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 Home page > Tribuna Libera > Perché anche sulla spending review prevale la "mentalità da tifoso"?

Perché anche sulla spending review prevale la "mentalità da tifoso"?

Come spesso accade, sugli avvenimenti di interesse pubblico l'opinione si spacca in due tronconi: nel caso della spending review ci sono coloro disposti a tutti pur di licenziare dei lavoratori pubblici. Poco importa che il tasso di disoccupazione aumenti.

Se è tornato a parlare Giarda sulla spending review (i più informati ricorderanno che non accadeva da quando parlò di revisione per 400 miliardi di euro) vuol dire che posso tornare anch’io sull’argomento. E lo faccio non per esprimere ulteriori valutazioni di merito su un provvedimento in particolare, anche se apprendo con piacere due note positive delle ultime ore: l’annullamento dei tagli alla ricerca, e l’istituzione (sarà vero?) di un tetto per i compensi dei manager delle aziende a partecipazione pubblica di 290 mila euro lordi/annui. Se la cosa andrà in porto, il primo contratto da rivedere dovrà essere quello del neo direttore generale Rai, che oltrepassa il doppio del paletto appena citato. Le mie considerazioni sulla spending review le ho già fatte abbondantemente in passato, adesso vorrei concentrarmi su un altro aspetto.

E’ tipico della nostra cultura dividerci in due fazioni, praticamente contrapposte, su ogni provvedimento destinato ad intaccare le nostre radici, ad incrociare i nostri destini. La revisione della spesa pubblica dovrebbe essere una manovra che c’aiuti ad uscire fuori da una situazione economica pericolosa, e non un ulteriore motivo di litigio. Ecco perché prendo le distanze da chi, con la scusa della spending review, non risparmia le critiche di sempre ai lavoratori pubblici: “in sovrannumero”, “fannulloni”, “pagati con le nostre tasse”. E’ da ottusi generalizzare in questo caso. Vi sembra uno “scansa-fatiche” un impiegato postale che in una giornata realizzi 370 operazioni, alla media di una al minuto? Non direi. Oppure sono dei fannulloni i dipendenti che si portano il lavoro a casa per consegnare le proprie pratiche in tempo? Tutt’altro!

Senza dimenticare che altri licenziamenti faranno inevitabilmente crescere il numero dei disoccupati, e ciò non favorirà la crescita del prodotto interno lordo, al contrario di una lotta alle disuguaglianze economiche e sociali, come Stiglitz c’insegna. Non usciremo dalla crisi aggredendo il welfare state, o con un numero maggiori di disoccupati: a questo punto è necessario però aggiungere anche che non risaliremo la china continuando ad utilizzare una logica da “guelfi o ghibellini” su ogni vicenda di interesse pubblico: e le differenze “urlate” Nord-Sud dovrebbero essere da esempio (Torino docet).

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