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Riccardo Iacona e Michela Murgia insieme a Sassari

Riccardo Iacona e Michela Murgia insieme a Sassari. Il cronista scrittore e l'autrice di Accabadora in una appassionata Presa Diretta sul femminicidio. Insieme si può. Più che uno slogan di breve durata, il concetto cresce seppure con difficoltà acclarate, con eloquenti segnali che ne incoraggiano il cammino.

L'appuntamento di venerdì sera (19 aprile) al teatro Verdi di Sassari, è una tappa importante non solo per la grande partecipazione di cittadini e lettori. Prende spunto dalla presentazione letteraria per aprire menti e cuori su un tema essenziale, di straordinaria gravità della nostra società italiana. Sul palco Michela Murgia, presentata da Tiziana Marronci, intervista e dialoga con Riccardo Iacona. Il suo ultimo libro “Se questi sono gli uomini” (edizioni Chiarelettere), in uscita nello scorso ottobre, illumina anfratti oscuri e sinistri sul fenomeno tutto nostrano del femminicidio. Trattare questa materia è impresa titanica che non può ridursi all’analisi, per quanto cruda e dura, di una serie di omicidi attinenti la cronaca nera. I numeri di quest’ultima riferiti al 2011, riguardanti le donne vittime della violenza maschile, mietono cifre neppure certe (137 omicidi il dato ufficiale), in quanto non risulta un osservatorio nazionale attendibile. Fra le innumerevoli associazioni di settore, sempre più strette in una rete di solidarietà e mutuo intervento, Sassari scende in campo con la Rete delle Donne. Che per questo evento con i librai e i lettori aderenti a Liberos, promuovono una sottoscrizione libera a favore della associazioni locali che forniscono supporto alle donne e ai minori vittime di violenze: Aurora, Acos e Aied.

“Molte donne che muiono non le contiamo” ricorda la Murgia nell’incipit del dibattito, evocando anche il dramma interno e razzista patito dalla comunità nigeriana presente in Italia. Che denuncia totale indifferenza al “sangue di colore” che inonda troppi marciapiedi urbani e di provincia. Il quesito più stimolante riguarda cosa succede quando sia un uomo (addetto alla comunicazione) a prendersi cura di un fenomeno di genere. “I giornalisti che hanno la possibilità di una vasta platea, perdono una grande occasione nell’ignorare una questione del genere” – attacca Iacona. Così la narrazione del suo viaggio fra luoghi e culture diverse (Norvegia è Afghanistan sono i poli estremi di civiltà e misoginia), confligge in modo netto con quella cronaca che riconosce nel reiterato “dramma della gelosia” una complice attenuante del mainstream mediatico, alla rimozione del delitto. Perpetuato con modalità comuni e coerenti ad una visione arcaica della donna, permeata di falsa modernità post femminista. Non solo Enna, la Calabria e il Mezzogiorno delle mafie attiene il pensiero unico del controllo sulla donna oggetto. Il cuore della Milano evoluta, pulsa di ragazzine in pericolo, nell'affrancarsi dall’accoppiamento esclusivo e donne adulte, recluse e segregate nei moderni condomini della solitudine. Dove per il settanta per cento, le vittime risultano essere coloro che hanno osato ribellarsi al rapporto subalterno, denunciandone violenze e sopraffazione. Dal dibattito vivo e animato emerge il ruolo strategico dei centri anti violenza. Spesso lasciati all’opera stenua del volontariato, privato oltre che delle necessarie risorse, di una necessaria cultura etica e civile, assente già nel governo centrale.

“Alzare la soglia etica del Paese”: il grido di una cura, già avviata da tanti Paesi del Mediterraneo (in primis la Spagna di Zapatero)che maldestramente guardiamo dall’alto, è condiviso nei tanti interventi risuonati in platea. Sullo sfondo la deontologia di un professionista dell’informazione che ha fatto dell’amore per il suo lavoro, l’attrezzo primo del mestiere. Rispetto per i maestri (Santoro di Samarcanda è puntualmente citato), rigore e onestà nella documentazione delle fonti, riconciliano cittadini e lettori alla passione civile che passa per il giornalismo d’inchiesta. Lavoro quasi estinto in Italia, per questo ancora più prezioso e necessario che mai.

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