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Re Giorgio ha ucciso la sua creatura politica e con essa ciò che resta della Sinistra

L’impressione che ho dai comenti che leggo in rete è che il Presidente emerito Giorgio Napolitano, al contrario del Presidente Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, risulti il presidente più inviso della Storia repubblicana. Le ragioni sono molteplici e sono tutte da ricondurre alle modalità con cui ha svolto il primo e il secondo mandato di Presidente della Repubblica, il ruolo di Presidente emerito e quello di Presidente pro tempore del Senato nella seduta di insediamento della 18° legislatura. Dopo che per anni i Presidenti della Repubblica hanno svolto la loro funzione in ombra, senza interferire nel governo del Paese, con Giorgio Napolitano l’approccio subisce una modifica sostanziale che trasforma, se non de jure, de facto il sistema politico italiano in una Repubblica semipresidenziale.

Forse è più corretto dire che l’Italia diventa “La repubblica del Presidente” secondo la calzante definizione data da due validi giuristi come Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno entrambi studiosi di diritto pubblico italiano e comparato. Per comprendere il modo in cui Giorgio Napolitano ha interpretato il proprio ruolo di Presidente bisogna rifarsi alle parole pronunciate nella fase finale del suo mandato, il 15 novembre 2012 << Ho ritenuto che il Presidente della Repubblica, secondo la nostra concezione costituzionale, dovesse prendersi delle responsabilità senza invadere campi che non sono suoi. Le responsabilità del governo non sono quelle del presidente della Repubblica e viceversa. Ma io credo di dovere sempre cercare di interpretare esigenze e interessi generali del paese anche in rapporto a scelte del governo che rispetto, perché non posso assolutamente sostituirmi a chi ha la responsabilità del potere esecutivo, ma che possono rientrare in un dialogo al quale intendo dare il mio contributo>> .

Mi viene da pensare: magari si fosse attenuto a questo semplice dato. In nove anni di Presidenza della Repubblica ha interpretato secondo il proprio punto di vista gli eventi indirizzando e condizionando le scelte. Come scrivono i due autori << Il settennato di Napolitano è sicuramente destinato a essere ricordato come un periodo in cui la figura del presidente della Repubblica è stata al centro della vita politica del nostro paese influenzandone il corso. Nei rapporti con gli altri organi costituzionali, nuove prassi che hanno rafforzato il ruolo del capo dello Stato si sono affermate ed altre che si erano affacciate nel corso di precedenti presidenze sono state confermate ed irrobustite>> . Gli episodi nei quali l’influenza del Presidente Napolitano è stata determinante sono tanti.

Ne cito alcuni: Promulgazione del Lodo Alfano, dichiarato incostituzionale dalla suprema Corte con sentenza del 7 ottobre 2009; firma della Legge sullo Scudo Fiscale, ritenuta da molti strumento per riciclare denaro ”sporco”; elezioni regionali del 2010 nelle quali le liste presentate dal PDL, escluse in Lombardia e nel Lazio, vennero riammesse a seguito della firma del Decreto Legge da parte del Presidente della Repubblica; firma della legge sul legittimo impedimento dichiarata, anche questa, parzialmente incostituzionale; firma della finanziaria che raddoppiava l’IVA a Sky tv; firma della legge “salva Pollari”; soluzione della crisi del Governo Berlusconi con l’affidamento dell’incarico al prof. Mario Monti, nominato senatore poco tempo prima; gestione della crisi all’indomani delle elezioni politiche del 2013 con la “non vittoria” di Italia bene comune e il successivo incarico di formare il Governo ad Enrico Letta; la sua stessa rielezione; l’incarico di formare il Governo a Matteo Renzi, di fatto una sua creatura politica; le successive sue dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica; per non parlare del ruolo svolto in materia di politica internazionale. Quando l’altro giorno, da Senatore più anziano ha presieduto l’insediamento del nuovo Senato, ha continuato ad interpretare il suo ruolo istituzionale in modo personale arrivando fino al punto di uccidere, politicamente parlando, la sua creatura politica e cioè il PD di Matteo Renzi. Solo pochi anni fa, infatti, interpretando dal suo punto di vista le istanze provenienti dalla Società, pensò di assecondare l’ascesa del populismo renziano al fine di bloccare il populismo del M5S.

Dice Napolitano nel discorso inaugurale << Questa 18° legislatura nasce da un'ampia e appassionata partecipazione elettorale. Nostro punto di riferimento non possono dunque essere oggi che le espressioni della volontà popolare quali ne sono chiaramente scaturite. Il voto del 4 marzo ha rispecchiato un forte mutamento nel rapporto tra gli italiani e la politica quale si era venuta caratterizzando da non pochi anni a questa parte. Si è trattato di un voto che non solo ha travolto certezze e aspettative di forze politiche radicate da tempo nell'assetto istituzionale e di governo del Paese. Esso ha messo in questione tradizioni, visioni, sensibilità, che erano a lungo prevalse. Gli elettori hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale contestazione, di vera e propria rottura rispetto al passato. La contestazione è scaturita da forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti, comprendenti famiglie del popolo e della classe media.>> Non so quanti rammentano l’intervista rilasciata dal Presidente Napolitano a Fabio Fazio nell’aprile del 2014 pubblicata integralmente su l’Unità online. Il Presidente dichiarava « (…) Vorrei però anche dire, per esempio, che quando si parla di necessità assoluta di ridurre il debito nostro, il debito pubblico in Italia, non si dice abbastanza che lo si deve fare non perché ce l'ha chiesto l'Europa ma perché è un dovere verso i giovani. (…) Quindi, non solo ai giovani bisogna aprire delle prospettive di realizzazione e di lavoro, ma bisogna anche garantire che non debbano continuare a pagare per il debito che hanno contratto le generazioni più anziane.» In quell’intervista affermava con forza i principi della politica neoliberista e di austerità imposti dalla Germania e dal blocco mitteleuropeo. Già allora come si evince da un working paper del F.M.I. scritto da Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanna Melina era noto come le politiche di tagli alla spesa pubblica e di austerità avrebbero avuto effetti deleteri sulle condizioni materiali di milioni di italiani e sul futuro delle giovani generazioni delle quali Napolitano, nella intervista che ho riportato, sembrava preoccuparsi. Con l’estratto della dichiarazione che ho riportato Napolitano, dicevo, ha ucciso politicamente la creatura politica che lui ha contribuito a creare. Si spinge fino al punto da affermare << Queste reazioni hanno mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza.>> E’ solo il caso di ricordare che i Governi che cita sono in larga parte il frutto della sua Presidenza. Ciò che fa specie è come in questo discorso si erga ancora una volta ad interprete delle << esigenze e interessi generali del paese >> senza far un cenno ben che minimo di autocritica per il modo con il quale ha influenzato, anche se in modo indiretto, le scelte e gli indirizzi politici dei Governi a partire da quello Monti in poi. La vicenda dell’incarico a Monti e del successivo mancato incarico a Bersani hanno aperto la strada a forze politiche come il M5S e la Lega Nazionale di Salvini e sono emblema del fallimento dei nove anni di Presidenza di Giorgio Napolitano. Questo fallimento è l’ulteriore indizio che segna la fine della Seconda Repubblica dominato da un ceto politico di provenienza ex PCI alla continua ricerca di legittimazione politica fino a diventare più realista del re nel perseguire politiche neoliberiste e di austerità che hanno contribuito a segare quel ramo, rappresentato dall’elettorato popolare, sul quale era seduto. 

Del processo sinteticamente descritto Napolitano è stato attore e parte integrante come certifica la Conferenza operaia del PCI del 1974 e l’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari nella quale si dichiarava Liberale e io aggiungo Liberista. 

Commenti all'articolo

  • Di Rocco Di Rella (---.---.---.104) 27 marzo 2018 13:01
    Rocco Di Rella

    Un coacervo di contestazioni contraddittorie. Il presidente Napolitano, da vero patriota qual è, ha cercato di agevolare l’approvazione di riforme istituzionali che aspettiamo da oltre trent’anni. Forse, da parte sua, c’è stata qualche forzatura in questo senso, ma il suo Fine è stato nobile e patriottico. Purtroppo, la realizzazione di quelle riforme è stata presa in carico da Renzi, che ha commesso errori grossolani nel gestire la campagna referendaria e non solo quella. Renzi non ha spacchettato la modifica costituzionale in più disegni di legge omogenei, non ha cercato le necessarie alleanze politiche per allargare il consenso al suo disegno riformatore, ha personalizzato la campagna referendaria e ha associato alla riforma costituzionale una legge elettorale ipermaggioritaria e incostituzionale. Questi errori politici gravi hanno compromesso l’approvazione della riforma costituzionale (per la quale ho convintamente votato Sì). Di questi errori Napolitano non ha alcuna responsabilità. Anche le accuse di "liberismo" a Napolitano fanno abbastanza ridere. Uno Stato con un rapporto debito/PIL oltre il 130% non ha grandi alternative al risanamento finanziario e all’equilibrio dei propri conti. I conti in ordine non sono un’imposizione dei poteri forti, delle banche, dell’Europa, della massoneria e via cazzeggiando. I conti in ordine sono una necessità. Non mi sembra nemmeno che gli ultimi governi abbiano fatto tagli insostenibili della spesa pubblica. Qualcosa fece 5-6 anni fa il governo Monti, ma, in seguito, l’Italia ha prevalentemente beneficiato dei bassi tassi d’interesse determinati dalla politica monetaria espansiva della BCE. Il governo Renzi ha fatto sicuramente una cosa buona e giusta col taglio delle tasse di 80 euro al mese per i redditi più bassi. Ma ha commesso due gravi errori sul fronte delle politiche sociali: 1) la riforma del mercato del lavoro (o jobs act) è stata fallimentare, perché ha ridotto le tutele dei lavoratori a tempo indeterminato, senza disincentivare il lavoro precario, col risultato di regalare soldi alle imprese e di creare più precariato; 2) solo dopo il referendum del dicembre 2016, il centrosinistra si è posto il problema di avviare la lotta alla povertà con il Reddito d’Inclusione varato dal governo Gentiloni. Il maggior precariato prodotto dal giobbatto e il tardivo sostegno alle persone economicamente disagiate hanno portato via milioni di voti al centrosinistra. Anche questi errori fatico a ricondurli alla persona di Giorgio Napolitano. In ogni caso, voglio vedere cosa faranno i vincitori delle elezioni del 4 marzo in materia di riforme istituzionali, di lotta al precariato e alla povertà. Vedremo se sapranno fare di meglio. Ora tocca a loro, all’accozzaglia del NO, governare e provare a risolvere i problemi. Le scuse sono finite e non c’è più Matteo Renzi, il loro pallone da pugilato che si sono divertiti a scazzottare negli ultimi anni. Prego signori, accomodatevi!

  • Di pv21 (---.---.---.50) 27 marzo 2018 19:48

    Due parole >

    Nel 2018 il nostro Debito supera ancora i 2.200 miliardi, la disoccupazione l’11% ed il rischio di indigenza i 6 milioni di cittadini.

    Per fortuna ora finalmente ci viene svelato CHI E’ in realtà colui a cui va addossata la responsabilità (colpa) della “defenestrazione” di Enrico Letta, del patto del Nazareno e di quella “svolta” promessa in 1000 giorni.

    C’è di più.

    FINITA l’austerità teutonica, finalmente in tanti godremo dei “benefici” di una contro-riforma Fornero, della flat tax, del reddito di cittadinanza, ecc. ecc..

    Di “realtà virtuale” si nutre la Pescitudine di chi …

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