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Rosy Bindi: Il finanziamento pubblico? L’unico modo per fare politica in Italia

Nessun refuso: è lo sconcertante pensiero di Rosy Bindi, presidente PD che difende Rosy Mauro e il modo di fare politica “all’italiana”, nonostante la crisi evidente che avvolge i partiti. Twitter distrugge l’esponente del centro-sinistra, colpevole di incarnare un concetto di politica vecchio e stantio.

C’è un periodo, nella storia recente del Malpaese, in cui si diceva a gran voce che il compito dei partiti era quello di tradurre in proposte (e conseguentemente in atti) le istanze del popolo (un tempo sovrano), presso le assemblee rappresentative deputate ad accoglierle. C’era la DC, anima cristiana di un paese ed emissaria della Santa Sede presso Palazzo Chigi. C’era il Partito Comunista Italiano, quello di Berlinguer che stava vicino ai lavoratori. E poi il MSI dei “fascisti”, il PSI del non limpido Craxi, i repubblicani di Spadolini.

C’era un tempo la politica del dopoguerra, fatta anche allora di privilegi ma con la consapevolezza di un ruolo pubblico da assolvere con compostezza e sobrietà.

Oggi è l’arroganza a metterci in guardia da questi personaggi, forti unicamente di un potere che è essenzialmente economico ma manca completamente di un’ideologia che possa aiutare a convogliare il consenso popolare, non sulla base delle logiche clientelari, ma esprimendo un consenso su una piattaforma programmatica che vincolerebbe (quanto meno sul piano formale!) le formazioni partitiche.

Ammettiamolo candidamente: la politica è ormai il lavoro di chi non ha mestiere e non può ambire ad altra occupazione, se non quella di predare le sostanze del popolo.

Rosy Bindi esce con le ossa rotte dall’assurdo siparietto con cui ha allietato gli spettatori di “Otto e mezzo”, trasmissione informativa de “La7″. Cerca giustificazioni, con la consapevolezza che la prossima volta il capro espiatorio potrebbe essere ricercato nelle fila di un partito a lei più vicino. Esprime una sorta di solidarietà corporativa, come quella che solo una casta potrebbe offrire. 

E’ favorevole al finanziamento pubblico, indispensabile perché (onore all’onestà intellettuale) non crede ai finanziamenti disinteressati dei privati, un tempo noti come tangenti. Nervosa, imprecisa, a tratti inadeguata: una novella “Capitana Schettino” che dovrebbe abbandonare la nave PD per garantire alla struttura una speranza di salvezza. Non è possibile, sostiene, fare politica senza finanziamenti: difficilmente sarebbe possibile organizzare incontri, feste, momenti di aggregazione partitica, fondamentali soprattutto in campagna elettorale!

La Bindi è come Apollo Creed: va al tappeto sotto i colpi incessanti di Rocky Severgnini, non regge il peso delle domande, si giustifica goffamente ma è la rete a demolirla.

Twitter è una fucina di insulti contro la presidente dello "pseudo" partito d’opposizione, oggi fedele alleato della "bank-o-krazia" montiana di Palazzo Kigi (il “K” iniziale non è un rigurgitobimbominchiesco).

Il popolo della rete non tollera l’arroganza con cui questa (e tanti altri) leader di partito pretendono di entrare in possesso di denari provenienti dai contribuenti, già ridotti alla fame dai provvedimenti fiscali adottati da un governo che è espressione del potere finanziario. La Bindi è una degna sostenitrice della politica dell’attuale esecutivo, degna esponente di un modo di fare politica che non appartiene più al mondo del 2012, inadeguato a tradurre in concreto le voci dei popoli indignati.

E’ forse il fallimento della democrazia rappresentativa? No, solo una ridefinizione delle modalità di rappresentazione che non devono rifarsi a vecchi imprenditori infoiati che vanno a caccia di minorenni o a parlamentari di lungo corso pronti a scaricare le responsabilità sulla prima trota (o vacca) espiatoria.

C’è una triste verità, purtroppo: dalla fine del secolo scorso si era intuita la necessità di “sudditare” la popolazione e sottometterla ai politici,"neoreucci” senza corona e per perseguire questo fine era indispensabile seguire la linea del partito a debole base ideologica, sul modello dei “parties” americani. Una serie di falsi centri aggregativi che nascondono poli di interesse economico e finanziario, idonei a mostrare i muscoli esclusivamente in occasione delle tornate elettorali, unico panorama politico rimasto ormai nelle agende dei segretari di partito.

Per superare il distacco avvertito tra cittadini e soggetti interlocutori in sede istituzionaleanche le denominazioni cercano di celare l’effettiva natura delle associazioni in questione, cercando di realizzare un’immedesimazione con i potenziali elettori o con richiami ad entità positive: popolo (delle libertà?), valori (quelli dell’Italia…), unione (di centro…). E poi alleanze (come quelle dei gangster che assaltavano la diligenza), riferimenti al futuro (che futuro potrà mai offrire chi è emblema di un passato non tanto remoto?), sempre e comunque con riferimenti costanti alla libertà che viene a ridursi sensibilmente giorno dopo giorno a causa della pressione fiscale e delle dissennate politiche sul lavoro.

La colpa dei partiti è di non essere riusciti a stare al passo coi tempi che cambiano, configurandosi unicamente come catalizzatori di interessi personali e particolari, dei leader e dei personaggi più in vista.

E intanto Don Ciotti fa il “qualunquista”, come ogni pezzente che vuole tenere alta l’attenzione sulle aperte questioni sociali che affliggono il paese: propone di devolvere i 100 milioni di euro della rata di luglio a finalità sociali più degne del tragico momento di emergenza sociale che stiamo vivendo.

Siamo in attesa delle sonore pernacchie che si leveranno dagli scranni dei palazzi del potere. E allora ci scopriremo un po’ tutti qualunquisti, ma fieri di esserlo.

 
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