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USA, gli espulsi dal sogno americano durante la presidenza Obama

Sembra che alla fine qualche cosa le proteste sotto la Casa Bianca la stiano ottenendo: Barack Obama ha infatti comunicato di aver ordinato a Jeh Johnson, segretario del Dipartimento per la sicurezza interna (DHS), una revisione delle politiche di rimpatrio per gli immigrati irregolari nel territorio statunitense. La decisione è stata presa dopo un colloquio tra il presidente e tre rappresentanti del Congressional Hispanic Caucus, ente che riunisce e protegge gli interessi dei latinos negli States.

Oggetto di discussione sono le politiche di espulsione e di rimpatrio degli hispanicos senza diritto di residenza. Da quando è stata scritta l’ultima legge in merito, agli inizi degli anni '90, i provvedimenti di questo genere sono andati via via aumentando, ma sotto l’amministrazione Obama si è raggiunto un picco preoccupante; i rimpatriati dal primo giorno di presidenza fino ad oggi sono stati quasi 2 milioni, esattamente quanti Bush ne aveva collezionati in due interi mandati.

Ma come fuonziona di preciso il meccanismo? Nel momento in cui viene trovato un clandestino, si può procedere al rimpatrio con due procedure differenti: il provvedimento di removal o quello di return. Per quanto le parole sembrino analoghe, tra le due opzioni c’è una differenza abissale: nel secondo caso si è semplicemente schedati ed allontanati, nel primo si viene anche imputati per aver commesso un reato di fronte ad un giudice, cosa che rende estremamente più complicati i successivi tentativi di rientro legale. Il problema scaturisce dal fatto che la quantità di removals è andata via via crescendo, al ritmo di 40.000 ogni anno.

Considerato questo, per comprendere la gravità della questione bisogna andare a guardare chi sono questi individui che vengono espulsi: più della metà dei rimpatriati hanno precedenti penali e vengono individuati proprio nel momento dell’arresto. Degli altri circa l’80% è costituito da chi viene intercettato nella zona del confine e quindi immediatamente riportato indietro. Il problema più toccante riguarda la parte rimanente, che tra luglio 2010 e ottobre 2012 era stata di 200mila persone; persone che, seppur "entrate" irregolarmente, vivono ormai da anni nel territorio statunitense e si trovano inserite nel contesto sociale, con figli nati in America (quindi con una cittadinanza regolare). Questo fa sì che molte famiglie si siano viste spezzate dal provvedimento di espulsione e dalla legge che impedisce il ricongiungimento in territorio americano.

Il problema principale per gli Hispanicos che ormai hanno piantato radici lavorando, per quanto non registrati, negli Stati Uniti è proprio l’utilizzo sempre più diffuso da parte delle autorità giudiziarie del removal che ne impedisce un ritorno legale in un arco di tempo ragionevole. “Gli individui che tentano di rientrare dopo essere stati espulsi – afferma Karen Lucas, dell’associazione americana di avvocati specilizzati nell’immigrazione – hanno delle motivazioni fortissime e comprensibili. Le falle nel nostro sistema hanno fatto sì che la un gran numero degli irregolari stanziati da tempo (si stima siano attorno agli 11 milioni) ormai questo Paese lo senta come casa loro.

A rimarcare l’attualità del tema è stata l’iniziativa del cardinale francescano di Boston O’Malley che, riecheggiando la visita di Papa Francesco a Lampedusa, questa settimana ha celebrato messa a Nogales, città divisa fisicamente tra Messico ed Ariziona, di fronte alla cancellata che segna la frontiera. Le sue parole, ascoltate da entrambe le parti della grata divisoria, hanno ricordato le seimila persone che negli ultimi quindici anni sono morte nel tentativo di aggirare la dogana attraversando il deserto. La distribuzione della comunione attraverso le pesanti inferriate divisorie è stato certamente il momento simbolo della cerimonia.

 

Foto: Wikipedia

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