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 Home page > Tribuna Libera > Rabin, il sogno infranto

Rabin, il sogno infranto

La sera del 4 novembre 1995 il Primo Ministro israeliano, Yitzhak Rabin, veniva ucciso da un terrorista israeliano, Yigal Amir. Secondo la sua assurda visione l’uccisione di Rabin era dovuta ad un comandamento divino in quanto aveva “svenduto e tradito la terra di Israele”.

Quel giorno il premier aveva partecipato, insieme a Shimon Peres, ad un raduno a favore del processo di pace Israelo-palestinese, in Piazza dei Re, a Tel Aviv. Oggi conosciuta come “Piazza Rabin”

In quel periodo il sogno di una pace in Medio Oriente sembrava a portata di mano, seppur tra mille pericoli, problemi e violenze. Gli estremismi, da ambo le parti, erano intenzionati a sabotare qualsiasi tentativo di pacificazione. 

Il processo era iniziato subito dopo la prima guerra del Golfo con la Conferenza di Madrid, nell’ambito di accordi di pace tra Israele, Siria, Libano, Giordania e Palestina. La delegazione palestinese partecipava insieme a quella giordana in una visione “palestino-giordana”. Tuttavia con il nuovo governo Rabin, nel luglio 1992, si assisteva ad un approccio diverso: non più un processo globale, ma incontri diretti tra le parti. Per la prima volta i contendenti si parlavano e si guardavano in faccia in maniera diretta senza mediazione esterna. 

La delegazione palestinese, era rappresentata per la prima volta dall’OLP (Organizzazione della liberazione della Palestina). Gli incontri erano tenuti segreti e protetti dal governo norvegese, in particolare dal ministro degli esteri, Johan Jørgen Holst, che garantiva le due delegazioni da pressioni delle proprie opinioni pubbliche, dalle conferenze con i giornalisti e prese di posizione di coloro che erano contrari ad ogni normalizzazione. 

Nel giro di diversi mesi si arrivava a ciò che sembrava impensabile: uno scambio di lettere di reciproco riconoscimento tra Israele e l’OLP, nonché la rinuncia della lotta armata da parte palestinese, la creazione di un’Autonomia Nazionale Palestinese, il ritiro dell’esercito israeliano dai Territori occupati/contesi. 

Si trattava di un inizio promettente in previsione di affrontare le questioni particolari: confini, profughi, sicurezza, insediamenti/colonie e questione della capitale Gerusalemme.

 Il 13 settembre 1993 a Washington, sul prato della Casa Bianca, i due leader, Rabin e e Arafat, si incontravano stringendosi la mano. I due leader presentavano ai loro popoli e al mondo intero una speranza di pace. Veniva siglato il cosiddetto “Accordo di Oslo”. 

Rabin nel suo discorso diceva: “Lasciatemi dire, palestinesi, noi siamo destinati a vivere insieme sul medesimo suolo della medesima terra. Noi che ci siamo battuti contro di voi, i palestinesi, vi diciamo oggi con voce forte e chiara: “Basta sangue, basta lacrime, basta!”. E il leader palestinese Yasser Arafat pronunciava: “Il mio popolo spera che l’accordo che stiamo firmando ci accompagni in un’era di pace, coesistenza e uguali diritti”. 

Con la morte di Rabin il sogno di una pace stabile tra israeliani e palestinesi si è infranto. Sono passati ventiquattro anni e, ancora, si oscilla tra tentativi di conciliazione, stasi politica e violenze cicliche.

Salvatore Falzone

Foto: Wikimedia

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