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Perché le sanzioni all’Iran non stanno funzionando?

Lo scorso anno, l'amministrazione Obama ha definito il regime di sanzioni contro l'Iran come il più duro mai applicato, pubblicizzandolo come un grande successo diplomatico. Oggi, la reale efficacia delle misure sembra limitata alla cattura dei pesci piccoli.

 


Quando lo scorso anno il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvò le ultime sanzioni contro Teheran per indurla a rinunciare al suo programma nucleare, la diplomazia internazionale si illuse di aver assestato il colpo di grazia alle ambizioni del regime di ayatollah di possedere l'arma atomica.

A meno di un anno di distanza, sono in molti ad interrogarsi sull'effettiva validità di quelle misure.

La storia delle sanzioni internazionali all'Iran si dispiega nell'arco di tre decenni. Fin dal 1987, infatti, la Repubblica Islamica è stata bersaglio di misure restrittive, perlopiù volute dagli Usa. In questo periodo, l'Iran ha cercato di aggirarne l'ombrello, da un lato, stringendo legami con realtà periferiche in Africa e Centroamerica, e dall'altro, avvalendosi di veri e propri accordi sottobanco.

Ma in che modo le sanzioni vengono bypassate?

Le multinazionali conoscono mille modi per eludere le norme. Il fenomeno del sanction busting, ossia pratica illegale di commercio con un Paese con il quale quest’ultimo è formalmente interdetto, non si risolve solo in accordi che violano palesemente i vincoli internazionali, ma trova forma anche attraverso modalità meno esplicite. Nel dettaglio, le sanzioni non si applicano ai rapporti commerciali mediati da interposti soggetti, per cui le aziende hanno due modi per aggirare le sanzioni:

a) tramite società fittizie situate in paradisi fiscali: celebre è il caso della Halliburton, società di servizi con sede nelle isola Cayman che dal 2000 ha una propria filiale a Teheran, che operava nel Paese degli ayatollah anche in virtù di contributi pubblici ricevuti sia dall'amministrazione Bush che da quella Obama;

b) attraverso Paesi terzi: soprattutto Emirati Arabi Uniti, Qatar, Eritrea, Venezuela e Zimbabwe.

L'efficacia delle sanzioni, di fatto, si ripercuote sull'attività delle aziende minori, le quali hanno meno possibilità di accesso ai sotterfugi di cui sopra. Il problema più grande per i commercianti in affari con l'Iran è che le transazioni finanziarie con il Paese degli ayatollah, anche per importi modesti, sono soggette ad autorizzazione da parte dei Paesi che applicano le sanzioni. Autorizzazione non viene quasi mai concessa, in virtù delle pressioni americane sui singoli governi.

Tuttavia, anche in questo caso il controllo non è così capillare. Vi sono alcune banche asiatiche e in Medio Oriente disposte a correre il rischio di fornire garanzie per crediti derivanti da operazioni commerciali con Teheran.

Anche i trasporti vengono spesso condotti senza passare attraverso il filtro delle autorizzazioni. Spesso, infatti, i carichi da e per l'Iran sono spediti tramite navi noleggiate da società di copertura. Come ulteriore copertura possibile, inoltre, la destinazione finale non è necessariamente quella indicato sui documenti di spedizione.

La prova che le sanzioni si dimostrano efficaci solo per i pesci piccoli l'abbiamo avuta non più tardi di dieci giorni fa. A fine marzo, il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato di voler prendere provvedimenti nei confronti di Belarusneft, una compagnia petrolifera bielorussa controllata dal governo di Minsk, per la firma di un contratto di 500 milioni di dollari, risalente al 2007, per lo sfruttamento di un pozzo di petrolio nel sud-ovest dell'Iran.

Nulla di strano, se non fosse che le autorità americane, così solerti nel punire una società di terza categoria, non si mostrano altrettanto intransigenti nei confronti di compagnie ben più grandi ed influenti della Belarusneft. La mancata sanzione di queste ultime, infatti, ha catturato l'attenzione di alcuni membri del Congresso americano, e precisamente dei senatori (Mark Kirk, repubblicano, dell'Illinois; Jon Kyl, repubblicano, dell'Arizona; Joe Lieberman, indipendente, del Connecticut), i quali si sono rivolti al Segretario di Stato Hillary Clinton e al Segretario al Tesoro Tim Geithner presentando un documento di 54 pagine che denuncia le imprese internazionali che operano o sono sospettate di operare in violazione delle sanzioni contro l'Iran.

L'elenco comprende, tra gli altri, la China National Offshore Oil Corporation (CNOOC), la China National Petroleum Corporation (CNPC), Sinopec, Zhuhai Zhen Rong, Lukoil e Turpas. Tutte compagnie cinesi, e tutte note per i propri massicci investimenti in Iran. Ma la lista comprende anche aziende russe e turche. All'Amministrazione Obama, in altre parole, mancherebbe la volontà politica di agire nei confronti delle aziende di Pechino, Mosca e Ankara.

Le società cinesi, russe e turche, non solo hanno ampio accesso alle risorse petrolifere iraniane, ma hanno di fatto sostituito i progetti precedentemente abbandonati dalle imprese occidentali proprio in conseguenza delle sanzioni Onu, incrementando il proprio giro d'affari. Un esempio su tutti. Nel 2009 la compagnia cinese Inpex, che operava nei giacimenti di Sud Azadegan, fu costretta ad abbandonare l'area in seguito alle pressioni del governo Usa. Pochi mesi dopo, la compagnia cinese Cnpc annunciò un investimento di circa due miliardi di dollari proprio nei campi la Inpex aveva lasciato liberi. Cnpc e altri soggetti trasgressori, in definitiva, beneficiano del minor numero di concorrenti. Svuotando di significato le sanzioni votate dal Consiglio di Sicurezza Onu.

C'è poi lo strano caso della banca tedesca EIH.

Pochi giorni fa, il Tesoro ha mostrato viva preoccupazione di fronte alla notizia che il governo tedesco ha autorizzato la banca Europäisch-Iranische Handelsbank a fare da intermediario nei pagamenti del petrolio iraniano per conto dell'India. Delhi, infatti, importa circa 400.000 barili al giorno da Teheran.

Lo scorso settembre, infatti, il Dipartimento del Tesoro statunitense aveva accusato EIH per alcune movimentazioni di capitali il cui fine sarebbe stato lo sviluppo della capacità bellica iraniana, tra cui un pagamento di 3 milioni dollari nel 2007 per l'acquisto di materiale per i programmi missilistici di Teheran. Il Tesoro ha aggiunto che la EIH avrebbe agito come intermediario per diverse banche iraniane direttamente legate con il governo di Ahmadi-Nejad. La banca ha definito le accuse "politiche" e comunque "prive di contenuto".

Nello stesso periodo, l'Unione europea aveva congelato il patrimonio di decine di aziende e persone, tra cui diverse banche, ritenute coinvolte nel sostenere il programma nucleare iraniano armi o aiutare il paese a eludere le sanzioni. Tuttavia, EIH non era sulla lista, e la normativa comunitaria non ha vietato i pagamenti per il petrolio iraniano e gas naturale.

Il Tesoro Usa, dal canto suo, sostiene che EIH abbia fornito servizi finanziari a diverse istituzioni incluse nella black list dell'Unione Europea, in vigore da ottobre. Una di queste sarebbe la Mellat Bank di Teheran, che secondo un documento della Ue sarebbe direttamente impegna nel sostegno del programma nucleare iraniano. Secondo il bilancio di EIH del 2009, la Mellat sarebbe proprietaria del 25% delle azioni della banca tedesca, il che lascia supporre l'influenza del governo di Teheran sulle decisioni di quest'ultima.

Ad ogni modo, nonostante l'imbarazzo per il pubblico clamore e per le pressioni degli Stati Uniti, i funzionari tedeschi sembrano non avere appigli legali per far sì che EIH sospenda i pagamenti in corso. La banca tedesca ha una regolare autorizzazione e i suoi funzionari ribadiscono che senza una decisione di un tribunale o altro provvedimento restrittivo non possono sospendere l'attività di pagamento. "La Mellat Bank non è nell'elenco" delle aziende soggette alle sanzioni della Ue, ha detto Andreas Peschke, un portavoce del ministero degli esteri, durante una conferenza stampa a Berlino lunedì scorso . "Pertanto non esiste una base legale per bloccare le sue attività di business".

Interpellata sulla vicenda, la stessa Bundesbank ha anche detto che non aveva scelta. "Se un titolare di un conto in una banca tedesca tedesca incarica la stessa di effettuare un pagamento che è consentito dai regolamenti dell'Unione Europea, essa è tenuta ad effettuare questa operazione", ha detto l'autorità in un comunicato stampa.

Il pensiero delle istituzioni tedesche sul caso di EIH si riassume in questo: tutte le transazioni che potrebbero violare le sanzioni Onu contro l'Iran devono essere bloccate, ma senza prove non è possibile farlo. Nella conferenza stampa, il portavoce Peschke ha aggiunto che: "Il governo tedesco è naturalmente ben consapevole della delicatezza di questo problema".

Ma finora il governo Merkel non sembra aver fatto molto per scongiurare i progressi nucleari di Teheran. L'impressione è che Berlino sia ormai rassegnata all'idea di un Iran dotato dell'arma atomica, il che non agevola l'azione degli Usa.

Ad ogni modo, il Paese che più di ogni altro favorisce l'Iran nell'infrazione delle sanzioni Onu è la Cina.

Nascoste sotto strati di intermediari, società di facciata e di altri individui, le aziende cinese appaltatrici in Iran continuano la loro attività senza sosta, anche se ogni tanto il governo Usa alza la voce con Pechino. Ad esempio, nell'ottobre 2008 gli Stati Uniti si sono rifiutati di concludere accordi con la China Shipbuilding & Offshore International Corporation perché considerata fornitrice di materiali utilizzati nella fabbricazione di armi di distruzione di massa non solo per l'Iran, ma anche per la Corea del Nord e Siria.

Molte operazioni tra Iran e Cina avvengono tramite lo scalo di Hong Kong, che in virtù del suo status di porto franco consente ogni genere di traffico, più o meno lecito, senza che la comunità internazionale se ne avveda a sufficienza.

Il filtro di Hong Kong, terzo porto più grande del mondo, fa sì che la misura del coinvolgimento della Cina nel commercio con l'Iran rimanga di fatto un mistero. Nel marzo del 2009, un'inchiesta ufficiale mise in luce che la società Heli-Ocean Technology, di Taiwan aveva spedito 108 trasduttori di pressione in Iran. I calibri, prodotti a duplice uso ed essenziali nella costruzione di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, erano stati ordinati da Inficon Holding AG, azienda svizzera. Heli-Ocean, che funge da agente a Taiwan per conto della Inficon, ha detto la società che ha effettuato l'ordine era la cinese Roc-Master Production and Supply Company, che inizialmente aveva chiesto la consegna dei trasduttori alla sua sede di Shanghai.

Poi, in un modo tipico di contorto riesportazioni verso l'Iran, la società ha chiesto che Heli-Ocean consegnasse i pezzi a Teheran. L'ufficio per il commercio con l'estero di Taiwan ha studiato la vicenda e ha stabilito che non vi era stata violazione delle norme sulle esportazioni, perché al momento in cui la vendita si è verificata i componenti non erano inseriti nella lista di "prodotti strategici ad alta tecnologia"

Gli analisti della sicurezza hanno commentato che era solo un altro esempio di come l'Iran sfugge alle sanzioni. Agendo (più o meno) alla luce del sole.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.99) 22 aprile 2011 05:49

    Secondo me le sanzioni all’Iran sono ingiuste, se l’Iran avesse voluto costruire l’atomica l’avrebbe già fatto. La verità è che i sionisti vorrebbero far regredire l’Iran per depredarlo delle sue risorse. L’Iran vuole le centrali nucleari perché ne ha bisogno, poiché è un paese in fase di crescita industriale e tecnologica ed è questo che aspetto che mette paura ai padroni del mondo.

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