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Rivoluzione russa: un nuovo interesse per la sua storia nel centenario

Si moltiplicano le iniziative che prendono spunto dal centenario della rivoluzione russa, riproponendo talvolta antiche calunnie ma anche - in casi più rari - rendendo un omaggio rituale a qualcosa che si dà per definitivamente sepolto e comunque irripetibile. Ma ci sono tracce di un nuovo interesse che si è manifestato in diverse case editrici e in alcuni storici che non si erano mai occupati del movimento operaio. 

Ad esempio la casa editrice Laterza ha affidato a Angelo D’Orsi il compito di una panoramica storica del 1917, L’anno della rivoluzione, nelle intenzioni decisamente favorevole alla rivoluzione bolscevica, di cui tuttavia stenta a cogliere la dinamica profonda, anche perché organizzata semicronologicamente in dodici capitoli per dodici mesi, in cui a volte gli accenni alle vicende russe finiscono per essere oscurate dalle ricostruzioni di altri eventi di quell’anno, dalla fucilazione di Mata Hari alle “apparizioni” di Fatima, dai dibattiti parlamentari in Italia o in Francia, alle battaglie combattute nel mare o nelle trincee. Questa impostazione fa sì che il rapporto tra la rivoluzione e l’orrore della guerra non appaia chiaramente come centrale. A tratti si rileva anche qualche ambiguità nell’affrontare il ruolo ipocrita di socialisti italiani ed europei, e qualche reticenza nell’inquadrare la Nota di Benedetto XVI alle potenze belliferanti. Ma non c’è dubbio che appena pochi anni fa un libro simile sarebbe stato impensabile.

Io, oltre a collaborare alla preparazione di un sito interamente dedicato alla rivoluzione russa, sono stato coinvolto nella preparazione di alcune iniziative editoriali (di cui parleremo più avanti), e naturalmente per questo sono andato anche a rileggermi alcuni degli scritti pubblicati sul mio sito. Oltre al testo semplice e lineare che avevo preparato per uno dei miei corsi universitari, e che grazie all’impegno di alcuni compagni è stato poi reimpaginato e reso più leggibile (Il vicolo cieco. Trionfo, involuzione e tragedia del movimento comunista), mi è parso ancora valido, più ancora dei molti che si concentrano esclusivamente sulle vicende di quell’anno, quello che forse è il mio libro più caro, Intellettuali e potere in URSS, un libro che ha a mio parere il pregio di ricondurre la rivoluzione del 1917 alle sue premesse nei sommovimenti della società russa nell’intero secolo precedente, anziché presentarla come una forzatura volontaristica di una minoranza.

Ho scelto una piccola parte dell’ampia Cronologia ragionata che completa quel libro, e che parte esattamente dall’incontro tra giovani aristocratici russi e le idee della rivoluzione francese. In genere la maggior parte dei libri dedicati alla rivoluzione bolscevica si concentrano sulla presa del potere, banalizzata poi nel linguaggio della ex sinistra pentita come “presa del Palazzo d’Inverno. Tra le ragioni della mia scelta di riproporre uno stralcio di alcune pagine cruciali di quel lavoro, c’è anche la constatazione che proprio la Cronologia aveva avuto sul sito un numero di visite molto inferiore al testo vero e proprio (anche se non trascurabile, 2739 contro 4425).

Dalla cronologia vera e propria, estremamente dettagliata e quindi piuttosto lunga, ho estratto per ora il periodo che parte dalle tragiche feste che dovevano celebrare l’ascesa al trono di Nicola II (Nicola l’ultimo…) e si conclude nella primavera del 1919, con la sconfitta della rivoluzione tedesca e della Repubblica dei Consigli ungherese ad opera della controrivoluzione preventiva che prefigura il fascismo, e impone un pesante e imprevisto isolamento alla rivoluzione sovietica. La cui involuzione successiva non va taciuta, certo, ma non può essere capita se si ignorano i pesantissimi condizionamenti del contesto europeo, in cui fu determinante la complicità di quasi tutti i partiti socialisti con i rispettivi imperialismi: non solo non avevano neppure tentato di fermare la guerra come avevano solennemente proclamato nei congressi dell’Internazionale socialista, ma si sono impegnati a fondo nei due decenni successivi per stroncare e soffocare i processi rivoluzionari, col risultato di facilitare l’ascesa del fascismo in Italia, in Germania, in Spagna e in gran parte d’Europa. Ma ritorneremo su questo, discutendo volta a volta le iniziative editoriali più o meno celebrative.

(7/1/2017 a.m.)

 

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Le premesse della rivoluzione russa

 

 

La formazione dell’intelligencija russa come strato sociale ben distinto e al tempo stesso caratterizzato anche da un orientamento politico relativamente omogeneo e fondamentalmente contrapposto al regime zarista può essere fatta risalire a periodi molto lontani dalla rivoluzione del 1917. In senso lato, l’avvio del processo può essere ricercato nel periodo delle guerre napoleoniche che, dopo le battaglie combattute nel 1812 su suolo russo, portarono molti ufficiali dello zar a contatto con diverse capitali europee e anche con le idee rivoluzionarie che avrebbero dovuto combattere. Già nel 1816, appena terminato il Congresso di Vienna, aveva inizio la cospirazione dei giovani ufficiali rivoluzionari, tutti di origine nobiliare, che doveva sfociare nel fallito tentativo di colpo di Stato dei Decabristi, nel dicembre 1825.

Il periodo 1825-1861 è stato caratterizzato da Lenin come «fase nobiliare» del movimento democratico russo. E’ infatti dall’interno della classe dominante che si levano voci duramente critiche nei confronti della «putrefazione» della Russia. A volte, attraverso il filtro della letteratura, che conosce una grande stagione, dal Che disgrazia l’ingegno! di Aleksandr S. Griboedov, all’Evgenij Onegin di Puškin dall’Ispettore generale alle Anime morte di Gogol’, dalle Memorie di un cacciatore di Turgenev all’Oblomov di Gončarov. Altre volte il messaggio è più direttamente politico, come nel caso delle Lettere Filosofiche di Pètr Jakovlevič Čaadaev, che furono scritte alla fine degli anni Venti e di cui si tentò la pubblicazione nel 1836, col risultato di una rapida chiusura della rivista che aveva osato pubblicare la prima Lettera, del licenziamento del professore che aveva incautamente dato il visto di censura e dell’internamento dell’autore (appartenente a una delle più note casate aristocratiche) come «malato di mente».

Anche i testi letterari venivano, d’altra parte, spesso storpiati dalla censura, quando non erano direttamente proibiti (ma non era difficile trovarli in versione integrale, trascritti a mano da uno stuolo di copisti, che ne sfornavano a migliaia per poche decine di rubli).

La crisi della società russa maturava tuttavia, indipendentemente dal rigore e dalla severità delle critiche mossele, a partire dalla contraddizione stridente tra i suoi ordinamenti anacronistici e l’incipiente sviluppo capitalistico. Intorno alla metà del secolo XIX si rivela assurda la pretesa di conservare immutata la servitù della gleba, magari aggiornandola attraverso la concessione in uso di manodopera servile alle prime industrie (col risultato che, già nel 1803, l’industriale Kosnov calcolava che una certa quantità di tessuto prodotta da un salariato libero veniva a costare nove rubli, mentre ne costava dieci se fatta da un servo della gleba: la bassissima produttività annullava il risparmio sui salari). La verifica più brutale viene dalla guerra di Crimea, che rivela l’inefficienza di un esercito basato su servi della gleba, comandati da ufficiali spesso corrotti o incapaci; le guerre successive (quella russo-turca del 1877-1878 e soprattutto quella col Giappone del 1904-1905) confermeranno che non basterà eliminare giuridicamente la servitù della gleba per trasformare la Russia e renderne efficiente e dinamico l’esercito.

La soppressione della servitù personale, nel 1861, accelera comunque lo sviluppo capitalistico. La Russia diviene la serra del capitalismo. Ma, come accade spesso nelle culture di serra, la rapidità e l’artificiosità della crescita nascondono squilibri e un'intrinseca debolezza. Il capitalismo in Russia brucia molte tappe, raggiungendo un’elevata concentrazione in alcune città, dove vengono introdotte tecniche di lavorazione e di organizzazione del lavoro avanzatissime (con un’alta incidenza dei grandi complessi che raccolgono molte migliaia di operai). I macchinari più moderni e costosi sono introdotti spesso prima che in altri paesi, ma quasi sempre gli alti costi sono sostenuti da società finanziarie straniere: la borghesia russa rimane estremamente debole economicamente e politicamente priva di iniziativa. Si rafforza invece il proletariato di fabbrica, concentrato in grandi aziende dove è vietata ogni organizzazione sindacale, ma nelle quali sarà più facile l’attività politica clandestina dei primi circoli socialisti.

I nuclei di oppositori al regime, formatisi ancora in gran parte all’interno della gioventù studentesca (che proviene in genere da famiglie borghesi o anche aristocratiche) tentano a più riprese di «andare al popolo», per sollevare le masse contadine più misere (le cui condizioni sono sostanzialmente restate immutate dopo la soppressione della servitù, perché la terra messa a disposizione è stata fatta pagare a prezzi esorbitanti, che hanno provocato indebitamenti cronici e, talora, la perdita degli appezzamenti ipotecati). Ma i giovani intellettuali cittadini, immersi per la prima volta nell’arretratezza delle campagne russe, non riescono quasi mai a comunicare, a farsi capire e a capire essi stessi la logica dell’alternanza di rassegnazione fatalistica e di esplosioni tremende che spazzano via in pochi giorni centinaia di palazzi signorili, incendiati dal «gallo rosso» [come veniva chiamata in Russia la rivolta contadina].

Così, dopo le «andate al popolo» del 1874 e 1875 e le migliaia di arresti e di deportazioni in Siberia, il rapporto tra i giovani intellettuali e il potere si sposta sul terreno del terrorismo. Decine di capi della polizia, di governatori, di ministri, vengono uccisi o feriti da attentati arditissimi. In alcuni casi l’opinione pubblica delle città non esita a manifestare clamorosamente la simpatia per i terroristi (come nel caso di Vera Zasulič, assolta da una giuria popolare nel 1878 e sottratta a furor di popolo a un nuovo tentativo di arresto). Nel 1881 a cadere sotto i colpi del terrorismo è lo stesso zar Alessandro II. La presenza di una giovane di origine ebraica tra i complici degli attentatori innesca la tragica serie dei pogrom che sconvolgono i ghetti sospingendo i giovani ebrei a ricercare la strada dell’autodifesa e del rapporto con le organizzazioni rivoluzionarie.

Il periodico succedersi di ondate terroristiche, spesso clamorosamente efficaci nel colpire i bersagli ma assolutamente incapaci di ottenere il benché minimo risultato politico, finisce per rafforzare le tendenze rivoluzionarie ispirate al marxismo che si organizzano nella clandestinità, conquistano nuclei importanti di classe operaia. Il consolidarsi, alla vigilia della rivoluzione del 1905, della frazione bolscevica toglie gradatamente spazio al terrorismo e all’estremismo velleitario ed esercita una notevole forza di attrazione sulle nuove leve di giovani intellettuali.

La rivoluzione del 1905, preparata dall’insensata avventura della guerra russo-giapponese, viene avviata da una manifestazione organizzata dal pope Gapon, che dalla polizia ha avuto il compito di sottrarre le masse operaie all’influenza bolscevica. Ma l’irrompere sulla scena politica di centinaia di migliaia di lavoratori spazza via, insieme al pope provocatore, anche la fiducia nella religione e nello zar (che era considerato tradizionalmente «amico del popolo», ma ingannato da perfidi collaboratori...). Lo scontro ormai sarà tra le varie tendenze del movimento operaio e un regime sclerotizzato e incapace di riformarsi.

 

Dal 1905, prova generale della rivoluzione, alla formazione del potere sovietico

 

Più o meno due mesi prima della Rivoluzione di Febbraio, in una conferenza alla gioventù socialista svizzera, Lenin aveva delineato lucidamente le caratteristiche essenziali del processo rivoluzionario che stava maturando in Russia. Tuttavia, pur non avendo dubbi nell’individuare la dinamica e le forze motrici della rivoluzione, il leader bolscevico era assai meno sicuro sui tempi. Così aveva concluso la sua esposizione con le parole: «noi vecchi non vedremo forse le battaglie decisive dell’imminente rivoluzione».

Non si trattava di un clamoroso errore, e neppure solo di prudenza nel formulare previsioni (Lenin non aveva dubbi che «i popoli d’Europa insorgeranno», analogamente a quanto aveva fatto il popolo russo nel 1905), ma di una comprensibile preoccupazione per la contraddittorietà della situazione, in Russia e nell’insieme dei paesi europei. Le condizioni per un’esplosione rivoluzionaria si erano evidentemente accumulate, ma la capacità del movimento operaio organizzato di condurre a un esito positivo i processi che si annunciavano era assai diversa da paese a paese e, nell’insieme, non incoraggiava previsioni ottimistiche, Nella maggior parte dei paesi belligeranti, Germania in testa, a opporsi alla guerra era ancora un nucleo esiguo e perseguitato di internazionalisti; nella stessa Russia, la forza dei bolscevichi, che si erano battuti fin dall’inizio decisamente contro l’intervento e avevano difeso senza mezzi termini la necessità di sabotare lo sforzo bellico e trasformare la disfatta in guerra civile, era estremamente ridotta: al momento del crollo dello zarismo i bolscevichi non raggiungevano la cifra di 24.000.

Il problema maggiore non era tuttavia quello numerico. L’eccezionale radicamento nelle principali fabbriche del paese, dove i pochi militanti che non si erano lasciati trascinare dal riflusso negli anni della reazione avevano acquistato una grande influenza sull’intera massa operaia, era controbilanciato da un’assenza pressoché totale di organizzazioni bolsceviche nelle zone rurali e questo si ripercuoteva anche sull’esercito, dove i socialrivoluzionari avevano l’egemonia tra i soldati, pressoché tutti di origine contadina (gli operai erano in genere esentati dal servizio militare per esigenze della produzione, o inviati prevalentemente nella marina, dove era necessario un livello tecnico e culturale superiore, per le esigenze delle moderne navi da guerra).

Nei primi mesi dopo la Rivoluzione di Febbraio apparve chiaro anche che l’Intelligencija che tante energie aveva fornito al movimento rivoluzionario, era ormai in pieno riflusso e, sostanzialmente appagata dalla fine dell’assolutismo zarista, non era particolarmente interessata alle proposte dei bolscevichi, era ostile anche ai menscevichi e ai socialisti rivoluzionari, orientandosi in maggioranza verso i «cadetti» (o costituzionaldemocratici, di tendenza liberale moderata).

La tradizionale arretratezza russa, che avrebbe posto tanti problemi ai bolscevichi al potere, giocava tuttavia a loro favore nei mesi tra il febbraio e l’ottobre del 1917. Ad esempio. la grande debolezza delle organizzazioni sindacali, pressoché inesistenti per la spietata repressione dagli anni precedenti era solo apparentemente un ostacolo. In realtà, come nel 1905, ma in modo più generalizzato, nel corso del 1917 la maggior parte dei lavoratori si organizza in consigli e comitati operai che danno vita a Consigli (Soviet) cittadini, estremamente più democratici delle strutture sindacali burocratizzate che si erano consolidate nei paesi in cui il movimento operaio aveva avuto possibilità di vita legale. Il caso limite era la Germania, col movimento operaio più strutturato e meglio organizzato, ma meno controllabile dalla massa degli iscritti (la «base»).

I soviet erano elettivi, ma i delegati erano anche revocabili in qualsiasi momento, dal basso come era accaduto nella Comune di Parigi e come Lenin sistematizza in Stato e Rivoluzione, proprio alla vigilia della presa del potere. Gli spostamenti di orientamento politico, di umore, di stato d’animo delle masse potevano così tradursi rapidamente in modifiche degli organi rappresentativi, anziché (come accade abitualmente nei partiti e nei sindacati rigidamente strutturati da una burocrazia sottratta a verifiche immediate) in delusioni, frustrazioni e abbandoni dell’impegno politico, magari preceduti da proteste clamorose quanto vane.

La storia della conquista del potere da parte dei bolscevichi, poche migliaia di individui in larga misura sconosciuti e circondati da un’ostilità implacabile da parte di tutti gli altri partiti, apparirebbe inspiegabile senza tenere conto delle differenze profonde tra il sistema dei soviet e qualsiasi meccanismo rappresentativo tradizionale basato sulla delega assoluta e irrevocabile per quattro o cinque anni. L’ascesa dei bolscevichi da gruppuscolo calunniato e perseguitato (Lenin fu accusato sistematicamente, anche con «prove» fabbricate dal governo provvisorio di essere un agente tedesco) a forza egemone dei soviet di Pietrogrado, Mosca e di tutte le città industriali russe, si spiega al tempo stesso con la grande capacità di cogliere i bisogni più sentiti dalle masse russe indipendentemente dal loro momentaneo orientamento politico e con la paziente tattica volta a mettere in contraddizione le masse operaie influenzate dai menscevichi o dai socialrivoluzionari con i loro dirigenti: tutto ciò era possibile solo in quell’eccezionale palestra di democrazia diretta che erano le tumultuose assemblee dei soviet.

Le assemblee di soldati, spesso erano influenzate dalla campagna antibolscevica, e votavano mozioni di fuoco contro i «traditori» che «pugnalavano alla schiena» l’esercito, ma subito dopo rivendicavano l’immediata conclusione della guerra a qualsiasi condizione e la ripartizione totale delle terre. Su questo terreno solo i bolscevichi si muovevano con decisione e senza mezzi termini, sapendo che in questo modo avrebbero finito per conquistare l’appoggio anche di chi, nei primi mesi del 1917, era stato convinto a combatterli.

A livello operaio era ancora più facile, perché il peso dei bolscevichi era in partenza maggiore, per il ruolo che avevano avuto nella proclamazione dei primi scioperi che avevano fatto cadere lo zar, per il prestigio accumulato negli anni più duri della reazione e del terrore, per la concretezza delle loro parole d’ordine: di fronte alla carestia, alla disorganizzazione del lavoro, all’arricchimento dei profittatori di guerra. all’indurimento delle condizioni di lavoro, avevano proposto e messo in pratica la riduzione immediata dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere, (mentre, per esigenze belliche a volte superava le 12!), il controllo operaio per identificare i profitti nascosti, per reperire i viveri imboscati dagli speculatori, per ricalcolare i prezzi in base a una logica diversa da quella del massimo profitto. Ma ancora più presa facevano le parole d’ordine più generali, che affrontavano i nodi del potere : la nazionalizzazione delle grandi industrie di interesse nazionale, delle banche (con l’abolizione del segreto bancario, che permetteva di nascondere i colossali arricchimenti di guerra) e, soprattutto, la rivendicazione del superamento del «dualismo di potere» (che contrapponeva al governo provvisorio, formalmente sovrano ma sostanzialmente impotente, il potere dei soviet, non previsti da nessuna costituzione, ma forti del consenso di larghissime masse di operai, di soldati e, in un secondo momento anche dei contadini) attraverso l’attribuzione di tutto il potere ai soviet.

È sintomatico che negli otto mesi che separano la formazione del governo provvisorio alla conquista, del Palazzo d’Inverno da parte dei bolscevichi, il loro peso politico sia aumentato pressoché ininterrottamente in tutti i rinnovi dei soviet delle grandi città mentre i menscevichi e soprattutto i socialisti rivoluzionari continuavano a essere nettamente maggioritari nelle votazioni di tipo tradizionale, tenutesi nello stesso periodo per eleggere consigli municipali e perfino nelle elezioni della costituente, tenutesi alla fine di novembre del 1917. La differenza tra i due tipi di votazione era sostanziale: per le Dume municipali o l’Assemblea costituente votavano indistintamente tutti i cittadini e pesavano ugualmente i voti di chi era impegnato attivamente nella vita politica frenetica, che si era sviluppata nelle grandi fabbriche e nelle unità militari e quelle di chi sonnecchiava in lontane cittadine di provincia, dove era arrivata a mala pena l’eco della cacciata dello zar; le elezioni dei soviet erano frequentissime, precedute da assemblee appassionate, nelle quali si confrontavano tutte le opinioni, si verificava il comportamento degli eletti, la loro rispondenza al mandato della base elettorale e, soprattutto. si teneva conto di tutto il comportamento precedente di chi doveva essere delegato, giacché c’erano anni o anni, o almeno mesi, di vita in comune, che avevano permesso una conoscenza approfondita (e una maturazione politica accelerata anche degli elementi più passivi e meno preparati). I soviet riproponevano una forma di democrazia diretta, che la lunga storia dell’umanità aveva conosciuto in rare occasioni, dopo la Polis greca.

La tragedia della rivoluzione russa, discende, tuttavia, proprio da questa contraddizione: i bolscevichi, estremamente minoritari, sono riusciti a egemonizzare la forza decisiva della rivoluzione, il proletariato delle grandi città, e a interpretare e rappresentare le ansie delle grandi masse contadine (rappresentate solo in parte dai soviet sorti nelle campagne e ben più spesso dai soviet dei soldati). Ma la loro forza, che consisteva nell’adeguare il loro programma e le loro parole d’ordine alle aspirazioni delle masse, diventava debolezza quando si trattava di organizzare stabilmente e di inserire in un progetto coerente quelle stesse masse. Già prima della conquista del potere, la prima crescita di influenza bolscevica nelle grandi città aveva rischiato di tramutarsi in una catastrofe: i nuovi adepti, entusiasti e impazienti, avevano forzato la mano, fino a ricercare a Pietrogrado nel luglio 1917 la strada di un confronto di piazza prematuro e isolato rispetto al resto del paese. I dirigenti bolscevichi avevano cercato di scoraggiare questa tendenza «avventurista» ma, una volta verificato il suo radicamento profondo nel proletariato pietroburghese si erano guardati bene dal salvarsi l’anima condannando il movimento solo perché lo ritenevano immaturo tatticamente. Così, il governo Kerenskij aveva colto l’occasione per far pagare cari ai bolscevichi tutti i successi precedenti e aveva attribuito le manifestazioni a un piano insurrezionale, per il quale vennero arrestati i principali dirigenti del partito, salvo Lenin, rifugiatosi in Finlandia.

Ben più grave quel che accadde ai vincitori dopo la conquista del potere (a Pietroburgo, in particolare, tanto facile da essere costata molto meno sangue di tante altre manifestazioni pacifiche dei mesi precedenti), quando si trovarono alla testa di un enorme paese, all’interno del quale erano organizzati quasi esclusivamente nelle grandi città industriali. Il successo era stato facilitato dalla decisione con cui i soviet già influenzati dai bolscevichi avevano preso l’iniziativa di fermare il tentativo di colpo di Stato reazionario del generale Kornilov, verso il quale Kerenskij, per le troppe complicità e ambiguità, era sostanzialmente impotente. I soldati, che capivano il significato di una dittatura militare guidata dall’ufficiale che aveva reintrodotto la pena di morte prima al fronte e dopo nelle retrovie; gli operai, che sapevano che un successo di Kornilov significava ritornare alle condizioni del terrore stolypiniano; i contadini, che avevano cominciato a prendersi le terre di cui il governo Kerenskij rinviava una ipotetica distribuzione, magari con indennizzo, a un secondo tempo, dopo la fine della guerra: tutti coloro, insomma, che la rivoluzione aveva risvegliato e mobilitato, si trovarono al fianco dei bolscevichi, anche se appena due mesi prima avevano creduto alle menzogne governative sul «complotto filotedesco» e avevano votato ordini del giorno di plauso alla messa al bando dei «sovversivi».

La forza decisiva, al momento dell’insurrezione, fu quella dei reggimenti chiamati inizialmente a Pietrogrado per ristabilire l’ordine e gradatamente conquistati alle tesi bolsceviche. La semplice concretezza delle due parole d’ordine bolsceviche, che si tramuteranno nei primi decreti del nuovo potere sovietico («pace subito» e «nazionalizzazione immediata di tutte terre», la cui divisione veniva affidata ai diretti interessati), rendeva irresistibile la loro proposta organizzativa : tutto il potere ai soviet! I soldati «votavano con i piedi», cioè decidevano concretamente la fine della guerra e, dopo le varie iniziative più o meno simboliche di fraternizzazione con i soldati tedeschi o austriaci, prendevano direttamente la strada di casa, per non essere tagliati fuori dalle divisioni delle terre, che in molti governatorati erano già cominciate assai prima del decreto del Consiglio dei Commissari dei Popolo (come si chiamò il primo organo di governo sovietico). Ma se al fronte o nelle caserme di Pietrogrado pochi militanti bolscevichi erano riusciti a orientare facilmente la maggior parte dei contadini-soldati, interpretandone le aspirazioni e traducendole in parole d’ordine precise, dopo lo sfaldamento definitivo delle armate sparse sull’immenso teatro di guerra la capacità dei bolscevichi di continuare a dirigere il movimento contadino si ridussero a poco o nulla.

Nei primi sei mesi di vita del potere sovietico, questo fu messo a dura prova non solo dall’aggressività dei nemici esterni, ma dalla difficoltà di continuare a mobilitare le stesse forze che avevano determinato i primi successi della rivoluzione. L’esercito si era liquefatto, ma non così gli eserciti delle potenze centrali (pur minati da profonde contraddizioni: nei primi mesi del 1918, un’ondata di scioperi in Germania e in Austria ebbe serie ripercussioni in diverse unità militari, soprattutto di marina). Così, dopo avere resi pubblici tutti i trattati segreti rinvenuti negli archivi dei ministero degli Esteri e avere rilasciato proposte per una pace immediata senza annessioni, i nuovi dirigenti sovietici si trovarono di fronte una prosecuzione dell’offensiva tedesca.

All’interno del Partito bolscevico — che, dal VII Congresso del POSDR ai primi di marzo del 1918, assunse il nome di Partito Comunista (bolscevico) di Russia — lo scontro sulla possibilità di tramutare la guerra in «guerra rivoluzionaria», come aveva fatto la Rivoluzione francese minacciata dagli emigrati e dalle altre potenze europee, venne risolto dalla constatazione che non c’erano più unità militari disponibili per rispondere a un appello per salvare la patria russa e la rivoluzione sovietica. Il trattato di Brest-Litovsk, firmato senza leggere il testo dai rappresentanti dello Stato sovietico (per sottolineare lo stato di costrizione in cui si trovavano), amputava la Russia di un territorio di un milione di chilometri quadrati, con oltre 50 milioni di abitanti. Lenin, più volte in minoranza nella discussione nel Comitato centrale bolscevico, aveva finito per prevalere (con la maggioranza di un solo voto, quello di Trotskij, inizialmente contrario all’accordo), sostenendo che occorreva comunque salvare la rivoluzione nel piccolo territorio in cui si era arroccata e che, in ogni caso, la rivoluzione imminente in Europa avrebbe permesso di rimettere tutte le carte in tavola in un contesto più favorevole.

Ma se era stato possibile arginare e battere l’opposizione interna al Partito, capeggiata dal giovane e brillante Bucharin, allora leader della corrente dei «comunisti di sinistra», ben più complesso era il problema di fare fronte all’ondata di indignazione suscitata da quel trattato in tutta la società russa, in particolar modo nelle componenti della sinistra non comunista dei soviet che, in misura diversa, avevano assicurato un certo sostegno ai bolscevichi.

Particolarmente tragica sarà la rottura col nuovo potere sovietico da parte dei « socialisti rivoluzionari di sinistra», che avevano accettato di entrare nel Consiglio dei Commissari del Popolo e che fornivano un’importante copertura politica al nuovo regime nelle campagne, tradizionalmente influenzate dai social-rivoluzionari, eredi dei populisti, che avevano dedicato per decenni la loro vita alla causa dei contadini senza terra.

I socialisti rivoluzionari di sinistra, dopo avere tentato un’impossibile alleanza con Bucharin, non si limitarono a passare all’opposizione, ma scatenarono un’offensiva terroristica, che si riallacciava alle loro vecchie tradizioni e nella quale recuperavano i contatti con l’altra ala del partito: ai primi di luglio, un social-rivoluzionario uccide il conte von Mirbach, ambasciatore tedesco, sperando di innescare in questo modo una ritorsione tedesca e, successivamente, la riscossa della «guerra rivoluzionaria» secondo il modello giacobino. In agosto, è lo stesso Lenin a essere colpito. Sopravvive all’attentato, ma la sua salute sarà fortemente indebolita, creando le premesse per la sua fine prematura.

Così i social-rivoluzionari passano, in pochi mesi, dal governo alle carceri sovietiche, mentre i bolscevichi rimangono soli alla testa del paese. Non era nel loro programma. La presa del potere non era avvenuta in nome del partito, ma dei soviet e se a partecipare al governo era stato solo il Partito social-rivoluzionario di sinistra, ciò si doveva al fatto che tutti gli altri partiti presenti nei soviet erano stati contrari a che questi ultimi assumessero il potere. Il «monopartitismo» non era affatto una questione di principio per Lenin e per gli altri marxisti rivoluzionari russi, che davano per scontato che il proletariato fosse rappresentato da diversi partiti e consideravano logica la ricerca di forme di collaborazione tra di essi. Ma, una volta isolati e mentre comincia a divampare la guerra civile, appoggiata da un gran numero di potenze straniere, i dirigenti del giovane Stato sovietico induriscono tutte le forme di repressione e cominciano a colpire sempre più duramente gli oppositori, ripercorrendo la strada di quei giacobini ai quali molto spesso si richiamavano, al punto di reinterpretare il presente alla luce degli «insegnamenti» della Rivoluzione francese.

La guerra civile è sorretta e alimentata dall’estero, d‘altra parte, ma trova anche un terreno più fecondo nelle contraddizioni del nuovo assetto sociale. I contadini, tra i quali i bolscevichi non sono mai stati presenti in modo sistematico e generalizzato, dopo avere beneficiato con entusiasmo del «decreto sulla terra», si sono guardati bene dall’accogliere le proposte di organizzarsi in forme associative e cooperativistiche tendenti a elevare la produttività : la fama secolare di terra si è tradotta in una frammentazione esasperata della terra coltivabile, che impedisce qualsiasi ammodernamento tecnologico. Venticinque milioni di piccoli appezzamenti forniscono, per la primi volta, di che sfamarsi ad altrettanti nuclei familiari. Ma non forniscono nulla di più. La grande maggioranza dei contadini russi, nel primo anno in cui ha la libertà di coltivare la propria terra, consuma tutto quel che produce e non fornisce nulla al mercato. Così la Russia, che negli ultimi decenni dello zarismo aveva un posto di rilievo tra gli esportatori di frumento, si trova a non potere soddisfare neppure il fabbisogno interno della città. Nel 1891 il ministro delle finanze, Vyšnegrandskij, aveva teorizzato: « Magari non mangeremo, ma dobbiamo esportare». Ora, finalmente, i contadini mangiano, ma non mangiano più gli abitanti delle città, in particolare la classe operaia giunta al potere. L’approvvigionamento delle città diventa sempre più drammatico durante l’inverno e la primavera del 1918 e spinge gli operai a cercare direttamente viveri con spedizioni nelle campagne che, agli occhi dei contadini, appaiono vere e proprie spoliazioni: buon grano contro pezzi di carta, che promettono un ipotetico pagamento in un futuro imprecisato. Di scambi in natura, non se ne parla: le fabbriche sono quasi tutte chiuse per mancanza di materie prime, per l’embargo decretato da tutta le potenze mondiali, per la difficoltà nei trasporti interni, per l’isolamento delle zone industriali, in genere sotto controllo sovietico, rispetto alle zone periferiche occupate dalle bande bianche, o dai corpi di spedizione stranieri.

Così, i contadini cominciano a ripetere la frase (riportata dallo stesso Lenin) : «i bolscevichi erano buoni, ma i comunisti sono insopportabili». Naturalmente, per la maggior parte dei nuovi proprietari, l’avversione nei confronti degli operai in cerca di cibo non fa dimenticare che i generali bianchi sono proprietari terrieri e che la loro vittoria rimetterebbe in discussione la riforma agraria. Così, quasi sempre, si limitano a difendersi localmente dalle bande bianche, o assumono atteggiamenti di neutralità armata (su cui nascerà un’effimera repubblica « verde », capeggiata dall’anarchico Machno) e solo in alcune zone, soprattutto cosacche, dove già esisteva una proprietà contadina abbastanza fiorente, appoggeranno per un certo periodo i controrivoluzionari. Ma in ogni caso, per i comunisti, i contadini non sono più degli alleati sicuri e spesso sono uno strato verso cui debbono muoversi con precauzione e sospetto. L’uscita dei socialisti rivoluzionari di sinistra dal Consiglio dei Commissari del Popolo avviene proprio all’inizio di questa difficile fase e contribuisce a indebolire (e a inasprire) i comunisti, che affrontano la questione contadina senza la mediazione di quegli alleati che avevano avuto inizialmente proprio la funzione di tramite verso le campagne.

Gli anni della guerra civile sono determinanti per l’involuzione della democrazia sovietica. Isolati in tutte le strutture del nuovo potere, i comunisti troppo spesso fanno di necessità virtù, teorizzando come ottimale la situazione in cui sono stati costretti: così comincia a nascere la concezione del partito unico (da allora dogma talmente indiscusso da fare ritenere incredibile che tale non fosse nel primo anno della rivoluzione). La censura, applicata inizialmente per ragioni di sicurezza, e che non escludeva la pubblicazione di organi di opposizione perfino in momenti drammatici come durante le trattative per la pace di Brest-Litovsk, diventa una norma ferrea, applicata da funzionari sempre più immedesimati nel proprio compito. La militarizzazione dalla società, avviata quando tutto era appeso a un filo e intorno all’Armata rossa si raccoglievano tutte le energie disponibili, diventa un’abitudine e un costume dal quale stentano a staccarsi migliaia di quadri di origine operaia che nell’esercito hanno fatto le loro prime esperienze di direzione. E il nuovo esercito rivoluzionario, per battere le formazioni «bianche» bene armate e bene organizzate dagli ufficiali zaristi e da quelli delle varie potenze che intervennero nella guerra civile, dovette a sua volta strutturarsi con criteri rigidi, sostituendo l’anarchia e lo slancio disordinato delle prime formazioni di guardie rosse con una disciplina ferrea (anche se ancora basata su un’elevata consapevolezza politica di tutti e su un profondo egualitarismo).

Il partito stesso si militarizza. Formalmente, ciò avverrà col Congresso del 1921, che sopprimerà «temporaneamente» il diritto di organizzare frazioni (che era sempre stato in vigore, sia negli anni della reazione zarista, sia nei primi difficilissimi anni di lotte per la sopravvivenza). Tuttavia, le necessità dello scontro spingono a un irrigidimento di fatto del regime interno al partito e, già nel 1919, su proposta di Zinov’ev, è comparso nello Statuto un paragrafo dedicato alla «disciplina». Oggi tale termine appare inseparabile dal modello che si dice «leninista»; eppure, fu introdotto solo due anni dopo la conquista del potere, per iniziativa non di Lenin, ma di un futuro oppositore: chiaramente ricalcava le esigenze di quel terribile periodo di guerra civile dall’esito tutt’altro che scontato.

Anche sul piano economico, la disorganizzazione provocata dall’infuriare delle battaglie, dall’interruzione dei trasporti, dalla penuria generalizzata, dall’inflazione galoppante, dalla sfiducia nella nuova carta moneta emessa dal potere sovietico, aveva determinato la sparizione pressoché totale dello scambio monetario, sostituito da forme primitive di baratto, o da spicciative confische da parte dell’esercito, Questo stato di fatto, tutt’altro che invidiabile, venne idealizzato dall’entusiasmo di Bucharin, che identificò nel nuovo assetto dell’economia una forma che prefigurava il lontano ideale dei marxisti e che venne pertanto chiamata «comunismo di guerra».

Ma, al termine della guerra civile quando sarà ristabilito il normale funzionamento dell’economia con la Nuova politica economica (NEP), quello che sarà veramente difficile rimettere in piedi sarà il sistema dei soviet, ridottisi in quegli anni a nomi senza alcuna corrispondenza con la funzione iniziale e svuotati di ogni reale potere, Sarà questo il prezzo più pesante pagato dalla Russia sovietica negli anni in cui la lotta per la sopravvivenza fu all’ultimo sangue. Sarà questa la premessa essenziale della trasformazione di una democrazia diretta avanzatissima in un regime oppressivo e poliziesco senza precedenti nella storia.

 

Cronologia (1894-1919)

*

 

1894 Muore Alessandro III . Subentra Nicola II , che sarà chiamato ben presto profeticamente «Nicola l’ultimo». Mediocre, indeciso e fortemente influenzabile dalla moglie e dal singolare guaritore, il «monaco nero» Rasputin, che spadroneggia a corte, Nicola II è del tutto incapace di comprendere l’ascesa del movimento rivoluzionario, che sarà spesso rafforzato proprio da decisioni irresponsabili dello zar e dei suoi stretti collaboratori. Un episodio accaduto in occasione dell’incoronazione (nel maggio 1896) appare emblematico del rapporto di Nicola II con i suoi sudditi: trecentomila persone si erano radunate per ricevere un panno, un rublo e un bicchiere con le insegne imperiali; ma, in seguito alla combinazione tra spinte inconsulte della massa e un maldestro servizio di polizia, la gente finì per accalcarsi in un fossato e ci furono tremila morti, soffocati o calpestati. Lo zar non mancò tuttavia, la sera stessa della tragedia, a un grande ballo in suo onore.

1895 Lenin fonda a Pietroburgo l’Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia.

1896 Maggio: importanti scioperi degli operai tessili di Pietroburgo.

1897 Settembre: nasce l’Unione generale socialdemocratica ebraica (Bund), che costituirà per molti anni un settore importante del proletariato organizzato nell’impero zarista.

1898 Marzo: I Congresso a Minsk del Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), che unifica la maggior parte dei circoli socialisti di orientamento marxista (compreso il Bund).

1900 Nasce il Partito socialista rivoluzionario, che raccoglie l’eredità dei populisti (ancora orientati in prevalenza verso il mondo contadino, e con un forte privilegiamento del metodo terrorista). Lenin, in esilio, pubblica l’« Iskra » (Scintilla).

1901 Febbraio: uno studente uccide il ministro dell’istruzione Bogolepov. Maggio: scioperi e manifestazioni.

1902 Continuano gli scioperi operai che si diffondono soprattutto nella Russia meridionale. Esce il Che fare? di Lenin.

1903 Luglio-agosto: Congresso di Londra del POSDR. Scissione tra rivoluzionari (bolscevichi) e riformisti (menscevichi).

1904 Guerra russo-giapponese. Iniziata con la certezza di spazzare via in poco tempo i «macachi» giapponesi dalla Cina orientale (nella quale la presenza russa è sempre più invadente, specialmente dopo la realizzazione della ferrovia transiberiana) si trasforma in una catastrofe che rivela la debolezza dell’impero russo. Nel dicembre 1904 capitolazione della base navale di Port Arthur; nel maggio 1905 affondamento della flotta del Baltico appena arrivata nel mar del Giappone.

1905 Gennaio: sciopero delle grandi officine metallurgiche Putilov a Pietrogrado, che si estende a tutta la città. Il 9 (22) gennaio (domenica di sangue), un corteo di 150.000 operai guidati dal pope Gapon, mentre tenta di presentare una blanda petizione allo zar, viene disperso a colpi di mitragliatrice (più di mille morti e duemila feriti). Successivamente si saprà che Gapon era al servizio della polizia e nel 1906 i socialisti rivoluzionari riusciranno a catturarlo e impiccarlo. La petizione era stata appoggiata da molti intellettuali prestigiosi tra i quali Maksim Gor’kij, l’accademico Arsen’ev e l’economista Annenskij. Il risultato della cieca repressione sarà un netto spostamento delle masse verso i partiti socialisti e la fine di ogni fiducia nello zar.

1905-1906 Nel corso del 1905 la rivoluzione si estende ulteriormente, organizzandosi intorno al soviet di Pietroburgo, presieduto da Lev Trotskij. Ammutinamento dell’incrociatore Potëmkin a Odessa.

Settembre: lo sciopero dei tipografi di Mosca diviene uno sciopero generale, che paralizza completamente la Russia.

Ottobre: lo zar emette un proclama, in cui tardivamente si dichiara disposto a concedere alcune libertà, compresa l’elezione di un parlamento (Duma). Nicola II non tarderà a rimangiarsi una dopo l’altra le promesse.

Dicembre: insurrezione di Mosca, repressa nel sangue. La prima Duma eletta nella primavera del 1906 sarà sciolta subito, nonostante il carattere poco rappresentativo dovuto ai criteri elettorali: i delegati di prima istanza rappresentano rispettivamente 2.000 proprietari terrieri, 7.000 cittadini, 30.000 contadini, 90.000 operai. Dal diritto elettorale sono esclusi i minori di 25 anni, gli studenti e i militari. I deputati sono eletti dopo tre successive elezioni di delegati di distretto e di governatorato.

Gli scioperanti nel corso del 1905 sono ben tre milioni (ma scendono a un milione nel 1906 e ancor più nettamente negli anni immediatamente successivi). Alla fine del 1905 viene decisa la riunificazione tra bolscevichi e menscevichi, che sarà ratificata nell’aprile del 1906 dal Congresso di Stoccolma.

1907 Netto riflusso della rivoluzione. Stolypin, presidente del Consiglio dei ministri, combina una spietata repressione (affidata a tribunali straordinari di guerra) con un tentativo di creare uno strato di contadini agiati che possano fornire una base sociale conservatrice al regime. Si facilita la privatizzazione delle terre appartenenti alle comunità di villaggio. L’operazione, sancita legalmente solo nel 1910, riuscirà solo in parte, ma provocherà un impoverimento della maggior parte dei contadini, e quindi preparerà l’esplosione di rivolte e occupazioni di terre che accompagnerà la rivoluzione del 1917 e spazzerà via anche molti dei medi proprietari creati da Stolypin. Anche la seconda Duma eletta nel 1907 risulta incontrollabile e viene rapidamente sciolta. La terza Duma sarà finalmente sicura: il rapporto elettorale è stato modificato al punto che bastano 230 proprietari terrieri per nominare un elettore di primo grado, mentre ai contadini ne occorrono 60.000 e agli operai 125.000. La maggioranza è assicurata alla destra e all’estrema destra (i cosiddetti «Cento Neri», specializzati nell’organizzazione di pogrom contro gli ebrei, e altre minoranze, oltre che in attacchi antioperai).

Dal 1907 Lenin è costretto, insieme a moltissimi altri militanti socialisti sfuggiti alle carceri e alla deportazione, a vivere in esilio, dove resterà fino al 1917.

1910 Le divergenze tra bolscevichi e menscevichi, accentuatesi nella fase di riflusso della rivoluzione, portano a una rottura che diventerà definitiva nel gennaio 1912.

1911 Settembre: viene ucciso Stolypin. La morte gli impedisce di verificare che le sue moderate riforme, combinate con il forte impulso dato da Vitte allo sviluppo dell’industria e delle ferrovie (da 20.000 km. nel 1892 a 64.000 nel 1913), ma anche con il cieco conservatorismo dell’autocrazia zarista, non hanno impedito l’ascesa di una nuova ondata rivoluzionaria,

1912 Elezione della quarta Duma. Non reputando sufficiente il filtraggio operato dal sistema elettorale, il governo organizza brogli clamorosi. Aumentano tuttavia i sintomi di una ripresa del movimento delle masse (mentre la maggior parte degli intellettuali sono in crisi e teorizzano variamente la fine del marxismo e del movimento operaio). Nella primavera uno sciopero degli operai addetti al lavaggio dell’oro nelle miniere della Lena viene represso, con 250 morti e centinaia di feriti. Il numero degli scioperanti, che si era ridotto a poche decine di migliaia negli ultimi anni, sale improvvisamente, raggiungendo nuovamente la cifra di 860.000 nel 1913, secondo le stesse statistiche ufficiali.

1913 I bolscevichi ottengono la maggioranza nel sindacato metallurgici di Pietroburgo. Il governo, che ha organizzato attraverso la polizia segreta e i «Cento Neri» molti pogrom, lancia una clamorosa provocazione antiebraica riprendendo l’antica calunnia sull’uccisione rituale dei fanciulli. Un operaio ebreo, Mendel Bejlis, viene accusato di aver ucciso un fanciullo cristiano, per usarne il sangue a scopi rituali. In realtà la polizia sa bene che il fanciullo è stato ucciso da criminali comuni (lasciati indisturbati per non turbare la montatura). Il processo si risolve in una sconfitta del regime, per l’assoluzione del Bejlis.

1914 Nei primi sei mesi, il numero degli scioperanti in Russia raggiunge un milione e mezzo. Nonostante l’impreparazione militare, la Russia entra nella guerra mondiale. In settembre, prima grande sconfitta ai Laghi Masuri. Il nome di San Pietroburgo viene russificato e diventa Pietrogrado.

1915 Nuove sconfitte russe. I tedeschi arrivano a Varsavia, Brest-Litovsk, Vilna. In settembre i socialisti europei contrari alla guerra (ancora molto pochi) si riuniscono a Zimmerwald, in Svizzera. Lenin propone di trasformare la guerra in guerra civile, ma rimane nettamente minoritario.

1916 Il consigliere dello, zar, il «monaco nero» Rasputin, è ucciso da una congiura nobiliare (viene considerato ispiratore della politica filotedesca della zarina). L’inflazione e la carestia raggiungono livelli altissimi e provocano proteste operaie, nonostante lo stato di guerra. Le spese di guerra sono passate da 1.234 milioni di rubli nel 1914 a 14.573 milioni di rubli nel 1916. L’indice dei prezzi è passato da 238 (1 gennaio 1916) a 702 (1 gennaio 1917), considerando 100 i prezzi dell’ 1 luglio 1914.

1917 9 (22) gennaio: grandi manifestazioni celebrative dell’anniversario della «domenica di sangue», organizzate dai bolscevichi, si tengono in tutte le grandi città russe. 18 febbraio (3 marzo): «sciopero all’italiana» (rallentamento della produzione) nelle officine Putilov contro il carovita e alcuni licenziamenti. La direzione chiude la fabbrica il 22 febbraio, gettando sul lastrico i 30.000 dipendenti. Scioperi di solidarietà si allargano a macchia d’olio a tutta Pietrogrado.

23 febbraio (8 marzo, giornata internazionale della donna), sciopero generale delle operaie «contro la fame, la guerra, lo zarismo». I cosacchi rifiutano di sparare: è l’inizio della «Rivoluzione di Febbraio» [Nella fase successiva si riporteranno, per semplificazione, solo le date del calendario gregoriano usato in Europa e in gran parte del mondo, senza tener conto del «vecchio calendario», che sarà definitivamente abolito dal governo sovietico nel febbraio 1918].

15 marzo : abdicazione dello zar. Il soviet di Pietrogrado emana l’ordine n.1 sulla costituzione dei comitati militari elettivi, che provocherà furiose reazioni tra gli alti ufficiali.

24 marzo : il soviet di Pietrogrado impone la giornata lavorativa di 8 ore, che già in molte fabbriche è stata realizzata di fatto dagli operai, con l’uscita in massa allo scadere dell’ottava ora.

17 aprile: Lenin, appena giunto a Pietrogrado, presenta le Tesi d’aprile, che sconfessano la politica conciliante seguita fino a quel momento dei bolscevichi: le tesi saranno approvate dopo dieci giorni di discussioni appassionate e comporteranno la fine dell’appoggio al governo provvisorio e la preparazione del partito a una prospettiva di presa del potere da parte dei soviet.

17 maggio: Trotskij giunge a Pietrogrado, concludendo rapidamente un accordo per la confluenza del suo gruppo nel Partito bolscevico, da cui, dopo le Tesi d’aprile, non lo divide più nulla.

16 giugno - 8 luglio: I Congresso panrusso dei soviet. Su 822 delegati, solo 105 sono bolscevichi (285 sono socialisti rivoluzionari, 248 menscevichi).

16-17 luglio: manifestazioni contro la guerra a Pietrogrado («giornate di luglio»). Nei giorni successivi la repressione costringe Lenin all’esilio in Finlandia e porta Trotskij e altri leader in carcere.

20 luglio: il Primo ministro, principe L’vov, dà le dimissioni e il socialista rivoluzionario Kerenskij ne prende il posto. Il 25 luglio viene ristabilita la pena di morte al fronte, che il 16 agosto viene estesa dal generale Kornilov anche alle retrovie.

7 settembre: colpo di Stato del generale Kornilov, bloccato sul nascere dai bolscevichi. Il 13 settembre, sconfitta definitivamente la rivolta, emerge clamorosamente lo spostamento nei rapporti di forze a favore dei bolscevichi: il soviet di Pietrogrado approva (con 279 voti a favore, 115 contro e 50 astensioni) una risoluzione bolscevica sul potere agli operai e ai contadini. Kerenskij, rimesso provvisoriamente in sella dalla sconfitta di Kornilov, è costretto a proclamare la repubblica (fino a quel momento la forma istituzionale era rimasta in sospeso, più per mancanza di disponibilità di principi di sangue reale ad assumere la reggenza al posto di Nicola II che per volontà dei governo). In quegli stessi giorni i bolscevichi conquistano la maggioranza anche nel soviet di Mosca e in numerose altre città decisive.

20 ottobre: apertura di un artificioso «preparlamento», voluto dalle forze moderate. I bolscevichi, dopo una dichiarazione di Trotskij, abbandonano la seduta. Il 23 ottobre il Comitato centrale bolscevico decide di preparare l’insurrezione armata, che viene affidata a un Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado, con a capo Trotskij.

29 ottobre: Kamenev e Zinov’ev criticano la decisione dell’insurrezione sul giornale «Novaja žizn’», diretto da Maksim Gor’kij. L’indisciplina clamorosa e pericolosa (anche se il governo è talmente privo di basi reali, che non riesce a fronteggiare il pericolo con misure concrete) provoca il furore di Lenin, che minaccia l’espulsione dei due dal partito (ma subito dopo la vittoria dimentica il pur grave dissidio e utilizza a fondo i due dissenzienti nelle massime cariche del partito o dello Stato).

7 novembre: «Rivoluzione d’Ottobre». Lenin, rientrato clandestinamente in città da un mese, riappare pubblicamente con un discorso al soviet di Pietrogrado, che getta lo basi del nuovo potere; le guardie rosse intanto assaltano il Palazzo d’Inverno, arrestando alcuni ministri e sciogliendo il governo, mentre Kerenskij fugge vestito da infermiera e sotto la protezione di un’automobile diplomatica con bandiera americana. Il giorno successivo, il II Congresso dei soviet approva i decreti sulla pace e sulla terra. Si forma il Consiglio dei Commissari del Popolo, che svolge le funzioni di governo rivoluzionario. Nel primo mese vengono emanati i decreti sul controllo operaio, sull’istituzione della Ceka (l’organo speciale che deve combattere la controrivoluzione) e del Consiglio superiore dell’economia nazionale (Vesezcha). Inizia la pubblicazione di tutti i trattati segreti stipulati durante la guerra dalla Russia o da potenze alleate che ne avevano informato lo zar (come l’accordo Sykes-Picot, con il quale Gran Bretagna e Francia si impegnavano a spartirsi il Vicino Oriente dopo la fine dell’Impero ottomano).

22 dicembre: iniziano a Brest-Litovsk le trattative per l’armistizio tra Russia e Imperi centrali.

1918 Gennaio: dopo alcune settimane di difficili discussioni, alle delegazioni presenti a Brest-Litovsk giunge notizia di violenti scioperi in Austria e in Germania, con parole d’ordine contro il carovita, la guerra e le inique condizioni che si vorrebbero imporre alla Russia sovietica. Il 20 gennaio Trotskij abbandona le trattative, puntando su una soluzione politica che veda entrare in scena le masse operaie tedesche e austriache. Gli scioperi, partiti per iniziative di quadri locali, sono stati però soffocati in breve dalle direzioni socialdemocratiche, che hanno aderito formalmente alla protesta solo per incanalarla e concluderla rapidamente. Alla ripresa delle trattative, le pretese tedesche sono ancora più dure e, dopo una breve rottura, il 3 marzo viene concluso un trattato di pace che toglie alla Russia un terzo delle regioni agricole e della popolazione, più di quattro quinti delle miniere di carbone, oltre metà degli impianti industriali. I confini sono molto vicini a quelli dell’antico granducato di Moscovia. Per protesta, i socialisti rivoluzionari di sinistra escono dal governo e cominciano un’opposizione sempre più violenta.

13 gennaio: si apre l’Assemblea costituente, nella quale i bolscevichi sono in minoranza; il partito più forte è quello socialista rivoluzionario, ma le elezioni sono avvenute subito dopo la sua scissione, che in molte zone non è neppure stata portata a termine, sicché i vecchi notabili della destra sono in maggioranza (all’opposto di quel che accade nei soviet delle principali città e dell’esercito). I menscevichi sono ridotti ai minimi termini. L’Assemblea costituente viene sciolta dai bolscevichi due giorni dopo, senza resistenza, mentre viene convocato per il 23 gennaio il III Congresso panrusso dei soviet, che registra pienamente gli spostamenti dei rapporti di forza avvenuti nel paese e approva tutte le risoluzioni respinte dall’Assemblea costituente.

Marzo: il III Congresso dei soviet ratifica il trattato di Brest Litovsk. Il VII Congresso del POSDR cambia il nome del partito, che diventa Partito comunista (bolscevico) di Russia.

Aprile: truppe tedesche entrano in Finlandia, che è ormai indipendente, ma nella quale si delinea una rivoluzione socialista. D’altra parte, nonostante il trattato di pace, le truppe tedesche sono avanzate in molte zone ben oltre la linea di spartizione originaria, soprattutto in Ucraina. Truppe giapponesi (alleate dell’Intesa) occupano parte della Siberia, col pretesto di premunirsi nei confronti della Germania, con il consenso e poi l’appoggio materiale degli Stati Uniti. Le truppe tedesche continuano ad avanzare, appoggiando vari generali zaristi che costituiscono governi locali. Anche gli ex prigionieri di guerra cecoslovacchi presenti sui territorio russo, armati dall’Intesa, attaccano il governo sovietico e appoggiano un governo provvisorio costituito in Siberia (in luglio, sarà proprio il loro avvicinarsi a Ekaterinburg, dove è detenuto Nicola II, a spingere il corpo di guardia a fucilare l’ex-zar con tutta la famiglia).

6 luglio : l’ambasciatore tedesco von Mirbach è ucciso da un giovane socialista rivoluzionario. Tentativo di rivolta socialrivoluzionaria, subito repressa con una vasta mobilitazione popolare.

Agosto: sbarco di truppe britanniche a Baku e statunitensi a Vladivostok.

30 agosto: Lenin viene gravemente ferito in un attentato social rivoluzionario. Lo stesso giorno viene ucciso a Pietrogrado il dirigente bolscevico Urickij, mentre poco prima era stato assassinato Volodarskij. Per reazione, molti intellettuali critici nei confronti del regime, a partire da Maksim Gor’kij, attenuano l’opposizione e si dichiarano disponibili a collaborare per salvare la rivoluzione.

10 settembre: prima vittoria significativa, a Kazan’, dell’Armata rossa organizzata da Lev Trotskij (che passerà quasi senza interruzione gli anni della guerra civile a bordo del leggendario treno blindato con il quale il comando rivoluzionario si sposta su tutti i fronti). In settembre nuove forze statunitensi sbarcano a Vladivostok e ad Arcangelo. Mentre la guerra mondiale continua, tutti i contendenti trovano un po’ di energie per spedire corpi di spedizione contro la giovane repubblica sovietica. Tuttavia, l’intervento rimane sempre circoscritto a ufficiali superiori, per il rapido contagio delle idee rivoluzionarie tra i soldati (in particolare, nella flotta francese del Mar Nero ci sarà una vera e propria rivolta nell’aprile 1919).

Ottobre : le truppe degli Imperi centrali arretrano su tutti i fronti, mentre aumentano le manifestazioni indipendentiste in molte città, da Praga a Zagabria, da Varsavia a Lubiana, e mentre gli stessi esponenti ungheresi prendono le distanze dal governo austro-ungarico. Vani tentativi di democratizzazione dell’Impero germanico con la nomina a cancelliere di Max von Baden, considerato pacifista e di quello austro-ungarico, con promesse generiche di autonomie per i popoli che stanno, di fatto, conquistandosi l’indipendenza totale.

Novembre: agli inizi del mese la rivoluzione divampa in Germania, alimentata da una rivolta della flotta del Baltico, che rifiuta di prendere il largo per un assurdo suicidio deciso dall’ammiragliato; in Austria la forza decisiva che spazza via l’Impero è la ribellione delle nazionalità oppresse, che si combina con l’opposizione tenace degli operai. Vengono proclamate repubbliche in Germania, in Austria, in Ungheria, in Cecoslovacchia. Ovunque le classi dominanti, terrorizzate dal «modello russo», offrono spazi di compartecipazione subalterna ai dirigenti socialisti, che accettano e si impegnano soprattutto a evitare la generalizzazione e il coordinamento dei Consigli operai, sorti ovunque sul modello dei soviet russi (ma che rimangono attivi solo a livello locale, per mancanza di centralizzazione).

Nello stesso mese, sbarco anglo-francese a Odessa e Sebastopoli, mentre in dicembre la Romania occupa la Bessarabia.

1919 Gennaio: una manifestazione insurrezionale spontanea, alla quale partecipa il giovanissimo Partito comunista di Germania (spartachista), viene repressa nel sangue. Uccisione di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, insieme a centinaia di quadri sperimentati. Le giovani leve del partito, nei mesi successivi, cadranno spesso in provocazioni governative e subiranno colpi durissimi, che renderanno sempre più difficile la rivoluzione in Germania. La maggior parte degli operai rivoluzionari, nel 1919 e nel 1920, pur staccandosi dal vecchio Partito socialdemocratico (che collabora senza ritegno a reprimere le agitazioni e organizza, dal governo, l’armamento di bande armate, i «corpi franchi», composte da ufficiali reazionari e da avventurieri prezzolati disposti a sterminare i militanti di sinistra), esita e rimane in una posizione ambigua. La maggior parte degli operai rivoluzionari aderiscono all’effimero Partito socialista indipendente, nato per protesta contro la guerra, ma diretto da elementi oscillanti (i «centristi»), altri fanno capo a gruppi locali autonomi, che non pesano a livello nazionale. La maggior parte di loro raggiungerà il Partito comunista solo alla metà degli anni Venti, quando saranno state sprecate molte occasioni, con iniziative avventate e minoritarie, e quando sarà mutato il punto di riferimento internazionale, per l’involuzione burocratica del gruppo dirigente sovietico e del Comintern.

2-6 marzo: Congresso di fondazione della III Internazionale (Comintern). I delegati sono pochi e scarsamente rappresentativi. In particolare, il delegato tedesco ha avuto mandato dal partito di dichiarare prematura la costituzione di un’Internazionale comunista, ma finisce per farsi trascinare dall’entusiasmo provocato da notizie (poi risultate esagerate) sulla rivoluzione in Austria.

21 marzo: nasce in Ungheria una Repubblica dei Consigli, guidata dal comunista Bela Kun, in carcere fino al momento della sua chiamata al governo. Fusione tra il Partito comunista e quello socialista di Ungheria. Eccessi estremistici, criticati da Lenin, indeboliscono il consenso intorno alla giovane repubblica, che sarà stroncata da interventi stranieri (soprattutto rumeni) ai primi di maggio. Analoga sorte (ma la repressione è organizzata dai «corpi franchi » promossi dal ministro socialista Noske) avrà la Repubblica dei Consigli sorta in Baviera ai primi di aprile. I socialisti austriaci, pur essendo guidati da una corrente di sinistra, hanno evitato di sostenere concretamente le due rivoluzioni nei paesi vicini mentre i sovietici non hanno potuto assicurare alcun aiuto, perché seriamente minacciati dall’esercito bianco di Kolčak sul fronte orientale e da quello di Judenič, giunto alle soglie di Pietrogrado e spalleggiato da truppe finlandesi.

Per la rivoluzione sovietica, il maggio 1919 segna una tragica verifica dell’impossibilità di rompere l’isolamento. I due anni successivi confermeranno che anche in Italia, in Francia, in Gran Bretagna la rivoluzione è sempre più lontana. Per i bolscevichi, estremamente consapevoli dell’arretratezza russa e che ritenevano avere creato una base di partenza per la rivoluzione europea (che avrebbe dovuto vedere alla sua testa il proletariato più esperto e organizzato, cioè in primo luogo quello tedesco), è l’avvio di un riflessione che avrà effetti laceranti. (a.m. 1986)

 

Foto: Wikimedia

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