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Quello “sguardo” sull’handicap

Non esiste handicap senza sguardo sull’handicap e questo sguardo è pieno di rifiuto, pregiudizi, pietismo provati dai “normali” sui disabili e dai disabili su se stessi : qui si creano e si alimentano il rifiuto e l’emarginazione, uno sguardo stigmatizzante che in realtà ha profonde radici psicologiche e culturali.
Matteo Scianchi, da La terza nazione del mondo – I disabili tra pregiudizio e realtà – Editore Feltrinelli

Se il giornalismo è essenzialmente testimonianza, esso può diventare talora uno specchio scomodo, fastidioso ed imbarazzante, se non addirittura insolente, che insiste nel rappresentare senza fare sconti la realtà che lo riguarda. Per questo motivo il vostro reporter, in via preliminare, intende chiedere scusa alle persone, che, egli sa benissimo, oggi finirà per fare arrabbiare; alle tante, tantissime persone con le menti incrostate di pregiudizi sulla disabilità. I fatti in appresso riportati non sono assolutamente frutto di fantasia, anche se la narrazione, per forza di cose, ha una forma romanzata.

* * *
I genitori del ragazzo disabile sono seduti nell’ufficio del docente preposto al corso di laurea specialistica, in cui il ragazzo stesso vorrebbe iscriversi. Quest’ultimo non c’è perché al mattino frequenta un corso di formazione. Il motivo dell’incontro è verificare se la domanda di iscrizione del ragazzo sarà accettata oppure se egli avrà dei crediti formativi da recuperare.
 
L’insegnante premette di volere un bene dell’anima al ragazzo, che con lui ha fatto più di un esame per la laurea triennale. Però sconsiglia questa iscrizione perché sinora il ragazzo è stato tanto aiutato, ma non crede che la stessa cosa possa accadere anche nel corso di studi per la specialistica. La qual cosa potrebbe comportare per il ragazzo un trauma.
 
E mentre dice queste cose il suo “sguardo” è diventato particolare, imbarazzato, diverso; insomma, è diventato esso stesso disabile.

La madre del ragazzo è una insegnante in pensione e, forte della sua qualifica professionale, prova a sostenere che il ragazzo non avrà difficoltà a frequentare quel corso di studi; non vi riesce perché il padre, una vera e propria testa calda, chiede provocatoriamente all’insegnante se questa non sia una manovra per scotolarsi di sopra il ragazzo (nel dialetto siciliano il termine scotolarsi è figurativo, traendo origine dall’agricoltura e riferendosi agli alberi sbatacchiati e così privati del loro frutto).
 
La discussione sta per prendere una brutta piega, ma poi rientra piano piano nella normalità. Si parla degli studi di ragioneria del ragazzo, che sono alla base delle sue scelte successive e di altro ancora ; si verificano i crediti del ragazzo ed essi sono perfettamente in linea con quanto richiesto dai regolamenti universitari. Il ragazzo si iscriverà. Lo “sguardo” sembra essere diventato normale.
 
E’ successo che il padre del ragazzo ha parlato all’insegnante di Oscar Pistorius e della sua scelta di non partecipare alle Olimpiadi di Pechino perché non aveva “fatto i tempi” necessari e si era limitato a partecipare alla Paralimpiadi, del suo rifiuto della wild card che gli organizzatori gli avevano proposto, dopo essersi a lungo opposti giudizialmente alla sua ammissione ai giochi e dopo essersi visti dare torto. Perché integrazione significa eguaglianza  ed una disparità di trattamento, sia essa in un senso o nel suo opposto, è sempre una discriminazione.

Non è certo che tutto sia finito bene: se è così lo si saprà solo in appresso, quando inizieranno i corsi delle lezioni e gli esami. Ma i genitori del ragazzo ormai, come si suol dire, hanno fatto il callo a situazioni di questo tipo; e sono pronti a riprendere le armi ed a ricominciare a combattere, contro tutti e contro tutto, perché, come disse Hillel il Vecchio, rabbino del I secolo a.C., “Se non sto io dalla mia parte, chi ci starà?”.
 
E’ quanto hanno fatto per decenni gli afro-americani, pagando un prezzo altissimo anche in vite umane vittime per linciaggi, sino a vedere uno di loro alla Casa Bianca; ed il loro problema non era certo il colore della loro pelle, il loro problema erano i pregiudizi dei bianchi.

Commenti all'articolo

  • Di nino fiannacca (---.---.---.93) 31 ottobre 2009 11:00

    Caro Bernardo ,
    tutto quello che racconti l’ho provato direttamente sulla mia pelle.
    Nella mia carriera universitaria ho incontrato tanti di quei professori che, ammantati da un’aurea di professionalità, elargivano sguardi pregiudizievoli sulle persone disabili.
    Nel tempio della Cultura ci si dovrebbe aspettare un’apertura mentale consona alle menti che insegnano in quei luoghi, ma purtroppo ho visto e vedo che non è così.
    Certamente le cose per l’integrazione scolastica, per il diritto allo studio sono molto cambiate negli ultimi anni, ma il miglioramento (ho potuto constatare per mano) è soltanto nell’erogazione di servizi verso le persone con disabilità, mentre l’umanità dei rapporti è ferma all’equanzione "disabile=poco efficiente".
    E quello che più mi colpisce è che questi pregiudizi provengono proprio dalla Facoltà di Scienze delle Formazione.

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