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Popolo della “libertà” o popolo dei "sacrifici"?

Popolo della “libertà” o popolo dei "sacrifici"?

Chiedere sacrifici al proprio popolo non dovrebbe essere un problema per il capo. Almeno così è stato storicamente. La forza del capo dovrebbe essere proporzionale ai sacrifici a cui il popolo è disposto, fino al sacrificio della vita. Assolutamente omicida, assolutamente suicida. Le dittature europee del ’900 anche questo ci hanno insegnato. Ma i tempi sono cambiati; il popolo, il capo e la loro relazione sono cambiati. Il capo non può chiedere sacrifici al suo popolo, tanto più, se il suo è il popolo della “libertà”. Nel caso in cui fosse costretto, si nasconderebbe per non farsi vedere con in mano la sconfitta, tergiverserebbe impaurito dalle reazioni consensuali di un popolo deluso. Il capo non governa vietando o comandando, ma facendo regali; “ama” regalare “libertà”, quindi non può imporre sacrifici. Tanta libertà, tanto consenso, tanti voti; tanti sacrifici, poco consenso, pochi voti: questo è il popolo della “libertà”.
 

Ma quale è la “libertà” del popolo? Quella incarnata dal capo ovviamente: “libertà” da ogni sorta di vincolo fattuale, giuridico, morale, istituzionale e costituzionale; da qualunque ostacolo si frapponga all’interesse privato. “Libertà” dall’interesse pubblico, dalla democrazia e dalla verità: questa è la “libertà” del capo, immagine del suo popolo. Non è, infatti, il popolo ad aver bisogno del capo, ma, viceversa, è il capo a vivere grazie alle “libertà” del popolo, che lui stesso non può non voler alimentare. Il “vero amore” è quello del capo per il popolo, non viceversa; “amore” che lo spinge a sacrificarsi per lui, a sopportare ogni fatica (compresa ogni statuetta), ogni attacco ed ogni insulto, per poter garantire al suo “amato” popolo la “libertà” dalla quale, attraverso il consenso, possa discendere la sua stessa “libertà”.

Ma questa “libertà” da ogni vincolo che mini l’interesse privato dei singoli, in primis del capo, come detto, finisce per rifiutare la verità stessa: non è vera libertà quella che si concretizza nella libertà illusoria di fare ciò che si vuole per perseguire i propri fini privati, tanto più quando ciò che facciamo è sempre più regolato dal potere, fin nei più intimi particolari della nostra vita; fino alla morte. Questa “libertà” implica già, di per sé, il sacrificio del singolo, della democrazia e della verità; è una libertà apparente, perché fondata sul sacrificio della dignità umana e sull’assenza di verità, sulle quali la nostra “democrazia” continua, tragicamente, a fondarsi. Senza tali sacrifici, che quotidianamente si perpetuano nel nostro paese, questa “libertà” del popolo non avrebbe vita: depressione, alcolismo, dipendenza da farmaci e droghe, gioco d’azzardo, tristezza, indifferenza, immoralità, precariato, privatizzazione del pubblico, violenza, illegalità, corruzione, militarizzazione, menzogne e violenze di Stato. Sono libertà o sacrifici?

Il popolo della “libertà”, di destra, di centro e di sinistra, figlio di un modello sociale economicamente liberista, culturalmente individualista, politicamente militar-populista, è il popolo sacrificato di un paese sacrificato. I sacrifici non stanno arrivando, ci sono già e saranno peggiori. Non c’è nessuna novità né alcuna prospettiva di miglioramento. In Italia impostare una manovra finanziaria d’emergenza su dei sacrifici significa, drammaticamente, continuare a fare ciò che si è fatto almeno negli ultimi trent’anni, con la differenza che, vista la crisi, si sarà costretti ad essere ancora più pesanti ed ingiusti, al punto da doverlo confessare pubblicamente. Chissà se il capo si deciderà a firmare la manovra, se l’ha già fatto e proprio non ce la fa a confessare o se alla fine, come sempre, troverà il modo per dire agli italiani che, ancora una volta, le loro “libertà” sono garantite grazie al suo sacrificio.

Non il popolo, ma ogni singola persona italiana, non merita ulteriori sacrifici. Le persone hanno bisogno di una libertà nuova per cui valga la pena sperare, resistere e lottare; hanno bisogno di responsabilità, non di sacrifici. Affiancandoci alla buona pratica di rivendicazione nell’uso delle parole di cui Saviano si fa emblematico portavoce pubblico, forse, dovremmo avere il coraggio di togliere la “libertà” al popolo e ai suoi sacrifici per riconoscerla nella responsabilità di ciascuna persona che si senta cittadina di questo paese. Un governo che chiede sacrifici ad un paese sacrificato è disperato e senza speranze, prima che falso ed ingiusto; a fallire è un modello sociale, particolarmente italiano ma non solo, che si è illuso che la libertà sia riducibile all’assenza di qualsiasi vincolo, a qualsiasi ostacolo riguardo ciò che possiamo e vogliamo fare. In questa “libertà” del potere, che accetta e legittima il sacrificio, ciascun cittadino dovrebbe riconoscere non solo il pericoloso e angosciante fallimento del capo e della democrazia, ma quello di un popolo e del suo stile di vita. La “libertà” del potere non è libertà, è potere: volontà di potere, non di libertà, né di verità. La responsabilità di liberare la libertà da questo potere è di ciascun cittadino che riconosca nel popolo italiano della “libertà” anche un popolo dei sacrifici. Sacrifici intollerabili, tollerati non da oggi e dall’attuale manovra, ma, almeno, da trent’anni a questa parte.

 

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