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Salvini-Diciotti: e le stelle stanno a guardare

Senza entrare nell’aula di un tribunale né in quella di Palazzo Madama, la questione “Diciotti”, e la possibile messa in stato d’accusa di Salvini, ha già prodotto una conseguenza concreta, quasi una sentenza: per i prossimi due mesi e fino alla pronuncia dei senatori, assisteremo ad un cambiamento nei rapporti di forza della politica italiana, all’interno della compagine ministeriale ed in parlamento.

Le due componenti governative, ogni giorno, ricordano agli elettori che il governo si basa su un “CONTRATTO” (che personalmente ritengo essere una normalissima alleanza politica, che anzi raffigura un inciucio fra opposte visioni politiche) orbene: la “forza contrattuale” della Lega si è ridotta, e con ogni probabilità i grillini cercheranno di passare all'incasso.

Dato per scontato che dagli ex alleati di centrodestra proverrà un “NO” all’autorizzazione a procedere, è assai più difficile prevedere quale sarà il comportamento dei senatori grillini. Il bello (si fa per dire) è che le questioni di “giustizia” o di “honestà” che formalmente alimentano il dibattito (è stato commesso o no un reato?) nella sostanza non avranno alcun peso e resteranno fuori dall’aula, CHISSENEFREGADELL’HONESTA’, quello che i senatori esprimeranno non sarà affatto un voto di giustizia, sarà un voto di parte e di interesse.

Stiamo assistendo, con buona pace delle buone intenzioni, al più classico dei “giochi politici” che si recitava, con ben più alta capacità dei protagonisti, dai ben più scafati attori dell’era democristiana.

Nei mesi scorsi Matteo Salvini non ha mancato occasione per proporsi come il vero artefice della politica governativa. Oscurando il povero Conte (e facendo perdere al M5S, quantomeno nei sondaggi, una bella fetta di consensi) il vicepremier leghista ha sistematicamente travalicato il suo ruolo di ministro degli interni che dovrebbe occuparsi di ordine pubblico e pubblica sicurezza.

Il leader del carroccio ha imposto la propria ruspante visione politica su tutto, ha “messo cappello” su ogni questione, sia che si trattasse di immigrazione, di lavoro, di politica estera o di giustizia. Più di un osservatore ha fatto notare che il vero presidente del Consiglio fosse Salvini. Nei prossimi mesi non sarà più così, sulla testa del Matteo padano pende la spada di Damocle del voto pentastellato, e il M5S ha in pugno quella lama.

Il movimento è sempre stato decisamente contrario all’immunità parlamentare, in passato il M5S aveva presentato persino un progetto di riforma Costituzionale volto ad abrogare gli articoli 68 e 96 della Carta nei quali si prevede la prerogrtiva per i parlamentari. Sappiamo già che la “fronda” grillina vorrebbe processare Salvini, Di Maio, nicchia e si gode l’opportunità.
Forse è un bluff, ma le carte in mano ce le ha Di Maio «Non abbiamo ancora deciso ma nella nostra storia non abbiamo mai votato a favore delle immunità parlamentari e “nulla è stato deciso”» centellinando il vantaggio politico, e senza rompere, tiene sulla graticola l’alleato e lo costringe a toni assai più misurati ed accomodanti su tutte le questioni politiche all’ordine del giorno, dalla Tav alla Venezuela, dal decreto Sicurezza alla gestione dell’immigrazione, dalle trivelle alle nomine.

Del resto Di Maio, anche se volesse, non potrebbe fare a meno di tenere Salvini sulla graticola con l’intento di ammorbidirne le muscolose carni, perché la fronda grillina preme sia all’interno del Senato (De Falco, La Mura ed altri) che fuori (Di Battista, Fico) per votare a favore dell’autorizzazione.

E quindi? “Le stelle stanno a guardare” a loro, tutto sommato, in questo caso conviene.

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