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Quale paese avanzato è cresciuto di più?

Il Pil pro capite è la più importante misura del benessere materiale di una nazione, sebbene – come tutto ciò che misura qualcosa di astratto – abbia dei limiti importanti. Sulla base di questo, chiediamoci: quale paese ha avuto una maggiore crescita del Pil pro capite negli ultimi anni?

 I dati della Banca Mondiale ci forniscono il tasso di crescita del Pil pro capite a prezzi costanti tra 1991 e 2016; teniamo in considerazione questo periodo così da evitare le anomalie della crisi da covid e dell’inflazione attuale. Su 158 paesi analizzati dalla Banca Mondiale, l’Italia si situa al 126° posto per crescita in questo arco di 25 anni. Il Pil pro capite italiano è cresciuto appena del 10%. I paesi che sono cresciuti meno del 10% sono tutti paesi del terzo mondo o che hanno avuto delle guerre, con due sole eccezioni, Emirati Arabi e Arabia Saudita, nazioni che avevano avuto un’enorme e diseguale crescita precedente grazie al petrolio e che solo recentemente stanno cominciando a costruire un’economia equilibrata. L’Italia è dunque l’ultimo tra i paesi avanzati per crescita in questo venticinquennio. Vediamo dove si situano dieci paesi che ho selezionato in quanto simili al nostro o in quanto nostri competitor internazionali:

 

Grecia

15%

Giappone

21%

Svizzera

22%

Francia

28%

Germania

36%

Spagna

37%

Paesi Bassi

45%

Stati Uniti

46%

Regno Unito

49%

Irlanda

191% (?)

 

I dati confermano innanzitutto la somiglianza della situazione italiana con quella greca e giapponese, paesi in lento declino economico e demografico proprio come l’Italia. La bassa crescita della Svizzera si può forse spiegare con il fatto che già nel 1991 la popolazione aveva acquisito un altissimo livello di benessere materiale, con un PIL pro capite superiore anche a quello dell’Italia nel 2016. Esclusi questi tre paesi e l’Irlanda, quello che si nota è che i nostri competitor internazionali sono cresciuti in termini reali da 3 a 5 volte l’Italia. Il dato dell’Irlanda è anomalo e va preso con un po’ di cautela. Nel secondo dopoguerra l’Irlanda era un paese molto arretrato, improntato al nazionalismo economico. Nel 1980 il settore pubblico ammontava ad un terzo della forza-lavoro totale del paese. In quel decennio i lavoratori a medio reddito erano tassati fino al 60% dei loro ricavi, la disoccupazione era arrivata al 20% e il deficit pubblico al 15% del Pil. Si era capito che la situazione era insostenibile. Finalmente, nella seconda metà degli anni ’80, la classe dirigente del paese trovò il coraggio e la volontà di fare le riforme necessarie. Il partito Fianna Fáil cominciò a ridurre la spesa pubblica, a tagliare le tasse e a valorizzare la competizione. Grazie a questo, grandi aziende e multinazionali cominciarono a investire nel paese, portando sviluppo tecnologico e nuovi posti di lavoro. Tra 1985 e 2002, il numero di posti di lavoro nel settore privato è aumentato di quasi il 60%. Tra 1995 e il 2000, il Pil è cresciuto del 10% l’anno. La bassa tassazione, una forza-lavoro relativamente giovane e il fatto che l’inglese sia la lingua più comune in Irlanda sono stati i fattori-chiave che hanno spinto così tante multinazionali ad investire nel paese e a portare ricchezza. Nel 2017 la produttività è cresciuta del 10,9% tra le aziende di proprietà stranierà e solo del 2,5% per le aziende di proprietà irlandese, un dato che dovrebbe far riflettere su quanto le grandi aziende contribuiscano alla ricchezza rispetto alle piccole aziende. L’Irlanda è stata duramente colpita dalla crisi del 2008 e dalla crisi dell’euro; ma, grazie al suo potenziale, nel 2014 è tornata a crescere ad alto ritmo, al contrario dell’Italia. I dati ufficiali per il 2016 hanno stimato una crescita del Pil del 26,3%. Questo dato non è però credibile se confrontato con quello della crescita degli altri paesi dell’eurozona. Di fatto, esiste ormai in Irlanda una grande sproporzione tra prodotto interno lordo e reddito nazionale. Il prodotto interno lordo è la somma di tutti quei beni e servizi che vengono prodotti e venduti in Irlanda; ma una parte dei profitti ricavati viene trasferita all’estero dalle multinazionali che hanno sede legali o secondarie in Irlanda ma sedi principali in altri paesi. Per cui nel Pil irlandese viene calcolato un ammontare di denaro che non è in mano agli irlandesi. In questi casi, una misura più corretta del benessere è appunto il reddito nazionale, che misura proprio l’ammontare di denaro a disposizione dei cittadini. Secondo le statistiche della Banca Mondiale, nel 2020 il reddito nazionale irlandese era il 77% del Prodotto interno lordo: il che lo rende comunque superiore a quello italiano, francese e tedesco. Il reddito nazionale irlandese al 2020 era di 69.190 dollari internazionali (una valuta fittizia usata dalla Banca Mondiale per fare confronti tra nazioni), quello italiano di 42.270 dollari.

Prendendo come convenzione il fatto che il reddito reale irlandese sia il 77% del Pil, e dunque riducendo il Pil pro capite irlandese del 2016 del 23%, si arriva al dato che tra 1991 e 2016 il Pil pro capite reale irlandese sia cresciuto del 124%, un numero 12 volte superiore al dato italiano! L’Irlanda è il paese avanzato che è cresciuto di più in questi 25 anni.

Anche se aggiornassimo i dati, di fatto il Pil pro capite reale italiano è stagnante dal 2007; ovvero, al 2022 non si era ancora raggiunto il livello di Pil pro capite che l’Italia aveva nel 2007. Un leggero aumento forse lo si leggerà nei dati completi del 2023; ma ciò è dovuto più alla diminuzione della popolazione che alla ripresa dell’economia. Forse se la nostra classe politica prendesse lezione dall’Irlanda, facendo riforme simili a quelle che la classe politica irlandese ha fatto ormai molto tempo fa, il tenore di vita degli italiani potrebbe ricominciare ad aumentare. 

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