbandonare ciò che stai facendo e metterti a pensare.
Gesto potenzialmente "pericoloso", specie se praticato con continuità.
Ma comunque si intenda interpretare il proprio ruolo a proposito di scrittura, ciò che conta è riconoscere noi stessi il valore del lavoro che stiamo producendo.
Ciò che stiamo svolgendo è un mestiere, esattamente come tanti altri. Un mestiere che a volte è remunerato e a volte no.
Dietro il bestseller mondiale ci sarà anche la sagace pubblicità e il marketing spinto di una casa editrice d'eccezione con risorse e mezzi a disposizione, ma in fin dei conti c'è essenzialmente la paziente, continuativa, snervante e a volte deprimente attività quotidiana del creare, del correggere, dell'editare, dell'incastrare un personaggio nella sua storia e nell'infinita ed estenuante attività di perfezionamento di un testo.
Attività che ormai gli scrittori svolgono in proprio, prima di inviare un testo a una casa editrice o altrove.
Così gli apprendisti scribacchini ma anche gli affermati pennaioli, dedicano un tempo infinito a creare, immaginare, stendere un mondo che si regga in piedi, con i suoi personaggi, i sui conflitti, i suoi intrecci, che se non produce abbastanza valore commerciale non produce alcunché per l'autore.
Conosco molte autrici e autori che in seguito a una pubblicazione non hanno mai visto nemmeno alla lontana un rendiconto di copie vendute e di conseguenza di royalties...
Ecco perché parlo di mestiere, perché credo abbiamo il diritto alla trasparenza.
2# Il lavoro va riconosciuto comunque o solo se l'editore ci guadagna qualcosa?
Lavoro o vocazione?
L'idea romantica dello scrittore che vive d'arte è ancora piuttosto presente nell'immaginario collettivo.
Scrivere è una vocazione e come tale contiene in sé una gratificazione che riceveremmo dal riconoscimento del nostro ruolo. Passa anche attraverso un compenso, dei diritti, la nostra professionalità.
Non si è sacerdoti di un culto, ma lavoratori, professionisti, che sono giudicati spesso anche duramente.
Da chi ti imbroda, come dice il proverbio, meglio guardarsi con attenzione. Io di infiocchettate ne ho ricevute parecchie e ci sono anche cascata, mannaggia a me!
Ma ora le ho decodificate e ogni volta che sento parlare di vocazione mi ribolle il sangue nelle vene, perché nella maggior parte dei casi l'unica vocazione che ti chiedono è quella all'omertà e al silenzio. Omertà sul sistema, silenzio sui tuoi compensi. Di cui godranno persone che vi hanno manipolato al punto da convincervi voi stessi che sia giusto così.
3#Chi decide se sei uno scrittore oppure no?
Il mercato editoriale? Le tue pubblicazioni (perché qualcuna devi averne fatta per definirti tale), il giudizio della critica? Un premio vinto? La tua capacità di scrittura?
Certo, tutto vero. Ma soprattutto
Sarete scrittori quando voi stessi vi definirete tali
Riconoscervi un talento e un mestiere, questo è il primo passo. Se cercherete il riconoscimento da qualcuno che non siete voi, chiunque potrà condurvi dove ritiene opportuno.
Scrittori non lo si è per concessione o definizione ma per talento, impegno, caparbietà, stile, comunicativa, proprietà, fantasia, e molte altre cose.
Occorre pretendere rispetto.
4# Lo scrittore, al pari di ogni altro lavoratore, ha il diritto e il dovere alla tutela?
Deve continuare ad essere l'ultima ruota del carro editoriale o puo' diventare parte dirigente? E se la risposta è sì, come tutto ciò puo' avvenire?
Io penso che dobbiamo organizzarci. Lo dicevo nel mio articolo Un salone per gli autori, che contiene una proposta che se fosse un collettivo ad avanzare sono certa avrebbe più risonanza. Ma è complicato, siamo divisi, poco solidali.
Bisognerebbe mettere in fila i problemi che dobbiamo affrontare e il supporto di cui avremmo bisogno.
Se fossimo capaci di chiarire bene cosa ci serve allora l'idea di sindacato potrebbe decollare.
Di questo mi piacerebbe parlare una buona volta. Segnalatemi nei commenti direttamente sul mio sito (clicca qui) la vostra opinione in proposito. E chissà che non venga fuori qualche buona idea dalle chiacchiere tra di noi...
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