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Rivivere il mito oltre il mito "Gli Angeli": la mostra di Roberto Vedova a Napoli

Un artista, i suoi viaggi, gli incontri, le sofferenze, i sogni, gli scontri, la sua vita, il sunto di una intera esistenza dedicata all’arte, il tutto proiettato all’interno della nuova personale di Roberto Vedova pittore, grafico e ceramista partenopeo in mostra presso la chiesa di San Gennaro all’Olmo a Napoli, intitolata Rivivere il mito oltre il mito “Gli Angeli”.

In occasione di questo grande evento abbiamo incontrato l’artista e l’abbiamo intervistato. Ascoltando le sue parole, si viene catapultati in un mondo che è quello interiore del maestro, ma che diventa un po’ un universo romantico in cui ogni uomo inizia a riscoprire se stesso, le proprie radici e la propria storia, una sapiente esperienza e tecnica sviluppatasi negli anni. L’artista è infatti attivissimo nel suo campo, ha esposto in oltre 70 mostre personali e 200 nazionali ed internazionali, con moltissime recensioni e pubblicazioni su varie riviste. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia, Europa, America ed Oriente.

Chi è Roberto Vedova? Ci parli della sua vita personale e professionale.

"Sono nato a Napoli il 13 maggio 1944, da sempre ho avuto la passione per l’arte, dai primi anni in cui ho frequentato il liceo artistico a Napoli, contro la volontà della mia famiglia, sino agli anni dell'Accademia di Belle Arti e della Facoltà di Architettura. Nel '68 ho vinto la cattedra di pittura all'istituto d'arte di Avellino e sono stato docente per 10 anni, poi mi sono trasferito a Sorrento vivendo lì per 8 anni, dipingendo e creando opere, finché per motivi di salute ho dovuto sospendere l'insegnamento ed andare in pensione nel 1992".

Quanto è difficile al giorno d’oggi essere artista?

"Essere artista è complicato, un artista per poter essere tale deve avere dentro di sé forti emozioni, sentimenti e deve soprattutto esprimere se stesso, il problema di essere artista nasce anche dall’aver dentro la sofferenza ed essa scaturisce dalle esperienze della vita”.

La sua è stata una vita difficile? 

“La mia è stata una vita difficile, durante gli anni del liceo per comprarmi il colore o la colla per impastare le opere scendevo dal Vomero a piedi, non prendevo l’autobus per risparmiare 20, 30 lire, non mangiavo nell’intervallo e quei pochi soldi li conservavo per l’arte. Ho avuto problemi di salute che mi hanno provocato sofferenza. L’artista è colui che soffre, ma che riesce a tirar fuori la forza per creare, ho prodotto molte opere in quel periodo e facevo mostre con i miei professori. A Napoli non c’erano mercanti per risolvere i problemi economici degli artisti. Molti pittori napoletani in quei tempi sono andati all’estero, io a 24 anni ero possessore di una cattedra e per non perdere l’unica fonte di reddito che avevo non mi sono spostato. Quando i miei problemi di salute sono peggiorati ho abbandonato il lavoro per andare in pensione: quello è stato il momento in cui ho deciso di andare all’estero e di portare con me la mia arte”.

Com’è iniziata la sua esperienza all’estero? 

“Ho organizzato una mostra ad Assisi in una bella galleria del 500 e lì ho incontrato una persona che possedeva un atelier in Svizzera, mi ha invitato ed io ho accettato. Ho allestito mostre a Zurigo, a Ginevra, ho incontrato galleristi che mi hanno dato la possibilità di partecipare ad una esposizione in cui ho avuto l’onore di mostrare le mie opere insieme a quelle di Picasso, Andy Warhol e Dalì. Successivamente mi sono recato anche in Slovenia, Germania, Olanda, America ed Oriente”.

Dopo l’esperienza all’estero è dovuto però rientrare in Italia ed in particolare ad Ischia in cui ha soggiornato per ben 5 anni. 

“Sono dovuto rientrare per problemi familiari, mia madre era gravemente malata e dopo la sua morte mi sono ritrovato in una brutta situazione con dolori alla schiena e per questo sono approdato ad Ischia per curarmi con le acque termali. Sull’isola ho vissuto per 5 anni in una casa che era il mio studio, il mio atelier in cui ho lavorato per molte opere, Ischia mi ha ispirato ed ho allestito diverse mostre. Andavo a disegnare a Villa Arbusto, ai Maronti, mi muovevo per l’isola prendendo appunti ed uscivano fuori lavori particolari. L’ultima mostra che ho fatto è stata quella al Museo di Villa Arbusto intitolata "Mediterraneo. Terra, fuoco, mare, vento. Rivivere il mito oltre il mito", ed è stata l’ultima, poi mi sono dovuto fermare per motivi familiari e di salute”.

Quando ha sentito il bisogno di rivolgere il suo sguardo pittorico sulla classicità e il mito?

"Il recupero della classicità avviene negli anni 60, un percorso che è venuto fuori nel tempo, ho riscoperto la figura dell’uomo nei suoi rapporti con il mito. La mitologia diventa un elemento fondamentale non per raccontare la storia del passato, ma per riproporla ai tempi nostri. Ogni opera è poesia fatta in linee e colori, è un ritorno di personaggi che riaffiorano dal passato: Penelope, Ulisse, Pegaso e Icaro e il fuoco e la terra rappresentata attraverso corpi di uomini o donne, supine, sdraiate, in attesa, in immagini frementi di luce, tra le onde fluttuanti del mare, di fronte ad una natura di scenari rigogliosi e romantici al contempo”.

Il ciclo di Ulisse e Penelope, che cosa rappresenta?

"Ulisse e Penelope sottolineano il rapporto tra l’uomo e la donna, l’uomo che vuole fuggire ed andare lontano e la donna che resta con i problemi a casa con la famiglia, un processo evocativo che conduce il visitatore ad immedesimarsi nella storia di un uomo chiamato “Nessuno” sconosciuto persino ai suoi affetti cari e in quella di Penelope, la “donna che sa pazientemente attendere e amare”.

La sua pittura è divisa in varie fasi, ce le vuole delineare?

"Ho vissuto il terremoto negli anni 80, in quel periodo sono nate “Le maschere” che rappresentano la tragicità della vita con un fondo colorato, le opere dopo il '91 presentano le metamorfosi, il segno è molto pulito e sono nate in un momento della mia vita sereno mentre ad Ischia il paesaggio si è liberato. Poi c’è stata la riscoperta del mondo classico e del mito, infine lo studio di Icaro e gli Angeli. Un simbolo ricorrente nei miei quadri è un libro aperto che rappresenta la vita, quando quel libro non comparirà più allora anche io non ci sarò, ma resterà sempre viva la mia arte".

Ci parli della sua nuova mostra. 

“Questa mostra è dedicata a mio fratello che è venuto a mancare da poco, l’avevo organizzata per lui, ma non sono riuscito a fargliela vedere, spero che la vedrà dall’aldilà. Essa riprende un ciclo di 10 anni dal 2000 al 2010 e le opere sono unite da un filo conduttore “Gli angeli”. Una figura ricorrente è quella dell’angelo o “Icaro” che rappresenta una immagine a sè, staccata dal contesto. Un angelo posto di spalle che mette in bella mostra le sue ali e che guarda avanti a sé pronto a spiccare il volo. Nel '91 dopo un peggioramento del mio stato di salute, ho avuto il famoso “buco nero”: ho vissuto il coma, ho avuto la sensazione che il mio corpo se ne andasse, sono restato solo spirito. Dopo essermi ripreso è nato il ciclo pittorico degli angeli. L’Angelo non è l’ angelo religioso, ma è la figura di un uomo o una donna che lascia il corpo e diventa spirito, i miei quadri sono trasparenti, sembrano cristalli, immagini di una cultura storica che ho recuperato come una sorta di rinascimento, la parte classica vista in chiave moderna. Il tema degli angeli nasce da una mia convinzione che qualcuno mi protegga. Io sono molto credente”.

C’è qualche opera in esposizione a San Gennaro a cui si sente molto legato? 

“La porta del sole" ha una forma di arca che diventa una vela, una nave esposta al tramonto, creata a Venezia. Di fronte all’opera c’è un cristallo rettangolare, un concetto importante rappresenta la porta dove sono disegnate in una fusione di piombo delle immagini che rappresentano la vita, simbologia e reale che si fondono: la lampada che è la luce, la fontana che rappresenta la purezza, oggetti reali, la proiezione dell’immagine di questa lastra sulla luce fa ombra al sole. L’uomo vuole arrivare chissà dove e trovare un infinito, mentre il sole proietta l’immagine della luce sul cristallo attraverso questa porta vetrata che rappresenta la luminosità che si ha dentro, in effetti diventa una specie di nave che viaggia come metafora di un viaggio personale, spirituale”.

Cosa è per lei l’ispirazione?

"Per i greci l’ispirazione era il soffio divino, per me è isolamento, il momento in cui sei etereo e sollevato è li che si percepisce il soffio".

Quanto è importante il colore? 

“E’ importantissimo. Il colore è la lettura di quello che tu pensi, in un’opera si collimano gli elementi, colore, sensazione ed emotività; è la linea che ti permette di scrivere, la poesia diventa colore, la musica diventa colore. Il colore è la musicalità, è la sensazione della gente che si ritrova in un quadro. L’osservatore non può che restare attratto dalla magia del colore confuso dalle cromie dell’arancio, del giallo, l’azzurro del mare, il verde, il rosso, in colori carichi e vivi che riaccendono in lui un fuoco divino".

Progetti per il futuro?

"Sto scrivendo un memoriale che è una sorta di testamento spirituale ai posteri sulla mia arte, sui miei viaggi in cui ho incontrato artisti famosi ed ho vissuto situazioni particolari, il libro è intervallato dalla forte presenza critica di Michele Prisco, Luigi Ammendola, tutto questo sarà sistemato, periodo per periodo, con le opere che ho proposto al pubblico negli anni”.

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