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“Sapiens sapiens” o “stupidus stupidus”?

Secondo taluni, si tratterebbe di “sviluppo tecnologico”; secondo altri, invece, sarebbe una dinamica socioantropologica suscettibile di rimodulare drammaticamente la vita sul nostro pianeta.

E' ormai divenuto di comune acquisizione l'odierno declino socioculturale capace di indurre le persone a trascorrere quasi tutto il loro tempo a trastullarsi con i cosiddetti telefoni cellulari, i quali si sono drasticamente imposti come autentiche protesi digitali destinate a esitare in una triste dicotomia fra due cervelli: da una parte, quello fisiologicamente fornitoci dalla natura, e dall'altra, quello tecnologico, praticamente onnipresente nelle mani e nelle tasche della gente.

Il telefono cellulare, si è repentinamente affermato come una sorta di figlio diretto del cervello naturale, prospettando così un futuro foriero di inimmaginabili conseguenze non soltanto di ordine psicologico, ma, ancor più, di ordine sociale, a scapito soprattutto delle persone più giovani. Tanto da sdoppiare la vita quotidiana di ciascuno, a vantaggio della cosiddetta “intelligenza artificiale”, la quale, fra non molto, prenderà il sopravvento su tutto e su tutti. Come conseguenza, quella che veniva vantata e rivendicata sinora come “la nostra civiltà”, si avvierà verso la sua agonia. Atteso che, nel momento in cui l'uomo deleghi le sue funzioni essenziali a mere appendici tecnologiche, allora egli cessi di esser tale. Attraverso questo processo pseudoevolutivo, egli espunge ogni residuo del suo presunto “salto evolutivo”. Accade così che da “homo sapiens sapiens”, egli divenga “homo stupidus stupidus”(1). Poiché, così facendo, egli si libera della componente pulsionale, lasciando prendere il sopravvento alla sua terrificante distruttività e alla caduta dei principii fondamentali del coerente vivere sociale. Per questo, lo psichiatra Vittorino Andreoli esclude ormai l'uomo dall'ambito della sapienza. Quello odierno è, infatti, un uomo ormai privo della sua identità. E' ormai un uomo senza futuro. Perciò egli si sente sempre più terribilmente solo e impaurito. Proprio perché ha smarrito il significato della parola “Io”. Questo uomo sopravvive in un luogo disabitato: in un luogo condizionato dalla frammentazione dell'individuo. In lui, residuano soltanto frammenti di “Io”, ormai erranti verso il vuoto e il nulla.

Questi stessi individui, cercano di ripararsi affannosamente dietro un ostentato esibizionismo, a sua volta epifenomeno di un masochismo distruttivo di sé e degli altri. A questo, ancor più per gli italiani, bisogna aggiungere una straordinaria fede nei miracoli, la quale li assimila a un coacervo antropico estremamente credulone e perciò facilmente abbindolabile dal truffatore di turno. Così come non bisogna sottostimarne l' ipertrofico individualismo, il quale, miscelato con un innato talento per la recita, rende conto della loro ignominiosa ignavia nei confronti di un sodalizio di “filantropi”, i quali, avvalendosi dei più deprecabili raggiri comunicativi, li sta privando dei fondamentali diritti costituzionali, adombrando fantasmi di equivoche pandemie.

Un così degradato contesto socioantropologico, rende conto degli esiti di una ricerca di psicologia sociale inerente la relazione intercorrente fra l'intelligenza e la religiosità nei contesti antropici considerati. Si tratta di uno studio pubblicato su “Personality and Social Psychology Review”: una rivista scientifica la quale gode del massimo fattore d'impatto: il che la rende meritevole di una indiscutibile attendibilità (2).

Quella richiamata, è una metanalisi comprendente ben 63 diversi studi condotti tra il 1928 e il 2012, su persone di 137 Paesi. Di questi, ben 53 mostrano una significativa correlazione inversa tra intelligenza e religiosità. Dove, per intelligenza, si intende “la capacità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare astrattamente, comprendere idee complesse e imparare velocemente; mentre, per religiosità, si intende “la credenza nel soprannaturale, la sua venerazione, la partecipazione alle funzioni e l'appartenenza a organizzazioni religiose”.

Gli Autori, concludono suggerendo tre possibili spiegazioni del fenomeno: 1) che le persone intelligenti siano meno propense al conformismo e più propense a rifiutare i dogmi religiosi; 2) che esse tendano ad adottare un pensiero analitico e non intuitivo, che mini le credenze religiose; 3) che molte funzioni della religiosità, quali la compensazione, l'autoregolazione e l'autostima, siano fornite indipendentemente dall'intelligenza. Le persone intelligenti, hanno pertanto meno bisogno delle credenze e delle pratiche religiose.

Immagine, da: https://www.facebook.com/642439095857026/photos/a.1790800191020905/1790800284354229/?type=3&hc_ref=ARQ2x3kYDt9UfC6MKYn_4TlHnRmEZ5BUHOxlAWyHt7wFKdt0UyNLvX2KE4-bFMsXiig

 

 

Riferimenti:

1)Homo stupidus stupidus. Vittorino Andreoli. Rizzoli. 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano.

 

2)https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/1088868313497266

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