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Più assumi, meno paghi: evoluzione di uno slogan

Da taglia sulla produttività a collocamento fiscalmente agevolato di soggetti fragili, come è cambiato nel giro di alcuni mesi uno spin propagandistico piuttosto demenziale

 

La futuribile riforma fiscale del governo Meloni tenterà, tra le altre cose, di trasformare in realtà uno slogan di campagna elettorale di Fratelli d’Italia: “più assumi, meno tasse paghi”. Questo slogan, che ha una sua intrinseca assurdità, ha attraversato alcune metamorfosi operative che è interessante ripercorrere.

EVOLUZIONE DI UNA PROPOSTA

Tutto cominciò alla conferenza programmatica di Milano di Fratelli d’Italia. In occasione della quale, la futura premier prefigurava “una detassazione sulle imprese commisurata alla quantità di manodopera rispetto al fatturato”. Che, detta in questi termini, pareva quella che ho definito “una taglia sulla produttività”. Nel senso che faceva immaginare incentivi per le aziende che avessero aumentato l’intensità di lavoro. Ipotesi ovviamente demenziale.

Passano alcuni mesi, e la proposta viene messa a fuoco. A un mese dalle elezioni diventa

[…] una super-deduzione del costo del lavoro per le imprese che nei tre anni precedenti hanno incrementato il numero di lavoratori: 120% per tutti innalzato al 150% per categorie fragili e nelle zone svantaggiate.

E compaiono “categorie fragili e zone svantaggiate”. L’idea, par di capire, era quella di abbattere l’utile ante imposte, non di ridurre l’aliquota. In ogni caso, una proposta del genere non va intesa tanto come un incentivo ad aumentare l’intensità di manodopera (a meno che il cosiddetto imprenditore sia uno scimunito o un truffatore), quanto come premio per una cosa che sarebbe comunque accaduta: l’incremento di organico in conseguenza della crescita aziendale. Quanto si invertono i flussi causali, può capitare di fare proposte assurde.

E veniamo ai giorni nostri, dopo l’illustrazione degli assi portanti della riforma. Ci è stato detto che l’aliquota ordinaria Ires del 24% potrebbe scendere sino al 15% a condizione che, entro i due periodi d’imposta successivi, una somma corrispondente in tutto o in parte all’utile sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni riguardanti soggetti deboli (over 50, donne, percettori di reddito di cittadinanza e in regioni meridionali).

SPAZIO SOLO PER GLI INVESTIMENTI

Come ho già detto, non capisco perché mettere le assunzioni nello stesso paniere agevolativo degli investimenti, ma transeat. Oggi, dopo che i sindacati hanno espresso dubbi sulla interpretazione, scopriamo che le due grandi voci di “investimenti” agevolabili (quelli in innovazione e quelli in manodopera) non devono necessariamente essere compresenti, nei piani aziendali. In altri termini, per avere lo sconto Ires l’azienda potrebbe spendere tutto l’utile di quest’anno entro i prossimi due esercizi, facendo solo investimenti qualificati. Una riedizione di Industria 4.0, in pratica.

Se ci pensate, la cosa pare avere senso: parliamo di investimenti nel senso comune del termine, non di assunzioni di manodopera. Peraltro, la manodopera idonea a produrre il beneficio fiscale pare essere solo quella “fragile”, non quella qualificata che le aziende cercano anche a supporto degli investimenti innovativi. Insomma, un discreto pasticcio, soprattutto propagandistico. Non ho verificato se tale agevolazione valga solo sulle assunzioni che producono un incremento netto degli organici rispetto a un periodo precedente. Converrete che c’è una certa differenza, a seconda che la risposta sia affermativa o meno.

Quello che vi ho appena illustrato è solo un esercizio teorico, in una legge delega che assai difficilmente vedrà la luce nella forma presentata. Semplicemente perché mancano i soldi per sollevarsi da terra. Ma è comunque interessante monitorare il modo in cui uno slogan viene fatto evolvere, man mano che dalla fase della propaganda più o meno becera sganciata dalla realtà ci avviciniamo alla stanza dei bottoni e al momento della realizzazione pratica. Da fuochi d’artificio a petardi fradici, la solita parabola italiana.

 

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