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Quasi la metà degli inglesi vuole limitare la libertà di espressione per “rispetto” verso la religione

In Gran Bretagna si fa strada nell’opinione pubblica un atteggiamento censorio nei confronti della libertà di espressione su temi religiosi. Una recente indagine condotta per Fear and Hope su temi come identità, multiculturalismo, religione e immigrazione rileva che oggi solo il 54% è d’accordo sul fatto che alle persone debba essere consentito di dire ciò che pensano riguardo la religione. Il 46% invece sostiene che debba esserci qualche forma di limitazione. Nel 2011 una ricerca simile mostrava un paese più attento alla libertà di espressione sui temi religiosi (60% a favore, 40% per qualche limite).

Questa tendenza, non tanto paradossalmente, viene promossa soprattutto da giovani e da coloro che sono più favorevoli al multiculturalismo. La ricerca segmenta la società in gruppi, a seconda delle attitudini verso multiculturalismo e diversità: la componente dei “mainstream liberals”, in crescita, è la più propensa a caldeggiare limitazioni della libertà di espressione (il 58% è d’accordo, “se necessario” che le persone “debbano essere incriminate” per particolari dichiarazioni riguardo la religione). Tra gli under 25, sempre il 58% vorrebbe imporre ai discorsi sulla religione limitazioni simili a quelle che esistono per l’odio razziale.

L’opinione pubblica chiede anche un maggiore monitoraggio verso le faith schools (71% in generale). Cala anche la diffidenza verso l’islam, con un 78% di inglesi contraria a incolpare la religione nel suo complesso per le azioni degli estremisti, sebbene rimanga un 59% che ritiene questa religione una “minaccia grave alla civiltà occidentale”, un 43% che ritiene i musulmani “completamente diversi” e un 59% che ritiene causino “problemi nel mondo”.

Stephen Evans, rappresentante dell’organizzazione umanista National Secular Society, esprime preoccupazione per questo quadro: “il concetto di offesa, e la violenza che talvolta lo accompagna, ha creato un effetto agghiacciante sulla libertà di espressione”. “Mentre ogni tipo di fanatismo dovrebbe essere combattuto con vigore, non bisogna però iniziare a sacrificare le libertà fondamentali per proteggere i ‘sentimenti religiosi'”, aggiunge. Invece si crede, anche nel nome del politicamente corretto e per una distorta concezione di “rispetto” verso una cultura (strumentalmente identificata con la religione), che restringere la libertà di espressione “migliori la coesione sociale”.

Sicuramente è positivo che si attenui il pregiudizio contro i musulmani e venga favorita l’integrazione. Ma rischia di consolidarsi a sinistra un atteggiamento speculare che favorisce la ghettizzazione e l’omologazione interna delle comunità, una maggiore richiesta di privilegi, la limitazione della libertà di critica in nome di uno status superiore attribuito alle religioni (un ritorno sottile al reato di “blasfemia”, proprio quando viene contestato ai paesi teocratici). Una china criticata da acuti osservatori delle degenerazioni del multiculturalismo, sia da musulmani liberali come Maajid Nawaz sia da laici dichiarati come Kenan Malik.

(Foto: Susana/Flickr)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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