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Presidenziali USA: gli Stati che saranno decisivi

In vista delle presidenziali del 3 novembre gli occhi sono tutti puntati su alcuni swing states che potranno rivelarsi decisivi

di Simone Fausti e Alessio Vernetti

Quali stati degli USA saranno decisivi per le elezioni presidenziali del prossimo 3 novembre? Comprenderlo non è mai semplice, e quest’anno l’impresa sembra essere ancora più ardua, soprattutto dopo lo sconvolgimento nella mappa elettorale causato nel 2016 da Donald Trump.

Infatti, dal 2000 e fino al 2016 alcuni stati sono stati in maniera costante degli swing states, ovvero stati elettoralmente contendibili e determinanti per ottenere la Casa Bianca: tradizionalmente gli stati maggiormente combattuti erano Colorado, Florida, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Ohio e Virginia. Tra questi, alcuni erano più importanti di altri, dal momento che assicuravano un numero maggiore di grandi elettori.

Negli Stati Uniti, infatti, i cittadini non eleggono direttamente il presidente. Il voto popolare permette di eleggere dei grandi elettori in ogni stato in numero pari alla somma dei senatori e dei deputati eletti al Congresso, somma che a sua volta è legata al peso demografico dello stato. Sono dunque i grandi elettori – che compongono l’Electoral College – a votare il presidente secondo le indicazioni espresse dagli elettori del proprio stato: con l’eccezione di Nebraska e Maine, tutti i grandi elettori di ogni stato sono assegnati in blocco al candidato che, in quello stesso stato, riesce a vincere nel voto popolare (è il cosiddetto sistema winner-takes-all).

In totale vengono eletti 538 grandi elettori: per diventare presidente è necessario ottenerne la maggioranza assoluta, pari a 270. Per come funziona questo meccanismo, gli stati più popolosi eleggono un numero maggiore di grandi elettori e dunque risultano più importanti per la corsa presidenziale. Nel 2008 Barack Obama vinse tutti gli swing states menzionati prima, mentre Trump nel 2016 ne perse la maggioranza ma vinse nei più importanti, ossia Florida (29 grandi elettori) e Ohio (18). Ma non solo: Trump riuscì infatti inaspettatamente a vincere in tre stati che fino ad allora erano considerati parte del blue wall (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin).

 

Gli swing states del 2020

Stando ai sondaggi degli ultimi mesi, gli stati in cui la corsa è ancora aperta sono 13. Seguendo 270towin possiamo dividerli in tre categorie:

  1. Due di questi stati sono al momento lievemente tendenti al rosso, cioè a Trump: si tratta del Texas (38 grandi elettori) e dell’Iowa (6).
  2. Altri sei paiono tendere leggermente verso Biden: è il caso del Nevada (6 grandi elettori), del Minnesota (10) e del New Hampshire (4), che nelle ultime tre elezioni sono sempre andati ai democratici, oltre che del Michigan (16), della Pennsylvania (20) e del Wisconsin (10), i tre stati che nel 2016 andarono inaspettatamente a Trump determinando la sua vittoria.
  3. Infine, ci sono cinque stati toss-up, in cui la corsa è apertissima: parliamo di Florida (29 grandi elettori), Georgia (16), North Carolina (15), Arizona (11) e Ohio (18). A essi si aggiungerebbero un grande elettore per il Maine e un altro per il Nebraska, dove – lo ripetiamo – i grandi elettori non vengono completamente assegnati in blocco al candidato più votato nello stato.

Dalla mappa degli swing states tradizionali, dunque, sembrerebbero essere scomparsi la Virginia (13 grandi elettori) e il Colorado (9), che quest’anno sarebbero likely blue.

Di questi 13 stati in bilico, in questo articolo analizzeremo la situazione in tutti quelli toss-up, mentre tra i lean blue e i lean red ci occuperemo solo di quelli che hanno un numero significativo di grandi elettori (almeno 10).

 

Michigan, Pennsylvania e Wisconsin: l’ex blue wall

Tra i nuovi swing states, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin erano considerati, fino alla vittoria di Trump nel 2016, parte del blue wall, cioè di quel gruppo di stati saldamente in mano ai democratici. Questo trio, che insieme elegge 46 grandi elettori, non votava per i repubblicani dagli anni ’80, ma nel 2016 Trump riuscì a vincerli tutti e tre a sorpresa sul filo del rasoio. In particolare, il candidato repubblicano vinse in Michigan per soli 10mila voti (+0,3%), in Pennsylvania per 44mila voti (+0,7%) e in Winsconsin per 22mila voti (+0,7%). Una percentuale molto risicata di voti, dunque, ma che col winner-takes-all ha fornito a Trump un numero di grandi elettori decisivo per l’elezione.

In queste aree, però, il trend sembra essersi invertito nuovamente, e le medie dei sondaggi (elaborate da RealClearPolitics, che consideriamo per tutti i dati di sondaggio presenti in questo articolo) vedono Biden in vantaggio, con circa 4,2 punti di distacco in Michigan, 4,3 in Pennsylvania e 6,5 in Wisconsin, anche se nei prossimi mesi lo scarto tra i due candidati potrebbe ridursi.

A oggi la media dei sondaggi nazionali dà, nel voto popolare, Joe Biden al 50,5% e Donald Trump al 43%: un distacco di 7,5 punti percentuali. Le statistiche nazionali tuttavia hanno un peso relativo, dal momento che i grandi elettori vengono eletti a livello statale e ogni stato, pur risentendo dell’andamento nazionale, presenta dinamiche elettorali peculiari. Nel 2016, per esempio, i sondaggi nazionali si avvicinarono al risultato esatto con uno scarto di solo un punto percentuale. Allo stesso tempo, però, quattro anni fa proprio il risultato in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin non fu quello atteso, con risvolti ormai noti sull’esito elettorale.

 

Arizona: latinos e città

L’Arizona è uno stato del sud-ovest degli Stati Uniti che ha votato per i democratici una sola volta negli ultimi settant’anni, anche se nell’ultimo periodo qualcosa è cambiato. Nel 2016 Trump ha vinto in Arizona di soli 4 punti rispetto alla Clinton (mentre Romney nel 2012 vinse di 9 punti contro Obama) e alle elezioni di mid-term del 2018 i democratici hanno vinto un seggio al Senato per la prima volta negli ultimi trent’anni.

Osservando i dati, lo stato nel corso degli anni si è progressivamente spostato a sinistra principalmente per due ragioni. Da una parte si è registrata una lenta crescita della quota di ispanici (latinos) che vivono in Arizona: nonostante la maggioranza della popolazione sia ancora composta da bianchi (55%), dall’inizio del millennio le persone di origine ispanica sono passate dal 25 al 31%.

In secondo luogo, si è registrato uno spostamento dei voti nei sobborghi dai repubblicani ai democratici. Lo stato è diviso in 15 contee, ma è la contea di Maricopa il centro politico, economico e culturale della regione. Circa il 60% dei voti espressi in Arizona proviene da questa zona che comprende Phoenix e la sua estesa area metropolitana, per lungo tempo – perlomeno fino al 2016 – territorio saldamente repubblicano. Hillary Clinton infatti perse la contea di Maricopa per soli tre punti percentuali, motivo per cui alcuni osservatori ritengono che quest’anno Joe Biden potrebbe conquistare gli 11 grandi elettori in palio in Arizona.

Gli ultimi sondaggi danno Biden al 49% e Trump al 43,3%, con uno scarto dunque di 5,7 punti percentuali in favore dei democratici.

 

Florida e North Carolina: perennemente swing states

Florida e North Carolina sono considerati swing states, esattamente come nel 2016, quando Trump vinse con un vantaggio rispettivamente di 1,2 e di 3,6 punti.

Politicamente la Florida presenta una situazione molto variegata, con una considerevole fetta di popolazione anziana che solitamente vota repubblicano e un largo bacino di ispanici e afroamericani che tende verso i democratici, nonostante una fetta non irrilevante dei latinos abbia origini cubane e storicamente tenda più verso i repubblicani. Il trend dei sondaggi in Florida ha mostrato una certa oscillazione: Trump era dato in vantaggio su Biden nel mese di marzo, finché il candidato democratico è tornato in testa da maggio e ha mantenuto un certo distacco che oggi sarebbe pari a 1,2 punti percentuali.

Il North Carolina è un altro stato in bilico che tende verso il GOP, con un consistente elettorato che si contraddistingue per essere più rurale di altri Stati confinanti come la Virginia. Secondo gli ultimi sondaggi, Biden avrebbe qui un solo punto e mezzo di vantaggio su Trump: partita ancora tutta da giocare, dunque.

 

Ohio, lo stato che non sbaglia mai

In Ohio dal 1964 ha sempre vinto il candidato che poi è diventato presidente: è dunque uno stato a cui tutti guardano con grande attenzione, perché vincere qui potrebbe essere altamente indicativo di una vittoria nazionale. Qui nel 2016 Donald Trump vinse di oltre 8 punti percentuali su Hillary Clinton, mentre oggi la media dei sondaggi darebbe in testa Joe Biden, seppur con un vantaggio non così ampio (2,4%).

 

Texas: futuro swing state?

Secondo i sondaggi degli ultimi mesi, il Texas – secondo stato più vasto dopo l’Alaska e secondo più popoloso dopo la California – non sarebbe più così saldamente in mano al GOP: un fatto importante, dal momento che da solo fornisce 38 grandi elettori e i democratici qui non vincono un’elezione presidenziale dal 1976.

Qualcosa negli ultimi anni sta infatti cambiando: anche se al momento Trump avrebbe un vantaggio di 3,5 punti percentuali su Biden, questo scarto quattro anni fa era molto più grande, dal momento che Clinton perse in Texas di 9 punti. Nel 2018 il democratico Beto O’ Rourke riuscì quasi nell’impresa di scalzare il senatore repubblicano Ted Cruz: 48,3% per il primo contro 50,9% per il secondo.

Come osservato da diversi analisti, lo spostamento a sinistra del Texas è dovuto principalmente ad uno shift degli elettori con un titolo di studio elevato delle aree metropolitane come Dallas, Houston e Austin verso i democratici: nei sobborghi di queste zone Beto O’Rourke due anni fa ha infatti ottenuto ottimi risultati.

 

Georgia e Minnesota

Due Stati meno rilevanti per le elezioni ma che risultano comunque contendibili sono Georgia e Minnesota. In Georgia (16 grandi elettori) hanno vinto i dem solo una volta negli ultimi 36 anni; ciononostante Trump ha vinto con poco più del 50% nel 2016 e attualmente ha un vantaggio dell’1,3% su Biden.

Il Minnesota, al contrario, ha sempre fatto parte del blue wall, ma nel 2016 Clinton qui sconfisse Trump per soli 45mila voti: 46,4% per l’ex segretario di Stato contro 44,9% per Trump. Uno scarto di appena 1,5 punti percentuali, che rende il Minnesota territorio allettante per la campagna elettorale repubblicana di quest’anno. Al momento, comunque, la media dei sondaggi di RealClearPolitics assegna a Biden un vantaggio di 5 punti.

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