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Più etica che economia negli otto punti del PD

Non appartengono all’economia ma all’etica la maggior parte degli otto punti del programma politico di governo del Partito Democratico. Ciò è immediato per i punti :

3 – Riforma della politica e della vita pubblica;

4 – Voltare pagina sulla giustizia e sull’equità;

5 – Conflitti di interesse, incandidabilità, ineleggibilità;

7 – Prime norme sui diritti;

ossia per la loro metà. Il cittadino dovrà accontentarsi di una offerta di programma economico contenuta.

Il punto “6 – Economia verde e sviluppo sostenibile” si suddivide in due ambiti, e precisamente: interventi di riqualificazione su aree già interessate da interventi antropici da una parte, il ciclo dei rifiuti dall’altra. Manca l’attenzione diretta allo sviluppo delle energie rinnovabili, che prima o poi dovranno sostituire per intero i combustibili fossili e quelli nucleari.

Il punto “8- Istruzione e ricerca” continua imperterrito sulla via già seguita da tutti i governi di scrivere paroloni dopo paroloni, accuratamente evitando di affrontare l’unico tema importante, ossia quello del confronto del nostro sistema scolastico, basato sul valore legale dei titoli di studio e sulla quasi esclusiva appartenenza alla sfera pubblica dell’insegnamento superiore ed universitario, con quello anglosassone, basato invece sul valore di mercato dei titoli di studio e sulla quasi esclusa appartenenza al settore privato dell’insegnamento superiore ed universitario. Questa differenza comporta per il nostro Paese una grave limitazione alla libertà nel settore dell’istruzione (vedi fenomeni del cosiddetto “baronato” e dogmatismo esasperato dell’istituzione scolastica superiore ed universitaria, nonché espansione esponenziale del fenomeno del familismo).

Alla fine per l’economia restano solamente due punti, e precisamente:

  • Il punto “1 – fuori dalla gabbia dell’austerità”;
  • Il punto “2 – misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro”.

Il primo punto è, nella sostanza, un accorato augurio che la Comunità Europea dia più tempo agli Stati spendaccioni e con un alto debito pubblico. Nessuna analisi sulle ragioni delle problematiche della crescita economica; e, ovviamente, nessuna diagnosi, nessuna cura e nessuna prognosi. Insomma, ci dovremmo limitare a fare come la Grecia, che ha chiesto maggior tempo per diventare virtuosa.

Il secondo è una miscellanea di ben nove proposte, abbastanza scoordinate fra di loro. Nessun accenno a come affrontare quella che, secondo David B. Audretsch, è la prima legge della globalizzazione e che recita «Se non si permette al costo del lavoro di diminuire, i posti di lavoro scompaiono dalle regioni del globo ad alto costo per ricomparire in quelle a basso costo».

A questo punto nasce spontanea una riflessione: che senso ha fare una lunga ed entusiasmante ed appassionata campagna elettorale di primarie se poi non è il candidato scelto per la guida del Paese a fare le scelte politiche per il governo, in piena autonomia e con altrettanto piena responsabilità politica? Il candidato scelto Pier Luigi Bersani, che si è richiamato nientemeno che ad un papa della Chiesa di Roma per dirsi devoto al cambiamento purché non traumatico, non finisce così per trasformarsi nel campione della conservazione?

Alla fine tutti ed otto i punti del PD diventano otto linee che convergono verso un unico polo di instabilità, quello di un partito che non è ancora in grado di compiere scelte politiche chiare e responsabili ; che non è ancora in grado di dire al Paese né quali onde tempestose sta affrontando né in quale porto può trovare riparo.

Non deve essere stato affatto facile per la Direzione del PD mettere insieme gli otto punti.

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