Su due libri molto anti-occidentali

Di recente sono usciti due libri che, pur focalizzandosi su fatti parzialmente diversi, sostengono esattamente le stesse tesi: Scomode verità. Dalla guerra in Ucraina al massacro di Gaza di Alessandro Di Battista e C’è del marcio in Occidente di Piergiorgio Odifreddi.
L’alleanza ideologica tra i due autori è stata sancita dal fatto che Odifreddi ha firmato la prefazione al libro di Di Battista e allo stesso tempo ha presentato il suo libro sul canale Youtube dello stesso Di Battista. La tesi comune a entrambi i libri si potrebbe riassumere in questo modo: il mondo occidentale è un mondo crudele e malato, mentre nel blocco non-occidentale risiedono tutte le virtù che all’Occidente mancano. Nelle parole di Di Battista: “Il cosiddetto primo mondo è ormai primo soltanto per immoralità. Il terzo mondo, al contrario, appare oggi infinitamente più etico del primo”. A poco servirebbe ricordargli che nel primo mondo esiste (pur con qualche limitazione) la libertà di espressione e di stampa, che generalmente nel terzo mondo viene censurata; che nel primo mondo si può essere liberi di essere atei o omosessuali, mentre in tanti paesi del terzo mondo l’ateismo e l’omosessualità sono crimini puniti con il carcere o la pena di morte; che nel primo mondo ci sono elezioni regolari in cui il popolo può scegliere a chi affidare il governo della nazione, mentre nel terzo mondo questa possibilità viene spesso negata. Tutti questi fatti vengono abilmente taciuti da una retorica che sembra avere origine nel senso di colpa dell’Occidente e nell’odio verso sé stessi. Certo: il cosiddetto mondo occidentale ha commesso crimini orribili nella sua storia. Ci sono però due tasselli che mancano a questo racconto di Odifreddi, che fa un lungo elenco dei crimini commessi dall’Occidente. In primo luogo, nel modo in cui viene utilizzato oggi, il termine “Occidente” nasce di fatto dopo il 1945; intendo non nella sua accezione geografica (in quel senso esiste fin dall’Antica Grecia), ma nella sua accezione politica. È negli anni della guerra fredda che si sviluppa il concetto di un Occidente come patria della democrazia liberale (da cui in origine erano esclusi, ad esempio, la Spagna e i paesi dell’Europa dell’Est, mentre oggi vi sono inclusi), Occidente contrapposto al secondo mondo governato da regimi dittatoriali. Ha dunque poco senso utilizzare il razzismo ed il colonialismo ottocentesco per attaccare l’Occidente attuale, come Odifreddi fa, confondendo due concetti diversi di Occidente – quello geostorico e quello politico. Ovviamente gli occidentali hanno continuato a commettere crimini anche dopo il 1945; ed è qui che si introduce il secondo tassello. Tutti i governi di tutti i paesi al mondo, in un passato lontano o recente, hanno commesso delle violazioni dei diritti umani. Questo si può forse spiegare col fatto che al governo di una nazione non vanno mai i migliori, bensì i più forti, i più abili nel prendere il potere. La differenza fondamentale tra i paesi del blocco occidentale e gli altri è che nei primi è nata una forma di governo, la democrazia liberale, che, tra mille difficoltà e occasionali passi indietro, porta i governi a migliorare continuamente i loro standard dei diritti umani e a diventare sempre più liberi, pacifici e democratici. La democrazia è simile all’evoluzione naturale, processo in cui le specie si evolvono attraverso continue prove e continui errori. È sbagliato, in questo senso, impostare la discussione come se fosse una partita tra Occidente e non-Occidente. Oggi la democrazia liberale esiste anche in paesi non-occidentali, come ad esempio il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e vari paesi dell’America Latina; in un certo senso esiste anche in India ed in Sudafrica, per quanto la questione sia controversa. Ci si dovrebbe dunque concentrare non sul conflitto tra Occidente e Oriente, ma sulla differenza tra paesi liberi e paesi non liberi: i primi hanno ridotto costantemente, nel corso del tempo, il numero delle violazioni dei diritti umani commesse dai governanti; i secondi no.
Questi semplici pensieri di buon senso non interessano il professor Odifreddi, che ideologicamente odia così tanto l’Occidente da arrivare ad essere comprensivo verso i nemici dell’Occidente, anche quelli più sfacciatamente criminali. In un capitolo del suo libro rilancia una dichiarazione congiunta di Vladimir Putin e Xi Jinping in cui si sostiene che Russia e Cina siano due democrazie con un modello diverso da quello occidentale e che l’Occidente debba sostanzialmente smettere di mettere in questione il rispetto dei diritti umani in quei paesi, in nome della “diversità delle culture”. L’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, sarebbe, secondo Odifreddi, una tragedia “che Putin ha cercato di scongiurare fino all’ultimo”. Egli fa dunque ricadere le responsabilità dell’aggressione non su chi ha aggredito (Putin stesso), ma sulla NATO, che “espandendosi” verso Est avrebbe intaccato la sfera di influenza russa. Un pensiero del genere presuppone che gli ucraini non abbiano diritto a decidere sulle questioni di politica estera, ma che debbano per sempre rimanere in stato di servitù alla Russia. In sostanza, Odifreddi critica alacremente (e giustamente) il colonialismo occidentale, ma finisce per giustificare il colonialismo russo. Similmente Di Battista arriva a sostenere che l’invasione russa dell’Ucraina sia un’azione “di guerra preventiva” e che “la Russia […] ha mire difensive, non certo offensive”. Ciò che le sue parole suggeriscono è che la Russia abbia invaso l’Ucraina prevenendo un’invasione della NATO (che sarebbe partita dall’Ucraina stessa), sbagliando nel dosare questa reazione ma essendo comunque dalla parte della ragione. Ovviamente si tratta di una follia. Che poi in Russia ci sia un governo che imprigiona o uccide gli oppositori non gli interessa nel modo più assoluto; l’Europa non avrebbe dovuto aiutare l’Ucraina in alcun modo. Nonostante dica a parole (sempre molto brevemente, come una premessa dovuta e poco digerita) di condannare l’invasione russa dell’Ucraina, nei suoi discorsi emerge sempre una grandissima antipatia per l’Ucraina e la sua simpatia per la Russia. Per lui, persino “la Cina rappresenta sempre più, piaccia o non piaccia, un paese con standard morali infinitamente superiori a quelli promossi da USA e UE”, nonostante si tratti un regime che utilizza dei campi di rieducazione per le minoranze musulmane in cui sono stati documentati l’utilizzo della tortura e dello stupro.
Di fronte a questa continua omissione dei fatti, forse l’indagine psicologica sulla genesi di questo atteggiamento ideologico sarebbe l’unica riflessione di una qualche utilità. Il professor Odifreddi, come si evince leggendo il suo libro, è un aristocratico che si erge sul popolo e dice: “Io sono più buono di voi”. Rivendica una superiorità morale ed etica su tutti gli altri esseri umani: chi mangia carne è complice di un olocausto, chi sostiene l’esistenza dell’ergastolo negli ordinamenti penali è una persona crudele, chi non vuole la totale redistribuzione della ricchezza (che, nel modo in cui Odifreddi stesso la proclama, significherebbe l’estrema povertà generalizzata per tutti) è inumano, ecc. In questo senso forse si può spiegare la sua critica all’Occidente – ovvero come rivendicazione della superiorità sui propri simili –; la quale sarebbe probabilmente una critica all’Oriente se il professore fosse nato in Oriente. Il caso di Di Battista è diverso. Di Battista si identifica personalmente con gli emarginati del mondo. In questo senso è da lodare il suo impegno per divulgare i crimini commessi da Israele a Gaza. Su questa questione effettivamente le parole di Odifreddi e Di Battista sono molto più nobili di quelle che si sentono da tanti giornalisti filo-occidentali in televisione e sui vari media. Ma ciò è dovuto più a un caso che ad una seria riflessione: è dovuto, cioè, al fatto che in questo caso la realtà si incastra bene con le loro ideologie (ovvero è un governo filo-occidentale a compiere delle violazioni dei diritti umani), non al fatto che il loro pensiero si sia adattato alla realtà. Così il loro contributo ad una questione così importante, pur rimanendo valido sul piano formale, perde serietà e credibilità intellettuale. Forse sarebbe il caso che gli intellettuali e i giornalisti smettano di dividersi in fazioni sulla base dei propri sentimenti personali e che comincino semplicemente a guardare i fatti.
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