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Questa Italia senza ombrellone

Nostalgia. Della vecchia politica, perfino dei governi balneari della Prima Repubblica. Nostalgia, addirittura, delle vecchie correnti Dc e di quel Pci di Berlinguer che della questione morale fece, senza giungere alle estreme conseguenze, uno dei punti centrali. Un punto irrisolto. Nostalgia dei congressi con un dibattito vero, dove ci si contava fino all’ultimo voto, e dove l’unanimità era un segnale di allarme e non di buona salute. Nostalgia.

Questa settimana sarà decisiva per la politica e per il futuro prossimo e venturo del governo Berlusconi Ter. Interrogatorio a Verdini, Conferenza dei capigruppo alla Camera sui tempi e modalità del passaggio in aula del Ddl intercettazioni, caccia al dissidente (Granata) dentro il Pdl. Tutto si concentra e si risolve all’interno della corte di Silvio. L’opposizione in fondo si è relegata a curva di tifosi. Ora si tifa Fini. Domani chissà.

Immagino il disagio di quei senatori a vita che della Repubblica furono ingranaggi del motore che assistono oggi, fra la noia e lo sconcerto, al teatrino della politica di fine impero. Il dibattito sul piano culturale e morale è a livello talmente basso da diventare irrilevante. Al limite fastidioso. I giochi sono altri, lo sentono loro lo percepiamo perfino noi spettatori distanti. Noi che cerchiamo di ridare un senso a cose che senso non ne hanno più. Noi che cerchiamo di informarci e informare, noi che cerchiamo di raccontare pezzi, piccoli, di questo Paese. Noi che cerchiamo di riappropriarci di parole che ci sono state scippate non dalla storia ma da una manica di furbetti. Politica, cultura, classe, lavoro, giustizia. E poi ancora sogno e utopia. Una speranza. La speranza di far ritornare alla normalità questo Paese. La sfida è proprio questa: la riconquista di una normalità. Senza spettacolo e scenari di cartone a uso e consumo di folle presunte di supporter al leader di turno. La nostra vita non è una sequenza di spot.

La settimana che inizia oggi sarà decisiva. Speriamo. Sulla tenuta del governo, sulla vicenda Fiat in Serbia, sulla credibilità economica dell’Italia sul piano internazionale (e qui solo a pensarci c’è da tremare). Non ci attende un agosto di riposo. Non avremo un mese di ferie per ricaricarci, per riflettere, per ritrovare l’energia necessaria ad affrontare un autunno che sarà rovente sia sul piano sociale che politico. Noi, cittadini di questo Paese che non si riconosce più neppure nella nazionale di calcio, dovremo fare ancora uno sforzo. Quello di non mollare. Di non cedere allo sconforto. Di non delegare al ceto politico, a questo ceto, il nostro futuro personale e collettivo.

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