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Perché, in un mondo che rende tutto il resto un prodotto, creare un mercato dei valori ci restituirebbe più umanità

L’emergenza sanitaria ed economica causata dalla pandemia da Covid-19 ha indotto, due anni fa, molti osservatori a evidenziare l’assoluta necessità di un radicale cambiamento di paradigma per le nostre società ("nulla sarà come prima" era un motto poco meno utilizzato del noto "andrà tutto bene"). Le polemiche relative all'impiego dei vaccini e all'introduzione di restrizioni alla mobilità dei cittadini, le conseguenze economiche della pandemia e altri aspetti ad essa collegati hanno vanificato buona parte di tali propositi. La guerra scoppiata lo scorso febbraio ha tuttavia riproposto il tema del conflitto tra princìpi (prima sicurezza sanitaria contro crescita economica, ora sicurezza energetica contro tutela dei diritti di un altro popolo), senza che la trasformazione di essi in oggetti, mezzi da utilizzare per agende politiche ed economiche, abbia mai rappresentato oggetto di interesse da parte di alcuno. Problemi come la disuguaglianza e l’insostenibilità ambientale del nostro modello di sviluppo confermano, intanto, l’attualità di analisi quali quelle svolte da Amartya Sen, in merito alla necessità di un riavvicinamento dell’economia all’etica.

In questo articolo proporrò di istituire un mercato dei valori morali, organizzativi e culturali, che contribuirebbe a un profondo rinnovamento della disciplina economica. Questo mercato avrebbe anche importanti implicazioni per la politica e le nostre società, in particolare favorendo un più profondo senso di comunità.

Scambiare valori per l’autonomia e la comunità

Almeno a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, caratterizzati dalle esperienze politiche di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Thatcher nel Regno Unito, si è soliti contrapporre il concetto di individuo a quello di comunità, in ambito culturale. Tale contrasto si traduce, da ormai più di un decennio, in quello tra neoliberismo e populismo, nell'arena politica, e rimanda anche al rapporto problematico tra economia ed etica. Tuttavia, nel mio libro “Scambiare autonomia. Le motivazioni interiori come risorse per affrontare le crisi del nostro tempo” (Aracne, 2013) ho sostenuto che per favorire la nascita di comunità razionali e inclusive è necessario promuovere una autentica individualità.

L’individualismo si ricollega alla massimizzazione dell'utilità e del profitto e all'accesso a beni e denaro. La teoria economica ancora dominante ha mutuato tale impostazione dal marginalismo e da quello che Amartya Sen definisce un approccio ingegneristico all'economia. D’altra parte, a mio avviso l'individualità è - come d'altra parte affermato ben più autorevolmente da Adam Smith, Immanuel Kant, Hannah Arendt - sinonimo di autonomia. Nel mio libro ho definito con tale concetto, e in particolare con l’autonomia funzionale, la condizione per cui i valori sono in grado di guidare la scelta dei ruoli di volta in volta assunti nella società (ad esempio, consumatore o produttore di determinati beni, lavoratore in un certo settore, elettore di un determinato partito), anziché essere una mera conseguenza di tali specifiche funzioni sociali. L’autonomia consente all’individuo di non ridurre i valori agli interessi, in quanto essa consiste nell’agire sulla base di una relazione globale e coerente con il mondo. Ciò implica un radicale allontanamento dal paradigma della razionalità strumentale che, secondo Max Weber, ci ha imprigionati in una gabbia d’acciaio nella quale abbiamo perso di vista ciò che è intrinsecamente buono.

Mentre perfino gli esponenti dell'individualismo metodologico (come Friedrich von Hayek) hanno riconosciuto che il contesto sociale del nostro agire è imprescindibile, oggi la dimensione comunitaria è relegata alla sfera delle mere appartenenze ideologiche o consumistiche. L'autonomia funzionale è d'altra parte molto importante per favorire la nascita di vere comunità. Infatti, nella misura in cui le proprie visioni del mondo sono – che ne si sia consapevoli o meno – un riflesso più o meno meccanico dei propri interessi – ovvero delle modalità per accedere a sicurezza fisica, affettiva, e in particolare a denaro e beni -, non si ha alcun incentivo a ridiscutere tali orizzonti valoriali, né a confrontarli con quelli posseduti da altri o a propagarli nella società dopo averli adeguatamente valutati. Pressoché ogni impresa, ogni partito, ogni promotore di iniziative collettive fa, oggi come in passato, riferimento a valori, norme guida, fondamenti profondi. Nulla è dato sapere, però, sulle motivazioni sottostanti la scelta e proposta di tali valori, né sul senso della propria identità che, tendenzialmente, dovrebbe precedere ogni limitante e temporanea definizione. D’altra parte, la mia proposta di istituire un mercato dei valori morali, organizzativi e culturali è volta a fornire un incentivo economico ad adottare dei criteri di scelta indipendenti dal proprio attuale, limitato ruolo sociale. Tale mercato promuoverebbe l'autonomia individuale, quale condizione ineliminabile per attribuire a una società una dimensione comunitaria.

Per quanto riguarda il concreto funzionamento di tale mercato, esso si baserebbe sullo scambio di documenti mediante i quali individui, imprese e comunità locali potrebbero attestare i benefici (sociali, reputazionali, economici) sperimentati adottando iniziative ispirate da valori quali l'ambientalismo, la giustizia sociale, la propensione all'innovazione e l’inclusione delle minoranze. In particolare, ciascuno di questi documenti elencherebbe esperienze relative a uno specifico valore.

La certificazione delle esperienze si baserebbe sul rispetto di indicatori definiti per legge. Tali indicatori potrebbero includere, nel caso dell’ambientalismo, un determinato aumento delle aree verdi (per le comunità locali), una determinata riduzione delle emissioni di CO2, un certo livello di investimenti in tecnologie a emissioni negative (per le imprese), una quantità minima di tempo dedicato al volontariato presso green charities (per le persone fisiche). Similmente, l’adozione di iniziative ispirate alla giustizia sociale potrebbe essere dimostrata attraverso una data riduzione dell'indice di Gini (nelle comunità locali) o della dispersione salariale (nelle imprese); un importo minimo di donazioni a enti di beneficenza (per le persone fisiche).

Ogni documento potrebbe essere scambiato con quelli riferiti ad altri valori o con beni e servizi. D’altra parte, non dovrebbe essere previsto lo scambio dei documenti con denaro. Il prezzo delle esperienze riferite a ciascun valore sarebbe definito in termini di unità elementari, e dunque anche di esperienze riferite ad altri valori, oltre che come controvalore monetario utilizzabile per acquistare beni e servizi. Per fissare il prezzo iniziale delle esperienze collegate a un determinato principio, ci si potrebbe basare sul costo medio derivante dal rispetto dei relativi indicatori quantitativi. Successivamente, tale prezzo sarebbe definito sulla base della domanda e dell'offerta. Il prezzo di ogni documento sarebbe proporzionale al numero di esperienze in esso elencate. Solo dopo essere entrati in possesso di un documento sarebbe possibile sapere quale indicatore - e dunque quale ruolo sociale - è stato associato in passato a ciascuno dei benefici elencati, e sperimentati dai precedenti proprietari.

Tale mercato fornirebbe un incentivo economico a partecipare agli scambi, rappresentato dalla possibilità di trasferire un documento ad un prezzo superiore al prezzo di acquisto, in conseguenza di due fattori: l'aggiunta di nuove esperienze al documento e un possibile aumento del prezzo delle esperienze elencate in esso. Pertanto, l’aumento di prezzo di un documento sarebbe il risultato dell'autonomia individuale e della capacità di valutare la rilevanza di un dato valore per la società.

Come osservato sopra, i documenti non dovrebbero essere scambiabili con denaro, poiché essi sarebbero piuttosto un mezzo di scambio complementare ad esso. In effetti, acquistare esperienze con denaro e venderle per ottenere maggiori risorse monetarie potrebbe ridurre la partecipazione al mercato a una forma di speculazione, che si limita a fare affidamento sulle dinamiche dei prezzi, mercifica i valori e trascura l'importanza dell'autonomia. La nostra economia, che domina la nostra politica, mercifica pressoché ogni sfera dell'esistente, come già rilevato dal sociologo tedesco Georg Simmel nel testo "La filosofia del denaro". Ma l'idea di utilizzare dei princìpi valoriali come forma di capitale alternativa e complementare al denaro non pare presa in considerazione, probabilmente con buone ragioni, dai sacerdoti dei nostri templi, chiamati "transizioni gemelle", "sostenibilità", "difesa della democrazia", né tantomeno dai chiassosi contestatori di tali modelli.

L’impiego del denaro come mezzo di scambio universale, neutrale rispetto alle identità morali, organizzative e culturali, ha finora comportato la necessità e la possibilità di perpetuare la divisione del lavoro, ovvero lo svolgimento di attività parcellizzate e iperspecialistiche, al fine di aumentare una produttività meramente quantitativa. Ma ciò introduce anche costanti tensioni e incompatibilità fra valori come ambientalismo e giustizia sociale, sicurezza e difesa dei diritti. Utilizzare come mezzo di scambio dei documenti che descrivano esperienze, e che consentano di sceglierne di nuove, renderebbe invece ogni transazione economica la possibile sede di una rivisitazione delle proprie opzioni, e, sulla base di essa, l’occasione per assumere un nuovo ruolo nel mondo, che sia rilevante e dotato di senso.

 

Il ruolo di un mercato dei valori per l’etica e una dimensione qualitativa della crescita economica

L'autonomia, alla quale si ispira la proposta di un mercato dei valori, ha una importanza essenziale per l'etica. Immanuel Kant ha attribuito un ruolo centrale agli imperativi categorici, la cui validità è incondizionata. Allo stesso tempo, definendo questo imperativo come l'idea della volontà di ogni essere razionale come di una volontà universalmente legislatrice, Kant ha sottolineato la connessione tra l'autonomia e la possibilità di essere l’autore di leggi universali. E John Rawls ha sostenuto che i princìpi di giustizia dovrebbero essere concordati sotto un velo di ignoranza, cioè senza conoscere, tra gli altri elementi, la razza, la classe, il sesso, l'età, la ricchezza, la dotazione naturale di qualsiasi cittadino nella società.

La libera scelta dei valori da parte di individui e organizzazioni diventa rilevante anche nel contesto dell'economia del benessere. Definire il benessere sociale, se si vuole andare oltre il concetto di ottimo paretiano - e dei concetti paternalistici -, richiede la conoscenza dei giudizi di valore detenuti dagli individui, al fine di rendere possibile dei confronti intersoggettivi di utilità. Da questo punto di vista, un mercato dei valori consentirebbe da un lato di valutare quanto l'allocazione dei beni fisici sia coerente con la distribuzione dei valori. D'altra parte, questo mercato farebbe dei valori un bene in sé.

Infatti i valori morali, organizzativi e culturali diventerebbero una forma di capitale, accanto alle tre forme di capitale industriale definite da Karl Marx: capitale monetario, capitale produttivo e capitale merce. La possibilità di scambiare valori e non semplici oggetti inanimati favorirebbe un migliore rapporto tra capitalismo e democrazia, qualificando le scelte collettive, al di là del loro semplice conteggio.

Scambiare valori significherebbe introdurre un concetto di crescita economica qualitativa, intesa come la condizione nella quale si verifica un aumento del controvalore monetario delle esperienze scambiate. Fintanto che la crescita del PIL - come la decrescita - lascia inalterata la distribuzione dei valori morali, organizzativi e culturali, essa non promuove necessariamente la maggiore diffusione tra individui, imprese e comunità locali dei principi considerati più appropriati dalla società. Data la divisione del lavoro, per la quale i valori sono spesso frutto del proprio ruolo nel tessuto sociale, si può sostenere che una crescita economica quantitativa implica anche una crescita qualitativa solo se la società considera tutti i valori equivalenti, se i settori più performanti sono anche quelli caratterizzato da valori relativamente migliori, o se la decrescita in settori con valori relativamente migliori è almeno compensata dalla crescita quantitativa nei restanti settori. D'altra parte, un mercato dei valori cambierebbe l'allocazione di (progetti ispirati a) princìpi come la giustizia sociale e l'ambientalismo, che potrebbero anche innescare una crescita quantitativa se, ad esempio, dopo una prima fase di minori profitti per le imprese che sostengono quei valori, la diffusione generale delle migliori pratiche rendesse queste ultime compatibili con (e favorevoli a) migliori risultati economici.

Da un punto di vista collettivo, sapere quanto un politico o un partito è popolare o avere accesso ai prezzi dei beni e servizi non può essere sufficiente perché gli individui abbiano una conoscenza adeguata della società e perché le società conoscano sé stesse. Vivere in una comunità significa sapere quanta importanza i suoi membri attribuiscono alla giustizia, all’innovazione, all’inclusività o altri principi e, sulla base di queste informazioni, valutare la razionalità dei livelli di consenso e dei prezzi. Da questo punto di vista, la mia proposta offrirebbe un'alternativa sia al neoliberismo (l'idea secondo cui i mercati, dominanti nell'esprimere la nozione condivisa di razionalità, devono essere neutrali rispetto ai valori, poiché questi sono semplicemente preferenze soggettive) sia al populismo (che afferma che valori come nazione e tradizione sono migliori rispetto ad altri, e non hanno bisogno di essere discussi, sperimentati e proposti attraverso un processo razionale e inclusivo).

 

Bibliografia

 

Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana [1958], edizione italiana Bompiani, 2017.

 

Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi [1785], edizione italiana Bompiani, 2003.

 

Karl Marx, Il Capitale [1867], edizione italiana Newton Compton, 2015.

 

Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Universale Economica Feltrinelli, 2005.

 

Laura Pennacchi, De Valoribus Disputandum Est. Sui Valori Dopo Il Neoliberismo, Mimesis Edizioni, 2018.

 

John Rawls, Una teoria della giustizia [1971], edizione italiana Feltrinelli, 1991.

 

Amartya Sen, Etica ed economia [1987], edizione italiana Economica Laterza, 2006.

 

Marco Senatore, Scambiare autonomia. Le motivazioni interiori come risorse per affrontare le crisi del nostro tempo, Aracne, 2013.

 

Marco Senatore, Un mercato dei valori per riconciliare economia ed etica, capitalismo e democrazia, individuo e comunità?, in Pandora Rivista, 24 ottobre 2019.

 

Marco Senatore, Imprese, un mercato dei valori per riconciliare profitto e funzione sociale, in Econopoly, 20 novembre 2019.

 

Marco Senatore, Un mercato dei valori morali, organizzativi e culturali come possibile strumento per la sostenibilità, nel sito ASviS, 2 maggio 2019.

 

Marco Senatore, A market for values is what the world needs to reconcile democracy and capitalism, community and the individual, Public Seminar, 24th September 2019.

 

Marco Senatore, A market for values would reconcile profit with a higher social purpose, London School of Economics Business Review, 25th October 2019.

 

Georg Simmel, La filosofia del denaro [1900], edizione italiana Ledizioni, 2019.

 

Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali [1759], edizione italiana BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 1995.

 

Adam Smith, La ricchezza delle nazioni [1776], edizione italiana Newton Compton Editori, 2008.

 

Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo [1905], edizione italiana BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 1991.

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