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Sangue Secco, Corrida #33

L’unico racconto pubblicato a puntate sulla rete che è un po’ come la vita: si sa quando e come inizia, ma non si sa mai bene dove vada a finire.

per chi si fosse perso qualcosa, eccovi la puntata precedente

.33

Restai a parlare ancora un poco con saluel, giusto il tempo di sentir svanire la stanchezza dalle gambe, lo stesso che ci mise la birra a farmi avere bisogno di un bagno.

Andai a letto, certo di essere sulla pista giusta, quasi per destino, o per caso, non saprei, comunque iniziando a sperare davvero di poter ritrovare Felipe.

La morte di Amalia era troppo fresca perchè anche solo un sorriso potesse solcare le mie guancie, ma il pensiero fisso di un obiettivo rendeva il dolore meno presente, come un potente esplosivo sigillato in una scatola, pronto ad esplodere, ma latente in un angolo.


Andai a letto e passai alcune ore a rielaborare le idee, a cercare di stabilire con precisine ed ordine le prossime mosse. Se Felipe era stato catturato dall’esercito, era chiaro che era stato quantomeno trattenuto per un po’ di tempo. Una notte almeno. Samuel, il locandiere, non era stato molto preciso con il suo "circa due settimane fa", il che rendeva possibili molte ipotesi. Felipe poteva essere ancora in gattabuia, magari proprio al distaccamento più vicino ad Isola Cristina, oppure trasferito in un carcere più importante. Questo avrebbe reso le cose più difficili, perchè non era molto opportuno andare a chiedere informazioni ai militari, non era mai opportuno chiedere ai militari in Spagna. Dovevi cercare semplicemente di fare finta che non esistessero, fino al momento in cui il tuo passo inciampava nel loro.

Felipe poteva anche essere stato rilasciato, e in quel caso non avevo molte idee su dove o come sarebbe potuto andare. La cosa più probabile era che avesse preso un passaggio al volo per un posto non ben precisato, giusto per vagabondare e far prendere un po’ di ossigeno ai polmoni e alle idee, fino a trovare un po’ di pace nel cuore o quantomeno un po’ di rispettoso silenzio, di quiete. Lo immaginavo solo, a scolarsi innumerevoli bottiglie di alcolici imprecisati, solitario davanti a un fuoco, a ricordare di quando le voci a parlare erano molte, molte le idee e le risate non si sprecavano. Lo immaginavo a cercare la verità dentro alla bottiglia, traducendo in realtà il suo ridicolo adagio: la verità è sempre in fondo a un bicchiere. Solo che per trovarla ce ne dovremo scoalre ancora molti.

Mi addormentai vestito, in una sorta di immobile ed apparente quiete, che venne interrotta dai primi raggi di sole dell’alba. Andai a svegliare Pepito, con qualche pacca amichevole sul collo, gli feci due complimenti, e gli avvicinai un po’ di fieno. Andai a pagare il conto e chiesi a Samuel dove fosse il più vicino posto di guardia dell’esercito, la più vicina caserma o carcere. Mi disse che era a poche centinaia di metri, un minuto posto di guardia, con appena una cella. Ma non sempre c’erano militari, a volte vi sostavano per la notte, e in quel caso, facevano pattuglia per i dintorni, cercando di rastrellare almeno una persona, giusto per i propri divertimenti notturni.

Avvertii un brivido salire per la schiena. Sapevo per certo che non avrebbero risparmiato lagne e qualche pugno a Felipe, ma fino a quel momento speravo nella sua tempra, in quella sua capacità di non farsi scalfire dal dolore fisico nè dalle avversità. Iniziai a temere il peggio. Nelle grandi città l’esercito non ha tempo per stare dietro a una persona che infrange minimi dettagli di uno stralcio di legge. Nei piccoli paesi, dove gironzolano giovani militari che vogliono fare carriera, esuberanti dei propri gradi, consci del proprio potere quasi illimitato, le cose peggiorano.

Pagai il conto, salii in sella a Pepito e andai a vedere di che posto di guardia si trattasse. Gli girai attorno, con la paura di essere visto con troppa curiosità, e intravidi una piccola stanza, giusto un tre metri per tre, con due brandine, ed accanto una cella. La cella era aperta e si vedevano tracce secche e recenti di sangue. Iniziai a piangere e celai il viso sotto una mano, come se volessi pararmi dal sole. Aumentai l’andatura, giusto per non essere visto, e seguii i cartelli che segnalavano la prossima cittadina.

Augurandomi di tutto cuore che Felipe fosse stato portato lì.

Alla sua evasione avrei pensato in un secondo momento, adesso dovevo a tutti i costi trovarlo, sapere che era vivo. Almeno lui.

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